PACIAUDI, Paolo Maria
– Nacque a Torino il 23 novembre 1710 da una «honestissima familia» (Fabroni 1789, p. 180).
Il padre Giuseppe era protomedico presso la corte sabauda sotto la reggenza di Maria Giovanna di Savoia-Nemours e durante il regno di Vittorio Amedeo II di Savoia. La madre, rimasta vedova, aveva poi sposato in seconde nozze il marchese Giulio Mercurino Balbis di Vernone diplomatico a Parigi nel 1689 e nel 1699.
Una lettera, scritta durante gli anni del noviziato a Venezia (Biblioteca Comunale di Torino, Manoscritti Bosio, 51, 231, 24/09/1729) e indirizzata a un familiare, potrebbe far supporre l’esistenza di un fratello, ipotesi che parrebbe però smentita da una lettera del gesuita e accademico fiorentino Giuseppe Richa, uno dei suoi primi maestri, che ne parla come di un «figliuolo unico» (Epistolario Generale, 88, 24/09/1754).
Battezzato nella chiesa di S. Filippo a Torino, dopo essersi formato presso i gesuiti, frequentò l’università di Torino, riformata da Vittorio Amedeo, dove studiò latino e greco con il napoletano Bernardo Lama da cui «conseguì i primi lumi di quel gusto squisito che ha sempre coltivato» (Vezzosi, 1780, p. 118). A diciotto anni decise di vestire l’abito teatino trasferendosi a Venezia per il noviziato dove fu seguito dal dotto padre Camillo Durante che, oltre all’eloquenza latina e la geometria euclidea, insegnava ai suoi allievi come «analizzare e risolvere in tanti sillogismi d’ogni proposizione la dimostrazione» (ibid.).
Il 28 agosto 1729 prese i suoi primi voti e, sotto la direzione del padre Gaetano Travasa, si dedicò allo studio dell’eloquenza ecclesiastica. Si trasferì quindi a Bologna dove ebbe come maestri il fisico Francesco Maria Zanotti, che tentava di conciliare la dottrina aristotelica con le teorie cartesiane e newtoniane e il chimico e naturalista Jacopo Bartolomeo Beccari, con i quali entrò poi in amichevole corrispondenza. Richiamato a Genova, vi proseguì i suoi studi di teologia coltivando al contempo gli studi eruditi che «gli furon sempre prediletti» (ibid., p. 119). Cominciò così a «gustare gli scrittori dell’antichità» e a dar prova di abilità nell’eloquenza con un’orazione in lode di Santa Caterina (Delle lodi di Santa Caterina,1738) e un discorso tenuto di fronte agli Arcadi della Colonia linguistica (Orazione,1740). Nel 1739, ordinato diacono e presbitero nella cappella del palazzo episcopale dall’arcivescovo Francesco Arborio Gattinara, iniziò a tenere lezioni filosofia «a vari giovani di nobil condizione» (Vezzosi, 1780, p. 118), di cui rimane vivida traccia nella Lezione fisica intorno ai principij newtoniani (1741) e che gli valsero l’ottenimento di una cattedra. Decise quindi di dedicarsi alla predicazione che lo portò a viaggiare per dieci anni e nella quale si distinse per la sua abilità oratoria nel «penetrare animus auditorium» (Fabroni, 1789, pp. 184-185) tanto da essere chiamato a Roma nel 1745 per tenere un’orazione davanti al collegio cardinalizio (Ragionamento, 1745) e l’anno successivo, a Napoli, in occasione dei funerali di Filippo V di Spagna (In morte di Filippo, 1746). Non abbandonava intanto gli interessi antiquari, che andavano viepiù alimentandosi anche grazie agli insegnamenti di Apostolo Zeno e che gli valsero l’ammissione, nel 1742, all’Academia Pisaurensis di Pesaro e a quella degli Intrepidi di Ferrara. Si trasferì quindi a Napoli presso il cardinale Giuseppe Spinelli, strenuo difensore delle immunità ecclesiastiche, che lo spronò a coltivare i suoi studi eruditi e per il quale svolse l’attività di revisore «per lo S. Officio» grazie alla quale ottenne di «poter ritenere e leggere libri proibiti d’Istoria sacra, e profana, Dogmatici, filosofici, di Giurisprudenza, Canoni, Morali e lettere umane» (Epistolario Generale, 67, s.d.). La sua collaborazione con Spinelli, che gli avrebbe voluto affidare la cura della sua biblioteca (ibid., 77, lettera di Garampi del 18/04/1750), terminò bruscamente nel 1750 quando il cardinale, accusato di voler introdurre l’Inquisizione a Napoli, fu costretto a rinunciare all’arcivescovato.
