MANTICA, Paolo
Nacque a Reggio di Calabria il 14 dic. 1878, in una ricca famiglia di proprietari terrieri, dal barone Giovanni e da Fortunata Cimino. Il M. aderì giovanissimo agli ideali del socialismo, del quale fu un animatore nel Reggino e nel resto della Calabria durante i primi anni del Novecento insieme con il fratello Giuseppe Giovanni, ma soprattutto con alcune fra quelle che sarebbero divenute importanti figure del sindacalismo rivoluzionario, come i conterranei A. Lanzillo, M. Bianchi, F. Arcà e A. Renda.
Trasferitosi stabilmente a Roma intorno al 1904, il M. si orientò in maniera ancor più decisa verso il nascente movimento sindacalista, che proprio nella capitale aveva avuto modo di svilupparsi con forza, essenzialmente grazie all'opera di E. Leone. Condirettore con quest'ultimo, a partire dal 1905, de Il Divenire sociale, nonché assiduo collaboratore negli anni seguenti dei principali periodici d'area (da Il Sindacato operaio a L'Azione, da Lotta di classe a L'Internazionale, da La Propaganda a La Guerra sociale fino a Pagine libere), il M. si affermò quindi come uno dei maggiori fautori in Italia della cosiddetta "azione diretta". Ciò, tuttavia, avvenne non solo in virtù delle sue pur indubbie qualità politiche, ma anche in ragione del cospicuo patrimonio personale, che egli spesso mise al servizio di costose iniziative pubblicistiche, in particolare finanziando i giornali Il Divenire sociale, Il Sindacato operaio (entrambi aventi sede e redazione nella sua casa romana di piazza di Spagna), L'Azione e Pagine libere.
Stimato "come uno degli spiriti più misurati e più pazienti che si possano immaginare" (P. Orano, Il fascismo, I, La vigilia sindacalista dello Stato corporativo, Roma 1931, p. 120), nell'ambito del movimento il M. fu, inizialmente, un fedele estensore delle teorie di Leone. In tal senso egli fu molto attento a valorizzare non solo la dimensione economica, o "corporativa", della lotta di classe, ma anche il ruolo politico e perfino parlamentare che le organizzazioni della Resistenza avrebbero dovuto potersi garantire, assorbendo quindi le funzioni svolte dal Partito socialista italiano (PSI) e non semplicemente negandole.
Membro di spicco del Gruppo sindacalista rivoluzionario romano, firmatario del manifesto sottoscritto dai principali esponenti dell'azione diretta in occasione del Congresso nazionale di Roma del PSI nel 1906, il M. nondimeno, a partire da questa data, iniziò a rivedere le proprie posizioni politiche. Essendo stata nettamente sconfitta la prospettiva leoniana sia al congresso del partito, sia nell'ambito del processo costitutivo che in quello stesso 1906 diede vita alla Confederazione generale del lavoro (CGdL), il M. si spostò progressivamente in direzione d'un sindacalismo sempre più apolitico, contrapposto cioè al PSI e in costante polemica con la CGdL. Pur non rivestendo mai ruoli istituzionali rilevanti all'interno dei gruppi che all'inizio del decennio seguente avrebbero fondato l'Unione sindacale italiana (USI), egli tuttavia partecipò attivamente a questa stagione dell'azione diretta, al punto da arrivare a scrivere in uno dei suoi numerosi articoli: "Io ormai sono convinto che o il sindacalismo resterà nei sindacati, o non sarà più sindacalismo, sarà invece una nuova turlupinatura che verrà ad aggiungersi alle altre. […] Il giorno in cui i sindacalisti non riusciranno a trovare nessun punto di contatto con gli altri partiti democratici, solamente in quel giorno il movimento sindacalista inizierà il moto ascensionale verso probabili vittorie e certe battaglie" (cit. da Y[von] De Begnac, L'arcangelo sindacalista, Milano 1943, p. 253).
