MATTEI GENTILI, Paolo
– Nacque a Pennabilli, nel Montefeltro, il 15 ott. 1874 da Cherubino, possidente, e dalla contessa Maddalena Begni.
L’appartenenza a una famiglia borghese, fortemente radicata nel territorio e di solida tradizione cattolica (lo zio paterno, Dario, fu vescovo di Perugia dal 1895 al 1910) gli permise una formazione di alto livello. Compì gli studi liceali nel collegio dei gesuiti di Strada (Castel San Nicolò), in Casentino, conseguendo il diploma come privatista ad Arezzo, e quelli universitari presso la Sapienza di Roma, alla cui facoltà di giurisprudenza si iscrisse sul finire del 1893 e in cui si laureò nell’estate 1897. Conosciuto nel 1894 R. Murri, l’8 dicembre di quell’anno fece parte del gruppo di studenti che, nella casa del sacerdote marchigiano, fondò la rivista La Vita nova.
Il periodo murriano durò circa un decennio, registrando l’iniziale entusiastica adesione, una fattiva partecipazione alla diffusione degli ideali democratico-sociali, ma anche un progressivo distacco dal pensiero e dall’impegno di Murri. Eletto nel febbraio 1896 presidente dell’Associazione universitaria romana fra gli studenti cattolici (la futura FUCI), il M. sottoscrisse diversi appelli (nel luglio 1900 firmò, insieme con Murri e G.B. Valente, quello rivolto alla convocazione, nel settembre successivo, di un convegno democratico-cristiano nella capitale, poi abortito in nome dell’unità delle forze cattoliche) e fu, nell’autunno 1900, tra i fondatori de Il Domani d’Italia.
Contestualmente, rivelò un impegno letterario di timbro verista, pubblicando novelle e racconti (Verso la nuova aurora, Firenze 1900; I cenci, Milano 1901; Attraverso il prisma, ibid. 1904) che apparvero nelle riviste del movimento, registrando un buon successo editoriale e assolvendo a una significativa funzione pedagogico-politica. Tale impegno riguardò anche temi artistici (Alba di secolo, aurora d’arte, Roma 1901) e fu animato dal proposito di coagulare le diverse esperienze culturali che stavano nascendo all’interno del movimento cattolico: a tal fine, utilizzò riviste come L’Ateneo letterario artistico, edita dalla Società italiana cattolica di cultura e da lui diretta dal 1901 al 1904. Secondo il M. erano evidenti i sintomi di un risveglio morale negli scrittori contemporanei e la stessa arte guardava all’idea cristiana con spirito nuovo: pertanto, gli argomenti letterari e artistici avrebbero contribuito al conseguimento di quella «riforma sociale» cui tendevano i giovani del movimento, nel quadro del progetto di una riconquista cattolica della società dal basso che era alla base della politica leonina.
Con il passare degli anni, tuttavia, il M. si rivelò più legato all’interclassismo paternalistico di G. Toniolo e al moderatismo di F. Meda e non seguì Murri né nella battaglia dell’autonomia politica dei cattolici dall’autorità ecclesiastica né nella radicalizzazione dello scontro con la gerarchia. Si mantenne così nell’ambito di una sicura ortodossia, sviluppando una forte sensibilità sociale, anticamera di un «antisocialismo populistico» che sarebbe rimasto costante. Sottomessosi alle Istruzioni pontificie del gennaio 1902, firmando un documento insieme con Valente, L. Stirati e I. Rosa a nome del gruppo democratico-cristiano romano, uscì progressivamente dalla corrente murriana, ripiegò su un’attività prevalentemente culturale e si avvicinò ai settori moderati del movimento cattolico.
Il 14 ott. 1901 si era sposato a Montalcino con la ventiduenne Fidalma Tamanti, nata e residente nella località senese, figlia del possidente Antonio: i coniugi vissero a Roma e dal loro matrimonio nacquero otto figli.
Gli eventi maturatisi nel movimento cattolico e nella politica nazionale tra il 1902 e il 1904 contribuirono a farlo avvicinare alla corrente di Meda, mentre l’impegno giornalistico giunse ad assorbirlo quasi completamente. Collaboratore de L’Osservatore cattolico diretto da Meda, de Il Sole nel Mezzogiorno di Palermo e, a partire dalla fine del 1903, de Il Momento, quotidiano clerico-moderato che cercava di raccogliere consensi in settori più vasti, tra il 1902 e il 1907 il M. raggiunse la maturità giornalistica, segnalandosi come critico letterario e giornalista di costume. Solo alla fine di questo lustro approdò al giornalismo politico, con una serie di articoli di contenuto sociale nei quali seguì le vicissitudini del movimento sindacale nella capitale e nel Lazio e rafforzò la sempre più netta caratterizzazione antisocialista.