Spostatosi a Venezia, Paciaudi dovette ben presto abbandonare l’attività di predicatore a causa della salute malferma che lo affliggeva sin da ragazzo e dopo aver peregrinato tra Bologna e Ravenna fissò la sua residenza a Roma dove consolidò i rapporti con Benedetto XIV, che nel 1750 lo aveva apprezzato per il De sacris Christianorum balneis; il pontefice lo propose come storico dell’Ordine di Malta e lo fece entrare nell’Accademia romana «ove recitò più volte, e sempre con quell’applauso, che da esso attender si poteva» (Vezzosi, 1780, p. 120). A Roma Paciaudi frequentò il cardinal Domenico Passionei, accanito antigesuita, che gli aprì le porte della sua biblioteca, e il giansenista Giovanni Gaetano Bottari. Nel 1753 fu eletto procuratore generale econsultore dell’ordine, cariche che però considerava come «fastidiosi imbarazzi, o importune distrazioni dall’amata occupazione del suo tavolino» (Vezzosi, 1780, p. 120). Divenuto membro dell’Accademia Colombaria di Firenze, di quella degli Erranti di Fermo e di quella del Buon Gusto di Palermo, Paciaudi allargò progressivamente la cerchia di conoscenze (tra cui Giambattista Bodoni che lavorava nella stamperia di Propaganda Fide) avviando un’intensa corrispondenza con studiosi, bibliofili ed eruditi italiani e stranieri (tra cui Jean-Jacques Barthélemy, Anne-Claude-Philippe Caylus, il duca Étienne-François di Choiseuil, Johann Matthias Genser, Johann Ernst Immanuel Walch e Johann Joachim Wincklemann) che gli valse l’ammissione nelle prestigiose Académie des Inscriptions et des Belles-Lettres di Parigi, in qualità di «associé libre étranger», Academia Electoralis Theodoro-Palatinae e Societas Latina di Jena.
Nel 1761 pubblicò i Monumenta Peloponesia, nei quali, con «une critique saine et judicieuse, une sagacité rare, beaucoup de méthode et de clarté dans la discussion» (Dacier, 1809, p. 230) proponeva un’interpretazione della collezione di antichità dei fratelli Nani di Venezia e gettava le basi metodologiche per suoi studi sulle epigrafi che proponeva di ordinare non in classi, come da tradizione, ma per argomento.
In quello stesso anno, grazie alla sua fama di antiquario ma anche di antigesuita, fu chiamato da Léon GuillaumeDu Tillot a Parma, dove fu nominato dal duca don Filippo di Borbone «regio bibliotecario e regio antiquario» con l’incarico di ricostituire la collezione ducale impoverita dal trasferimento a Napoli tra il 1734 e il 1736 dell’intera biblioteca farnesiana di Paolo III e della Galleria ducale, comprendente dipinti e antichità raccolte negli scavi sul Palatino.
Paciaudi entrò ufficialmente in servizio a Parma nel 1762 dopo un viaggio a Parigi – al seguito di monsignor Emilio Lante – dove fu accolto nelle accademie pubbliche e nei raduni privati a casa di Caylus. Presentato alla corte di Versailles e ricevuti gli omaggi di vescovi e grandi di Francia, tornando verso Roma si fermò in Lorena, a Lunéville, dove fu accolto dal re Stanislao Leszczynski, per poi fermarsi a Strasburgo e a Besançon, dove tenne un discorso davanti alla Reale accademia, e poi a Ginevra. A Parma arrivò l’11 dicembre, portando con sé un prezioso «gabinetto scelto» di «libri unici per la filologia, e una raccolta di 200 e più volumi di pieces fugitives rare, fatte in 18 anni di tempo» che donava al duca (Manoscritti Parmensi 1586, 21/06/1762). Paciaudi si dedicò con passione e acribia all’incarico affidatogli. Nel giro di pochi anni, attraverso una cospicua serie di donazioni e l’acquisizione di pezzi rari, rivenuti nel corso di appositi viaggi a Venezia e negli Stati pontifici, e di importanti raccolte librarie e biblioteche, come quella del Conte Carlo Pertrusati di Milano, della famiglia Simonetta, del vescovo di Piacenza mons. Pietro Cristiani, alle quali si aggiunsero, tra le altre, quelle dei membri della famiglia regnante e della corte, Paciaudi ricostituì la biblioteca, che dotò di un catalogo ragionato a schede realizzato su modello della biblioteconomia di Guillaume-Francois De Bure e da Gabriel Martin. Negli stessi anni collaborò anche all’allestimento del Museo ducale di antichità con i reperti rivenuti negli scavi di Velleia, che diresse dal 1763.
