MANFREDI, Paolo
Nacque a Camaiore, nella Repubblica di Lucca, il 15 ott. 1640, da Vincenzo, milite, e da Anna Paoli di Lazzaro.
Molti biografi lo dicono figlio dello speziale Antonio, attivo a Roma dove effettivamente risiedeva una fiorente comunità di cittadini lucchesi, molti dei quali esercitavano professioni medico-sanitarie. Lo speziale Antonio si segnalò per un opuscoletto di poche pagine, Della virtù della vipera: discorso (Roma 1647, dedicato a K. Digby), che si collocava nel dibattito che, nella prima metà del XVII secolo, agitava la medicina di impronta galenica sotto le suggestioni di filosofie chimiche di varia derivazione sulle proprietà dei medicamenti e sulle "qualità occulte" dei "veleni".
In realtà non si sa come e quando il M. fosse giunto a Roma, ma è certo che, insieme con il fratello maggiore, Antonio, studiò, adolescente, nel Collegio romano della Compagnia di Gesù; tuttavia, mentre il fratello perseverò negli studia humanitatis, professando poi i quattro voti, il M. se ne allontanò dopo i corsi medio-inferiori per dedicarsi allo studio della medicina alla Sapienza.
In una corrispondenza privata di molti anni posteriore, egli rievocò con scarsa simpatia gli anni trascorsi nella scuola dei gesuiti, "non havendo io studiato in Collegio romano che la grammatica e ricevutene in quel tempo pochissime cortesie" (Arch. di Stato di Roma, Università, b. 4, c. 205).
Alla Sapienza ebbe come maestri il senese Matteo Naldi, il leonessano Benedetto Rita, il romano Giovanni Trulli, nipote dell'omonimo lettore che aveva favorito l'affermazione della scoperta harveiana della circolazione del sangue, ed egli stesso abile anatomico e chirurgo. Acquisito il titolo dottorale nel 1659, il M. entrò al servizio dell'ospedale della Consolazione - dove però non sembra fosse rimasto oltre il triennio di assistentato - e non tardò a ottenere, per privilegio di Alessandro VII, una lettura straordinaria di medicina in libris Hippocratis de locis in homine, ricompensata con la modesta cifra di 24 scudi e condizionata al divieto di optare per altre cattedre senza concorso (1663).
In realtà, anche se egli conservò tale qualifica fino al 1667, si distinse per un'attività di sperimentazione, che lo allontanò di molto dal semplice lettorato di alcuni brani di Ippocrate. Sono soprattutto famosi gli esperimenti di infusione di sangue da animale a uomo che, dopo diversi tentativi, riuscì a realizzare con successo all'inizio del 1668, pochi mesi dopo la prima operazione del genere condotta da J. Denis a Parigi il 15 giugno 1667.
Da tempo diversi gruppi di medici e uomini di scienza in varie città d'Europa lavoravano intorno alla possibilità di una medicina infusoria. Non si pensi tanto alla preparazione di tessuti morti mediante l'infusione di liquidi vari - ossia alla cosiddetta "anatomia infusoria" da tempo affermatasi -, ma all'iniezione endovenosa o endoarteriosa di medicinali, prassi che, dopo qualche anticipazione teorica (A. Libau), si era diffusa, a partire dagli anni Cinquanta, specialmente nel mondo germanico (J.S. Elsholtz, M. Ettmüller) nel solco del successo della medicina chimica, e in Italia nel quadro del cosiddetto "iatromeccanicismo" (F. Folli). In seguito - coerentemente con l'accentuazione del ruolo del sangue nei fenomeni fisiopatologici conseguente alla rivoluzione harveiana -, nel corso degli anni Sessanta, si avviarono le prime trasfusioni di sangue tra animali, realizzate da R. Lower, C. Wren e R. King a Londra e da Denis a Parigi e ancora da Folli a Firenze. Operazioni del genere furono realizzate con successo anche a Bologna da G. Montanari; e notizie degli esperimenti bolognesi erano rapidamente giunte a Roma, dove, alla fine del 1667, il noto chirurgo I. Magnani, primario all'arciospedale del S. Spirito, ne aveva condotto una serie, che gli aveva permesso di precisarne le modalità e di ipotizzarne l'utilità nella cura delle ferite. Nella stessa Roma sembra che il medico piemontese G. Riva - che aveva accompagnato il cardinale Flavio Chigi nella legazione straordinaria di Francia nel 1664 - fosse il primo a realizzare la trasfusione sull'uomo, nel dicembre del 1667.