Impegnato costantemente sul versante antimilitarista, il M. allo scoppio della guerra di Libia fu tra quei sindacalisti che si dichiararono contrari all'impresa coloniale, così come può essere annoverato tra i pochissimi seguaci dell'azione diretta a non rimanere particolarmente affascinato dal Mussolini massimalista, non ritenendo credibile il suo tentativo di rilanciare un indirizzo rivoluzionario grazie al rafforzamento del vecchio PSI, che egli infatti aveva abbandonato nel 1907. Le cose, tuttavia, cambiarono dinanzi al primo conflitto mondiale, che vide il M. interventista convinto, collaboratore de Il Popolo d'Italia, nonché fondatore a Roma, insieme con N. Fancello, A. Lanzillo e F. Pucci, del Fascio rivoluzionario d'azione. Schierato alla sinistra del composito mondo interventista, critico nei confronti dei governi Salandra e Boselli, anche dopo la conclusione della guerra egli tentò di contrastare le spinte nazionaliste e antidemocratiche che stavano egemonizzando quell'area politica. In tal senso il M. tra il 1918 e il 1920, oltre a collaborare al Giornale del popolo di G. De Falco e a Vie nuove, fu uno dei maggiori esponenti dell'Unione socialista italiana (UNSI), un raggruppamento questo che, comprendendo ex sindacalisti come F. Arcà e A. Labriola, ma anche riformisti come I. Bonomi, L. Bissolati e A. Crespi, si riprometteva di "non disperdere le forze d'ispirazione socialista estranee al PSI, cercando di contrapporre ad esso un movimento unitario a carattere nazionale, e soprattutto di riaffermare il carattere socialista, democratico e al tempo stesso nazionale dell'interventismo di sinistra" (G.B. Furiozzi, Il sindacalismo rivoluzionario italiano, Milano 1977, p. 65). Fallita tuttavia l'esperienza dell'UNSI, scioltasi nel 1920 perché incapace di contenere le spinte centrifughe delle sue "tre anime: sovversiva, nazionalista e democratica" (ibid.), il M. accentuò la sua evoluzione in senso liberale.
In questo quadro egli contrastò l'avvento del fascismo, seppur da posizioni ormai organicamente democratiche, che ebbe modo di svolgere collaborando intensamente a Il Mondo di F.S. Nitti e G. Amendola, o a giornali repubblicani come La Critica politica, diretta da O. Zuccarini, e L'Iniziativa, nonché fondando egli stesso nel 1919 il periodico La Calabria, che si batteva per un forte decentramento amministrativo.
Il M., che aveva mantenuto il titolo di barone e svolgeva nella capitale la professione di avvocato, continuò negli anni Venti a manifestare idee contrarie al regime. Appartenente a una famiglia che vantava molti iscritti alla massoneria (il fratello Giuseppe Giovanni, ad esempio, era una figura importante delle logge di Reggio Calabria, tra cui la "Stefano Romeo Aspromonte"), sposato con la giornalista ungherese Margherita Veczy, anch'essa contigua agli ambienti massonici e fervente oppositrice del fascismo, insieme con la moglie il M. si mantenne in contatto tra il 1922 e il 1927 con numerosi esponenti antifascisti europei, in particolare della Germania e dell'Ungheria: ospitandoli in più di un'occasione nella sua abitazione romana di viale Parioli, oppure recandosi in questi stessi Paesi, anche in qualità di conferenziere. Nel 1926 il M. fu denunciato da una domestica, probabile confidente della polizia, per questa attività e per le relazioni sospette - seppur mai del tutto confermate - che, insieme con la moglie, avrebbe tenuto con l'ambasciata sovietica di Roma; sottoposto a continui controlli e nella necessità impellente di ottenere dalle autorità italiane il passaporto per l'Ungheria, indispensabile per andare a trovare la sua unica figlia colà dimorante, il M. dal 1928 attenuò sensibilmente la sua opera di dissidente, fino a farla scemare del tutto negli anni Trenta.
Sorvegliato con attenzione, nondimeno, dalla polizia politica fascista, che segnalò scrupolosamente i suoi viaggi in Italia e in Europa fino alla fine, il M. morì a Roma il 3 genn. 1935.
Opere: Prefazione a M. Sorgue, Proletariato internazionale e rivoluzione russa, Roma 1906; Pagine sindacaliste, Pescara 1908; Colonialismo, funzionarismo, militarismo e reazione, in Pro e contro la guerra di Tripoli: discussioni nel campo rivoluzionario, Napoli 1912, pp. 99-105; I socialisti tedeschi e l'Impero, Pistoia 1915; Il fascismo in Italia (conferenza tenuta a Berlino nel 1923), a cura di A. Riosa, in Historica, 1970, n. 2, pp. 66-84.
Il fratello del M., Giuseppe Giovanni, nato a Reggio di Calabria il 24 apr. 1876, si iscrisse al PSI nel 1897. Seguace di E. Ferri, fece parte della corrente rivoluzionaria del partito, nel quale ricoprì incarichi direttivi sia in ambito locale sia a livello nazionale. Dopo l'avvento del fascismo si ritirò dall'attività politica. Morì nella città natale il 21 ag. 1947.
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