Paciaudi collaborò alla realizzazione della politica giurisdizionalistica e statalista di Du Tillot. Con la cacciata dei gesuiti dai Ducati nel 1768, fu incaricato della riorganizzazione del sistema scolastico e universitario. Fu pubblicata così la Costituzione per i nuovi regi studi, dalla cui direzione e cura fu del tutto esclusa la Compagnia di Gesù, sostituita da una commissione, di cui faceva parte anche Paciaudi, che doveva controllare i docenti affinché «niuno ardisca di insegnare se non le prescritte dottrine» (Cesarini Sforza, 1916, p. 122). Alla Costituzione seguirono il Regolamento per le scuole della Ragione civile e canonica (1769), nel quale Paciaudi introdusse lo studio storico delle fonti giuridiche, dal diritto romano a quello «patrio e feudale» e canonico, e il Regolamento per le collazioni dei gradi accademici (1770).
Tra il 1769 e il 1770 pubblicò per la Reale Stamperia, alla guida della quale aveva fatto nominare l’amico Bodoni, alcuni pregevoli volumi tra cui un’opera dedicata alle sei epigrafi, che ricordavano la storia recente del Ducato, scolpite nell’Ara amicitiae, voluta da Du Tillot e progettata dall’architetto Ennemond-Alexandre Petitot per la piazza Grande di Parma e una Descrizione delle feste celebrate per il matrimonio di don Ferdinando con l’arciduchessa Maria Amalia, con testi in francese dell’abate Millot e incisioni di Petitot. Indisse anche un concorso di poesia drammatica, di cui pubblicò il Programma offerto alle Muse italiane, che non ebbe lunga vita ma che vide tra gli sconfitti Ippolito Pindemonte.
Caduto in disgrazia insieme al Du Tillot nel 1771, nel luglio di quell’anno Paciaudi fu costretto ad abbandonare i suoi incarichi e a vivere relegato nel convento teatino di S. Cristina. L’accusa – che poi si dimostrò del tutto infondata – rivoltagli principalmente dal suo collaboratore padre Andrea Mazza, che gli era subentrato nel ruolo di bibliotecario, era quella di aver mal gestito la biblioteca rivendendo i libri dei soppressi conventi dei gesuiti per arricchirsi personalmente e favorendo la lettura dei libri proibiti.
A quest’epoca risalgono il Mémoire sur la Bibliothèque Royale de Parme e la Memoria intorno alla R. Biblioteca Parmense,entrambe pubblicate postume, nelle quali Paciaudi si difendeva dalle critiche sulla costituzione della raccolta e sul suo ordinamento pensato allo scopo di «servire all’istruzione de’ sudditi di S.A.R di ogni genere di studi»; per questa ragione la scelta dei testi da acquisire era partita dalla compilazione di un «piano esatto de’ libri più interessanti e più utili in ogni scienza e facoltà» scegliendo «in ogni classe sacra e profana ciò che è veramente primario» (Memoria, 1815, p. 43 ).
Reintegrato nel 1772, soffrì non soltanto delle precarie condizioni di salute ma anche delle voci che continuavano a circolare sul suo conto tanto da chiedere e ottenere, nel 1774, l’anticipata giubilazione. Si trasferì quindi a Torino, presso il convento di S. Lorenzo, dove i confratelli gli prepararono un «appartamentino con tutti i comodi» (Msanoscritti Parmensi 1587, 17/08/1774) e dove conobbe Vittorio Alfieri. Pur patendo l’isolamento culturale di quella «specie di Siberia» che era Torino (lettera al Sibilato del 22/05/1775, cit. in Tolomei, 1845, p. 40), non gli dispiaceva di potersi dedicare liberamente ai suoi studi, richiestissimo dalla nobiltà locale ma lontano dalla corte, «un mal paese, ce chi n’è uscito una volta, è pazzo se vi rientra» (Epistolario Paciaudi, II, lettera del 09/08/? a Ireneo Affò). Ricredutosi sul suo conto, don Ferdinando di Borbone lo richiamò a Parma nel 1778, dove Paciaudi poté tornare ai suoi «antichi» incarichi anche se «le forze, l’attività non son più quelle» (lettera all’Affò, cit. in Bertini, 1983, pp. 66-67). Le riforme di Du Tillot erano ormai lontane e la sua salute sempre più precaria, tanto da spingerlo a lasciare alcuni appunti autobiografici al confratello Vezzosi per la redazione della sua biografia e a nominare Bodoni «erede fiduciario» delle sue carte (Manoscritti Parmensi 1588, lettera al Bodoni del 23/10/1778).