La medesima operazione fu condotta - e non era forse la prima volta - il 5 genn. 1668 dal M., infondendo sangue di un vitello in un uomo, un bracciante di nome Angelo da Udine, nella propria casa romana di fronte a un folto pubblico di curiosi, con l'assistenza di B. Simoncelli. Egli utilizzò, invece dei cannelli d'argento precedentemente usati da Denis e da altri, alcuni tubi in vetro che permettevano di meglio controllare il flusso sanguigno, migliorando inoltre la tecnica d'inserzione della cannula in arteria. Subito dopo (datando al 2 genn. 1668 l'epistola dedicatoria al cardinale G.B. Spada, forse per motivi di priorità) egli diede alle stampe due relazioni: De nova et inaudita medico-chyrurgica operatione sanguinem transfundente de individuo ad individuum, (Roma 1668) e Ragguaglio degl'esperimenti circa la nuova operatione della trasfusione del sangue da individuo ad individuo, et in bruti et in huomini (ibid. 1668). Quest'ultima, diretta a un più vasto pubblico di virtuosi, è dedicata a Maria Mancini Colonna. Riva e il M., comunque, rimasero sempre in ottimi rapporti di stima e collaborazione, tanto che alla sua morte (1677) Riva legò al M. una parte della sua biblioteca e le matrici in rame di figure anatomo-chirurgiche. Queste, però, per motivi ignoti non furono pubblicate dal M., benché ne fosse stato richiesto.
Entrambi gli opuscoli sono chiaramente intesi a controbattere le accuse e le polemiche che gli esperimenti infusori avevano suscitato. E in verità, a Roma come altrove, per tutto il 1668 e oltre, si registrò un vivacissimo dibattito intorno alla trasfusione, che coinvolse il Giornale dei letterati - di recente fondato - e, sul versante opposto, vari medici della capitale. In particolare, B. Santinelli diede alle stampe una assai critica Confusio transfusionis sive Confutatio operationis transfundentis sanguinem de individuo ad individuum (Roma 1668). Nei suoi scritti, il M. si preoccupa, da un lato di confermare l'effettiva riuscita dell'operazione contro coloro che "presero motivo di spargere per la corte che non vi fosse introdotto sangue" (Ragguaglio, p. 15), e dall'altro di rispondere alle obiezioni mediche, filosofiche e persino teologiche, che l'introduzione del sangue animale nell'uomo avrebbe potuto sollevare. In proposito, il M. si mostra, nelle sue argomentazioni difensive, largamente debitore delle idee di Denis, utilizzando soprattutto il paragone dello scambio di sangue tra gestante e feto per difendere il carattere "secondo natura" della trasfusione. Inoltre, respingendo del tutto l'idea che l'introduzione del sangue animale potesse in alcun modo modificare la natura umana del ricevente, egli caldeggiava la trasfusione tra bruto e uomo come modo di perfezionare l'operazione in vista di una trasfusione interumana.
Al momento degli esperimenti trasfusori, il M. era ancora lettore extra ordinem di medicina teorica e non è escluso che si trattasse per lui di accrescere il proprio credito in vista di una migliore posizione accademica. In effetti, giudicato dalle autorità universitarie "lettore di garbo", nello stesso 1668 passò alla lettura ordinaria di anatomia e chirurgia, con l'iniziale emolumento di 50 scudi. È da sottolineare che, prima della sua nomina, gli studenti avevano avanzato la richiesta al rettore che tale insegnamento fosse condotto contemporaneamente da un medico e da un chirurgo, quest'ultimo con il compito di dimostrare concretamente la teoria. Tale richiesta non fu accolta e, tuttavia, si può considerare la nomina del M. una decisione che andava parzialmente incontro a tale esigenza, tanto più che egli lavorò sempre a stretto contatto con l'assistente chirurgo Simoncelli, sia per l'attività didattica sia per quella di studio e ricerca.