Nel gennaio 1907 entrò nella redazione de Il Corriere d’Italia, giornale che transitò nel giugno successivo nelle mani della Società editrice romana (SER), costituitasi dall’intesa fra gruppi finanziari che ruotavano intorno al Banco di Roma e investitori settentrionali, sotto l’egida del conte G. Grosoli. Il 3 dic. 1907 il M. assunse come caporedattore ad interim la direzione del giornale, alla quale venne ufficialmente nominato nel dicembre 1908 e che avrebbe tenuto fino al 1929, anno che segnò la chiusura della testata nonché la conclusione della sua carriera politica.
Sotto la sua direzione il quotidiano divenne il maggiore giornale cattolico italiano, mantenendo un fermo orientamento clerico-moderato e combattendo vivacemente sia i partiti dell’Estrema sia le tendenze laiche del movimento liberale.
Divenuta la SER, tra il 1910 e il 1912, proprietaria di un gruppo di testate (L’Avvenire d’Italia di Bologna, L’Italia di Milano, Il Momento di Torino, Il Corriere di Sicilia di Palermo), il M. ricevette il compito di coordinarle, supervisionandone la linea politica e assumendone la direzione.
Tale trust giornalistico, in linea con gli interessi del Banco di Roma, sostenne la guerra di Libia e assunse posizioni filonazionaliste, imbattendosi tuttavia nei severi richiami delle gerarchie vaticane che, nel dicembre 1912, a causa del disimpegno verso la «questione romana», giunsero a definire i quotidiani «non conformi alle direttive pontificie» (Gariglio, p. 344). Costretto pertanto a lasciare la direzione dei giornali, il M. si ritirò per un anno e mezzo, tra il 1913 e il 1914, in una villa presso Lerici.
Nel luglio 1914, alla vigilia dello scoppio della guerra, riassunse la direzione de Il Corriere d’Italia, dalle cui colonne si impegnò nell’organizzazione della stampa cattolica e seguì attentamente gli sviluppi del conflitto, convinto che sarebbe stato tutt’altro che breve. Nella rubrica «I fatti della guerra», che apparve nei diversi giornali del trust grosoliano, il M. analizzò le profonde trasformazioni recate a livello sociale dalla guerra in Italia come in Europa e auspicò una maggiore iniziativa da parte degli strati po-
polari, iniziativa che avrebbe dovuto rafforzare il peso della componente cattolica, in virtù del suo maggiore legame con le masse. Su questi temi chiamò le maggiori personalità del movimento cattolico a una pubblica discussione (L’Ora dei popoli, 5 apr. 1917). In seguito alla trasformazione societaria del 1917 che diede luogo a cinque distinte società, il M. mantenne la sola guida de Il Corriere d’Italia.
Membro della piccola costituente del Partito popolare italiano (PPI) e del consiglio nazionale eletto dal congresso di Bologna del giugno 1919, il M. si distinse come autorevole esponente del centrodestra insieme con Grosoli e C. Santucci, fautore di un moderato riformismo politico e di una più equa distribuzione della ricchezza che non intaccasse il regime di proprietà. Avversò nettamente la sinistra popolare e, in particolare, G. Miglioli, opponendosi prima al suo ingresso nel partito e richiedendone poi l’espulsione. Nelle elezioni politiche del novembre 1919 fu eletto deputato per il collegio di Ancona-Pesaro, all’interno di una lista popolare che era il risultato di un compromesso tra la corrente moderata e quella progressista.
In realtà era stato eletto per quel collegio P. Cappa che però optò per il collegio di Genova, lasciando il testimone a M. Cingolani, che a sua volta scelse il collegio di Perugia, lasciando strada libera al M., il quale con 3377 voti di preferenza si era classificato quarto nella lista del PPI. Alla Camera votò dapprima la fiducia al governo Nitti, che si era impegnato ad attuare la riforma tributaria guadagnando un «voto di attesa» da parte dei popolari (30 marzo 1920). Una volta transitato il PPI all’opposizione, l’11 maggio 1920 votò contro il governo, mentre concesse il suo voto di fiducia al quinto ministero Giolitti (9 luglio 1920). Frequentatore dei circoli vaticani e attento lettore della stampa estera, il M. aveva ormai acquisito un’autorevole competenza in campo politico-internazionale, competenza che utilizzò nella assidua partecipazione parlamentare. L’8 ag. 1920 intervenne sul trattato di pace di Saint-Germain-en-Laye: se la ratifica appariva un dato indifferibile, anche per non ritardare il ricongiungimento alla patria delle zone redente, il testo veniva giudicato criticamente dal momento che non si ispirava ai principî di autodeterminazione e di libertà dei popoli, ledeva la prospettiva di una collaborazione pacifica tra i popoli stessi e non corrispondeva sufficientemente alle aspettative dei vincitori, tra cui l’Italia, forzata a rinunciare ai propri interessi sull’Alto-Adige in favore di un regime di larga autonomia. Il M. fu membro della commissione d’inchiesta sulle spese di guerra e di quella per l’approvazione del suddetto trattato di Saint-Germain, in seno alla quale redasse pure il disegno di legge. Durante il suo primo mandato parlamentare, inoltre, rivolse una decina di interrogazioni relative al personale della pubblica amministrazione e a questioni marchigiane (lavori di restauro del duomo di Ancona; condizioni dei principali porti adriatici; libertà di voto nel Pesarese; basilica di Loreto).