Già membro della Crusca, nel 1780 venne accolto nella Reale accademia delle scienze e delle belle lettere di Napoli. In quello stesso anno pubblicò i primi tre volumi, corredati da un ricco apparato illustrativo curato da Bodoni, delle Memorie de' Gran Maestri del Sacro Militar Ordine Gerosolimitano, la sua più importante opera storica, alla quale lavorava sin dal 1855 a completamento delle Medaglie già pubblicate nel 1749 in omaggio al gran maestro Emmanuel Pinto. Pur mantenendo il modello dei medaglioni biografici, Paciaudi si riproponeva di superare il mero dato biografico dando rilevo alla narrazione storica di costumi, arti e usanze del «tempo di mezzo» e alla riflessione critica attraverso un adeguato apparato di note.
Morì di colpo apoplettico il 2 febbraio del 1785 e fu sepolto nella chiesa teatina di S. Cristina a Parma. Se nel loro elogio funebre i confratelli lo ricordarono come un uomo dal carattere impetuoso ma buono, generoso e indulgente verso gli altri, diverso fu il parere del gesuita Canonici, secondo il quale don Ferdinando aveva concepito «tanto ribrezzo del nero carattere del Paciaudi, che la Corte in morte di lui non volle che gli si facesse per sua parte la più lieve distinzione» (cit. in Odorici, 1864, p. 461, n. 3).
Opere: Per le opere a stampa del Paciaudi cfr. le bibliografie redatte da Vezzosi (1780, pp. 124-149) e Galletti (1863, pp. X-XIII), tra cui: Delle lodi di Santa Caterina Svezzese, Brescia 1738, Orazione in onore di San Tommaso d’Aquino, in Miscellanea di varie operette, I, 1740, pp. 451-545, Lezione fisica intorno ai principij newtoniani, IV, 1741, pp. 177-272; Ragionamento detto in Vaticano al Sacro Collegio, Napoli 1745; In morte di Filippo quinto re di Spagna, Napoli 1746; Medaglie rappresentanti i piu gloriosi avvenimenti del magistero di s.a.e. fra d. Emmanuele Pinto, Napoli 1749; De Sacris Christianorum balneis, Venezia 1750 (2ª ed., Roma 1758); De cultu s. Johannis Baptistae antiquitates Christianae, Roma 1755; Ad nummos consulares IIIviri Marci Antonii animadversiones philologicæ accedit axplicatio tabulae Peloponnensis, Roma 1757; Monumenta Peloponnesia commentariis explicata, Roma 1761, voll. I-II; Costituzione per i nuovi regi studi, Parma 1768; Regolamento per le scuole della Ragione civile e canonica, Parma 1769; Descrizione delle feste celebrate in Parma l'anno 1769. Per le auguste nozze di sua altezza reale l'infante Don Ferdinando colla reale arciduchessa Maria Amalia, Parma 1769; Regolamento per le collazioni dei gradi accademici, Parma 1770; Ara amicitiae Parmae in foro maiori, Parma 1769; Programma offerto alle Muse italiane, Parma 1770; Ad praeclarissimum Alcorani codicem Regiae bibliothecae Parmensis prologus, Parma 1771; Epithalamia exoticis linguis reddita, Parma 1775; Memorie de' Gran Maestri del Sacro Militar Ordine Gerosolimitano, Parma 1780, voll. I-III; Inscriptiones a J. B. Bodonio collectae, Parma 1798; Memoria ed orazione intorno la biblioteca parmense, Parma 1815. Corrispondenza pubblicata: Lettres de Paciaudi... au comte de Caylus, Parigi 1802; G. P. Tolomei, Dodici lettere inedite di Paolo Paciaudi a Clemente Sibilato, Padova 1845; G. Tononi, Corrispondenza tra il p. Paciaudi e monsignor Alessandro Pisani, Vescovo di Piacenza (1761 1778), Modena 1889; G. Tamani, Il carteggio De Rossi-Paciaudi (1769-1778), Parma 1967; F. Razzetti, Due lettere inedite dell'agronomo inglese John Symonds a Paciaudi, in Aurea Parma, LXXII,1988, pp. 55-58.