Risalgono agli anni di insegnamento dell'anatomia e chirurgia i suoi principali contributi in materia. È vero che nel suo insegnamento alternò un approccio strettamente dimostrativo con uno più tradizionalmente retorico-filosofico (nei Trophaea libitinae ad quae contemplanda oculos, et ingenia fusioribus explicationibus invitabit, pubblicati a Roma nel 1671, presenta le lezioni anatomiche in stile filosofico, antropologico e antiquario), e tuttavia egli avviò anche una sistematica attività anatomo-fisiologica, di cui gli esperimenti trasfusori erano stati una sorta di anticipazione, almeno nel senso di una presa di posizione in favore dell'utilità della sperimentazione e della ricerca anatomica per la medicina, contestata invece da posizioni empiristiche presenti nella cultura medica a Roma come altrove.
In tal senso intervengono i due successivi scritti del M. relativi all'anatomia dell'occhio e dell'orecchio (Novae circa aurem observationes e Novae circa oculum observationes, pubblicati a Roma nel 1674). In entrambe le dissertazioni è marcata la tradizione italiana di ricerca anatomica, che, in particolare per quanto riguarda l'orecchio, sarebbe culminata nel De aure humana di A.M. Valsalva.
Nel primo trattatello il M. studia - probabilmente ricorrendo al microscopio - la catena degli ossicini dell'orecchio medio, precisando la forma conica del braccio del martello, scoprendo una membrana tra le branche della staffa e descrivendo la struttura porosa della base della stessa. Tali osservazioni - di cui la prima è con ogni probabilità frutto di una formazione patologica confusa dal M. per formazione normale - gli offrirono lo spunto per negare il movimento del martelletto nella riproduzione del suono, che riteneva, invece, prodotto dal passaggio dell'aria nell'arco della staffa e nelle porosità della base. Nel trattatello sull'occhio, invece, egli individua filamenti che dalla parte interna della sclera si ricongiungono al legamento cigliato, per spiegare il meccanismo di contrazione e dilatazione della pupilla; si discosta così dalle indicazioni di Cartesio e di T. Willis, sebbene ne sia decisamente influenzato.
Riprese nelle principali antologie e repertori medici, le osservazioni anatomiche del M. conobbero una vasta diffusione e tuttavia furono rapidamente dimenticate. Del resto, esse si rivelarono presto inesatte. In sede storiografica, però, queste ricerche del M. sono assai significative. In primo luogo, sono una testimonianza del fatto che la Sapienza romana fosse un centro importante della ricerca anatomica e anatomo-patologica (e non a caso nel 1688 vi iniziarono i lavori per la costruzione di un nuovo teatro anatomico); in secondo luogo, si inseriscono direttamente nella coeva ricerca anatomo-fisiologica sugli organi del senso, secondo un'agenda che risente delle suggestioni cartesiane e dell'affermarsi di un paradigma meccanicistico del vivente. D'altro canto, sappiamo da altre fonti che il M. intraprese anche studi sulle concrezioni polipose del cuore, sulle orme delle ricerche, tra gli altri, di M. Malpighi.
Egli frequentò anche alcuni circoli accademici romani nei quali, pur con grande cautela e con importanti differenziazioni interne, si articolava il rinnovamento della cultura scientifica. La notorietà acquisita con gli esperimenti trasfusori e con la ricerca anatomica gli procurò la proposta di trasferirsi presso lo Studio di Pisa, ma egli preferì rimanere a Roma, proseguendo puntualmente la propria attività di lettore con buon successo di studenti. Non più tardi del 1682 - dell'anno 1681 non ci restano fonti -, passò alla cattedra di medicina teorica, lettura che mantenne ininterrottamente fino al 1715, con un progressivo aumento di stipendio.
