Malatesta, Paolo (detto il Bello)
Terzogenito di Malatesta da Verucchio (il mastin vecchio), nacque da Concordia di Enrichetto, presumibilmente poco prima della metà del Duecento. La prima testimonianza relativa a P. risale al 1263-1264 ed è contenuta in una lettera mediante la quale papa Urbano IV concede a lui e ai famigliari un'ampia gratifica di devozione alla Santa Sede.
Nel 1269 ebbe in isposa Orabile Beatrice dei conti di Ghiaggiolo, dalla quale nacquero due figli: Uberto e Margherita, quest'ultima già morta nel 1311. Tale unione rafforzò l'ipoteca malatestiana sull'eredità dei conti di Ghiaggiolo (che si estendeva da questo castello su altri centri vicini dell'Appennino forlimpopolese), suscitando rivalità dinastiche con Guido conte di Montefeltro, anch'egli imparentato a quella schiatta comitale, mediante l'unione con Manentessa.
Ben poco è dato ricavare dalle testimonianze storiche sul conto di P., ma è da presumere - come ci è anche attestato da un atto di procura del 1276 - che egli continuasse a risiedere in Rimini accanto al padre e ai fratelli a difesa dei comuni interessi famigliari e della causa guelfa. Solo nel 1282 compare lontano dalla sua città nella carica di capitano del popolo e di conservatore della pace in Firenze. Ma già il 1° febbraio 1283 lo vediamo dare le dimissioni e rientrare in patria. Di qui all'improvvisa tragedia (If V 82-138) nella quale persero prematuramente la vita P. e la cognata Francesca da Polenta, divenuta sua amante, il passo fu breve, se - come dai più si ritiene - Gianciotto compì la sua vendetta attorno agli anni 1283-1284. In quale circostanza P. avesse avuto occasione d'incontrare e conoscere colei che, forse, già era o, più probabilmente, sarebbe stata prossima a divenire la sposa del fratello Gianciotto, non ci è noto. Ma una serie di circostanze o di semplici indizi, la cui ricostruzione storica configura una fitta trama di relazioni fra personaggi danteschi riminesi e ravennati, fra ambiente malatestiano e corte polentana, negli ultimi decenni del Duecento, sembra restituire qualche credibilità all'esegesi boccaccesca del c.v dell'Inferno.
I riferimenti danteschi a P. sono tutti raccolti nell'episodio dell'incontro del poeta coi due cognati, nel secondo cerchio infernale dei lussuriosi: qui la sua figura, storicamente così poco consistente, si riscatta sul piano della poesia, anche se appare del tutto sovrastata dalla forte personalità affettiva di Francesca. Il tono velatamente allusivo e sfuggente di quei cenni dice dell'atteggiamento tra il pietoso e il riservato con cui il poeta accosta i due dannati. Questi da principio appaiono a D. come due esseri indistinti: quei due (If V 74), i cui contorni si vengono a mano a mano precisando e caricando di un'umanità dolente; così da riapparire come anime, ora tormentate dalla bufera infernale (anime affannate, v. 80), ora dolenti per l'oltraggio patito sulla terra (anime offense, v. 109), fino a presentarglisi trasfigurati dalla sua immaginazione poetica in uccelli, trascinati da un irresistibile istinto naturale: quali colombe... cotali (vv. 82-86).
In perfetta sintonia con questi versi sono pure i passi nei quali Francesca accenna appena a P.: essa, infatti, indica a D. il suo amante, ora con un costui (vv. 101, 104), ora con un questi (v. 135). Ed è tutto, perché, mentre Francesca (l'uno spirto, v. 139) confida al poeta le sue segrete pene, P. (l'altro [spirto], v. 140) piange e tace. Infine, al v. 2 del canto successivo, i due amanti ancora ritornano assieme, nella constatazione dantesca sulla pietà d'i due cognati. Cfr. inoltre FRANCESCA.
Bibl. -L. Tonini, Della storia civile e sacra riminese, III, Rimini 1862, 259-273; F. Torraca, Studi danteschi, Napoli 1912, 383-442; C. Ricci, Il canto V dell'Inferno, Firenze 1916; P. Zama, I Malatesti, Faenza 1956, 43-56; N. Matteini, Francesca da Rimini. Storia, mito, arte, Bologna 1965; M. Marcazzan, Il canto V dell'Inferno, in Lect. Scaligera I 101-186.