Fonti e Bibl.: Parma, Biblioteca Palatina, Manoscritti Parmensi 1586-8 (tre volumi di lettere di Paciaudi); Epistolario generale, 65-95 (lettere ricevute).
A.F. Vezzosi, I Scrittori de' Chierici Regolari detti Teatini, Roma 1780, II, pp. 118-149; Id.,Copia della Lettera, con cui li PP. Teatini di Parma annuntiarono prontamente alla Congregazion loro L'infausta nuova della morte del P. Paciaudi, illustre loro confratello Parma 1785; A. Fabroni, Vitae Italorum doctrina excellentium, IV, Pisa 1789, pp. 177-247; J. Dacier, Éloge du P. Paciaudi, in Histoire de l’Académie Royale des Inscriptions et Belles-Lettres, XLVII, Parigi 1809, pp. 329-337; J. Bernardi, in De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri, X, Venezia 1845, pp. 200-211; F. Odorici, Memorie storiche della nazionale biblioteca di Parma, in Atti e memorie delle Deputazioni di storia patria per le province modenesi e parmensi, I, Modena 1863, pp. 350-378; II, 1864, pp. 443-470; Ch. Nisard, Correspondance inédite du Comte de Caylus avec le P. Paciaudi Théatin, Parigi 1877; W. Cesarini Sforza, Il Padre Paciaudi e la riforma dell'Università di Parma, in Archivio storico italiano, LXXIV (1916), pp. 108-136; U. Benassi, La mente del Padre Paciaudi collaboratore di un ministro nell'età delle riforme, in Miscellanea di studi storici in onore di Giovanni Sforza, Lucca 1923, pp. 425-458;. A. Boselli, Le biblioteche delle provincie di Parma e Piacenza, in Tesori delle biblioteche d'Italia, I, Emilia, Milano 1932, pp. 193-199; Id., Un bibliotecario difeso da un ministro (il Padre Paciaudi e G. Du Tillot), in Accademie e biblioteche d'Italia, anno VII (1933-34), pp. 55-60; Id., Du Tillot, Paciaudi e la Biblioteca di Parma in Mélanges Hauvette, Parigi 1934, pp. 451-460; G. Gasperoni, Il teatino Paolo Maria Paciaudi e l'abate Giovanni Cristoforo Amaduzzi, in Aurea Parma, XXVII (1943), pp. 33-46; E. Nasalli Rocca, Il P. Paolo Paciaudi storiografo dell'Ordine di Malta, in Ivi, IL (1965) pp. 91-102; Id., Il padre Paciaudi nella storiografia del Settecento, in Atti del Convegno sul settecento parmense nel 2° centenario della morte di C. I. Frugoni, Parma 1969, pp. 77-96; C. Burgio, L 'attività culturale di P.M. Paciaudi nella Parma del Du Tillot e la sua "Memoria intorno la Biblioteca Parmense", in Aurea Parma, LXIV (1980), pp. 6-38; Id., Una biografia inedita di Paolo Maria Paciaudi, ibid., LXV (1981), pp. 36-50; Id., P. M. Paciaudi: Bibliotecario innovatore: il catalogo ragionato e il modello della biblioteca, in Accademie e biblioteche d'Italia, XLIX (1981), pp. 43-65; U. Benassi, Vittorio Alfieri nel carteggio del Paciaudi, in Id., Curiosità storiche parmigiane, Parma 1982, pp. 39-43; G. Bertini, P. M. Paciaudi e la formazione della Biblioteca Palatina di Parma, in Aurea Parma, LXVI (1982), pp. 243-264 e LXVII (1983), pp. 15-41; 161-179; L. Farinelli, Paolo Maria Paciaudi e i suoi corrispondenti,Parma 1985; R. Necchi, Cronaca del 1782 in un inedito di Paolo Maria Paciaudi, in Archivio storico per le provincie parmensi, LVII (2005), pp. 416-518; S. Pelagatti, Paolo Maria Paciaudi e il suo tempo, in Regnum Dei, 121 (1995), pp. 299-327; F. Fedi, Un programa per Melpomene. Il concorso parmigiano di poesia drammatica e la scrittura tragica in Italia (1770-1786), Milano 2007; A. De Pasquale, Parma città d'Europa: le memorie del padre Paolo Maria Paciaudi sulla Regia Biblioteca Parmense, Parma 2008; R. Necchi, Venga ormai a diradare le tenebre: erudizione e poesia nel carteggio Rezzonico, in Le carte vive. Epistolari e carteggi nel Settecento, a cura di C. Viola, Roma 2011, pp. 447-457.