Un manoscritto (Roma, Biblioteca di storia della medicina dell'Università La Sapienza), contenente le sue lezioni per l'anno accademico 1695-96, annotate dallo studente Paolo Della Valle con il titolo Rei medicae praelectiones theoricae proemialium quaestionum, attesta come nella tradizionale struttura pentapartita del corso - fisiologia, patologia, semiotica, igiene e terapeutica -, il M. riversi nell'approfondita trattazione dell'anatomia e fisiologia la sua lunga esperienza di anatomico. La complessa mescolanza di vecchio e nuovo che emerge da queste lezioni dipende in parte dalla strutturazione della materia che, partendo ancora dal Canone di Avicenna per ciò che riguarda le componenti naturali del corpo, si apre sia alle suggestioni della medicina corpuscolaristica meccanico-chimica, sia ai principî della coeva filosofia naturale per quanto riguarda la generazione, nel quadro comunque di una concezione marcatamente "idraulica" dell'organismo, incentrata sulla valorizzazione del ruolo del sangue.
Com'era consueto, il M. alternava l'impegno universitario e accademico alla pratica professionale. Pratico rinomato, egli però si trovò coinvolto in un caso giudiziario che fece molto scalpore nella Roma di fine Seicento: la morte per sospetto avvelenamento di Olimpia Ginnetti. Le perizie post mortem richieste dai magistrati ad A. Piacenti, G. Sinibaldi e Magnani furono concordi nel riconoscere segni certi di avvelenamento, e per la precisione una intossicazione letale da arsenico somministrato in piccole dosi (Peritie de signori medici assistenti all'infermità et apertura del cadavero dell'illustre signora Olimpia Ginnetti, Roma 1693). In qualità di medico curante della defunta, il M. si trovò allora a difendere il proprio operato, negando decisamente nella sua controperizia l'ipotesi del veleno (Parere per la verità circa l'infermità e morte dell'illustrissima signora Olimpia Ginnetti, Roma 1693).
Nonostante tale caso, comunque, la carriera del M. non fu ostacolata. Già nello stesso anno fu incaricato di tenere la tradizionale e importante Pro studiorum renovatione oratio (Roma 1693) nel salone della Sapienza. Varie fonti confermano il suo successo professionale, tanto che in alcune occasioni sarebbe stato in seguito incaricato da Clemente XI di assumere la cura di pazienti importanti.
Molti anni prima, in una data imprecisata ma sicuramente anteriore al 1676, era entrato nel Collegio medico, nel quale giocò sempre un ruolo attivo, svolgendo i compiti che, secondo gli statuti rinnovati del 1676, gli venivano affidati. In qualità di protomedico per l'anno 1699, si trovò a gestire un forte conflitto che la Sapienza aveva avviato con il Collegio romano intorno alla facoltà dei padri gesuiti di rilasciare titolo dottorale in filosofia. L'occasione dello scontro nacque nel 1695 con l'istituzione della cattedra di diritto canonico nella scuola della Compagnia di Gesù. La vittoria ottenuta dalla Sapienza spinse, poi, le autorità universitarie e il Collegio degli avvocati concistoriali a verificare i privilegi dell'istituzione rivale e a sollecitare il Collegio medico, titolare dal 1552 del privilegio di concedere i gradi in filosofia, a contestare la validità degli analoghi titoli rilasciati dal Collegio romano. L'affare, che ovviamente aveva importanti risvolti economici, deve essere inteso come uno degli svariati tentativi di ristabilire il prestigio dello Studio cittadino, in forte crisi nella seconda metà del XVII secolo nonostante l'impegno profusovi da Alessandro VII e Innocenzo XII. Per il M., però, la vicenda ebbe anche un risvolto personale, visto che suo fratello Antonio, membro della Compagnia, fece pressioni su di lui perché il Collegio dei medici abbandonasse la lite. Il M. si mostrò fermo e fu contrario a ogni accordo, determinato nel proseguire la lite, la quale tuttavia non ebbe alcun esito.
Il M. fu nuovamente protomedico nel 1703, quando diede alle stampe una Istruzione medica con la quale s'insinua il modo di osservare il precetto quaresimale anche da chi patisca qualche indisposizione (Roma). L'anno successivo diede le dimissioni dal magistrato perpetuo del Collegio e ricoprì in seguito solo l'incarico di archivista (1709) e di camerlengo (1713).
Giubilato dalla Sapienza nel 1715, morì a Roma il 24 luglio 1716 e fu sepolto nella chiesa di S. Marcello.
Opere: Oltre agli scritti già citati, alcuni biografi attribuiscono al M. un discorso sulle virtù delle acque minerali di Nocera Umbra, che non è rintracciabile. Un suo consulto sulla peste è riprodotto in F. Buonamici, Melita liberata a peste, Romae 1690, pp. 32-47.
Fonti e Bibl.: Camaiore, Arch. stor. parrocchiale, Liber baptizatorum S. Mariae, 1640; Roma, Arch. stor. del Vicariato, Parrocchia di S. Maria in Via, Liber mortuorum, 1714-1790, c. 9; Arch. di Stato di Roma, Università, bb. 4, 59, 69, 83, 85, 86, 87; Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 11757, c. 5; Statuta Collegii dd. almae Urbis medicorum ex antiquis Romanorum pontificum bullis congesta, et hactenus per Sedem Apostolicam recognita et innovata, Romae 1676; I maestri della Sapienza di Roma dal 1514 al 1787: i Rotuli e altre fonti, a cura di E. Conte, Roma 1991, ad nomen. Tra i numerosi autori medici romani che ricordano il M., si segnalano: D. De Marinis, Dissertatio philosophico-medica de re monstruosa a Capucino Pisauri per urinam excreta plura de sanguinis grumis, polypis, Romae 1678, p. 15; G.B. Borghesi, Lettera scritta da Pondisceri nella quale si contengono un piano, Roma 1705 (dedicata al M.); G.M. Lancisi, De subitaneis mortibus libri duo, Romae 1707, p. 34. Inoltre: Philosophical Transactions, XXXV, 18 maggio 1668, p. 680; D. Le Clerc - J.J. Manget, Bibliotheca anatomica, Genevae 1685, II, pp. 217, 454; G. Carafa, De professoribus Gymnasii Romani, II, Romae 1751, p. 370; A. von Haller, Bibliotheca anatomica, I, Tiguri 1774, p. 557; F.M. Renazzi, Storia dell'Università di Roma, III, Roma 1804, p. 190; A. Menicucci, Ai chiarissimi. Quadro biografico dei più distinti medici e chirurghi lucchesi, Lucca 1843, p. 14; C. Lucchesini, Memorie e documenti per servire alla storia del Ducato di Lucca, Lucca 1843, p. 129; G.B. Rinuccini, Di Camaiore come città della Versilia e sue adiacenze, Firenze 1858, p. 156; E. Morselli, La trasfusione del sangue, Torino 1876, pp. 24-27; G. Bilancioni, G.M. Lancisi e lo studio degli organi di senso, in Giorn. di medicina militare, IX (1920), pp. 16, 29; P. Capparoni, Gli studi di P. M. sull'anatomia degli ossicini dell'orecchio, in Il Valsalva, I (1925), pp. 195-198; A. Simili, Origini e vicende della trasfusione del sangue: considerazioni storico-critiche, Bologna 1933, pp. 40, 82, 101, 105; U. Ceccarelli, La tradizione medico-chirurgica lucchese, II, Genova 1961, pp. 22-26; A. Pazzini, La storia della facoltà medica di Roma, II, Roma 1961, p. 506; P. Dinelli, P. M. (1640-1716), medico camaiorese pioniere, in Italia, della trasfusione del sangue (cenni storici), Viareggio 1965; M.R. Di Simone, La "Sapienza" romana nel Settecento. Organizzazione universitaria e insegnamento del diritto, Roma 1980, pp. 50-54; S. Rotta, L'Accademia fisico-matematica ciampiniana: un'iniziativa di Cristina?, in Cristina di Svezia. Scienza ed alchimia nella Roma barocca. Atti, Roma, 1989, Bari 1990, p. 131; M.P. Donato, Accademie romane. Una storia sociale (1671-1824), Napoli 2000, pp. 28 s.; M. Stefani, Il "fiume di fuoco dove nuota la vita". Francesco Folli e la trasfusione del sangue, in Figure dell'invisibilità. Atti delle Giornate, Milano-Ginevra, 2002-03, a cura di M.T. Monti - J. Ratcliff, Firenze 2004, p. 11; S. Marinozzi, Rei medicae praelectiones theoricae proemialium questionum, ad mentem peritissimi Pauli Manfredi, 1695, Paulus de Valle sbt.: una raccolta di lezioni di medicina teorica del 1695 allo Studium romano, in Medicina nei secoli, XVI (2004), pp. 409-418.