Mentre era in atto un articolato processo di logoramento dei rapporti con il centro sturziano e lo stesso Corriere d’Italia si spostava a destra, il M. venne rieletto deputato il 15 maggio 1921 nella circoscrizione delle Marche, terzo nei voti di preferenza (23.456) della lista del PPI, dietro a G. Bertini e U. Tupini.
Il 26 giugno 1921 fu tra i deputati che osteggiarono l’ordine del giorno Turati che pose fine al quinto ministero Giolitti; votò, rispettivamente, la fiducia ai governi Bonomi (6 dic. 1921), Facta (18 marzo 1922) e Mussolini (17 nov. 1922). Fu ancora membro della commissione d’inchiesta sulle spese per la guerra, vicepresidente della giunta per le elezioni e della commissione permanente degli Esteri e colonie; si occupò di questioni elettorali e di disparati argomenti (con particolare attenzione al problema dell’ordine pubblico) e svolse, insieme con altri, una mozione sui risultati della conferenza internazionale di Genova, della quale si disse soddisfatto (3 giugno 1922). Nell’assise genovese erano emersi, a suo dire, un significativo sforzo di pacificazione, grazie a un patto di tregua siglato dai rappresentanti di 34 popoli, l’orientamento alla ripresa dei rapporti economici con la Russia, la disponibilità a rivedere con equità le riparazioni imposte alla Germania e il recupero del prestigio internazionale dell’Italia.
All’indomani della marcia su Roma sostenne la collaborazione dei popolari con il primo governo Mussolini, polemizzò duramente con Il Popolo sturziano e si oppose nel gruppo parlamentare allo svolgimento del IV congresso nazionale del PPI a Torino (aprile 1923), continuando a tessere rapporti stretti con il Vaticano da una parte e Mussolini dall’altra. Intorno al M. ruotò di fatto la manovra politica volta a provocare le dimissioni di Sturzo dalla segreteria del PPI: dopo il congresso torinese fu lui, non a caso, che si fece latore dell’invito rivolto dal cardinale P. Gasparri a Sturzo affinché questi lasciasse la carica.
Il 15 luglio 1923, durante la discussione parlamentare sul disegno di legge Acerbo, il M. fu uno dei 9 deputati popolari «cavazziani» che, dopo aver fatto prevalere in seno al gruppo parlamentare la decisione di astenersi sul passaggio alla discussione degli articoli del progetto di legge di riforma elettorale maggioritaria, votò poi a favore, rompendo la solidarietà del partito. Il 25 luglio venne perciò espulso dal congresso nazionale del PPI. Seguivano di lì a poco, in segno di solidarietà col M., le dimissioni dal partito di Grosoli, F. Crispolti, A. Passerini e Santucci.
Nelle Marche, il «collaborazionista» M. disponeva di scarsa influenza politica, poiché il partito era schierato per lo più sulle posizioni di Sturzo e Miglioli, ma vantava grande ascendente sui vescovi e aveva stretto accordi con il ras fascista S. Gai, in nome di una battaglia antimassonica e antilaicista che assicurò a quest’ultimo cospicui finanziamenti attraverso il Banco di Roma.
Nelle elezioni politiche del 6 apr. 1924 si presentò all’interno del «listone» governativo-fascista nella circoscrizione elettorale delle Marche e, con 2388 preferenze, venne riconfermato deputato. Ai primi di luglio beneficiò del rimpasto ministeriale voluto da Mussolini, in piena crisi post-delitto Matteotti, assumendo la carica di sottosegretario al ministero di Grazia, Giustizia e Culto, che avrebbe ricoperto fino al 12 sett. 1929. Leader incontrastato della destra cattolica, fu uno dei più attivi promotori del Centro nazionale italiano, il raggruppamento clerico-fascista – fondato a Bologna, presso la redazione de L’Avvenire d’Italia, il 12 ag. 1924 – che, sottovalutando le capacità di resistenza del PPI all’indomani delle dimissioni di Sturzo, si proponeva come contraltare del partito cattolico. Su incarico del guardasigilli A. Rocco presiedette la commissione per la riforma della legislazione ecclesiastica che tenne i suoi lavori dal 12 febbraio al 30 dic. 1925.
Commissione mista di laici ed ecclesiastici – i monsignori S. Talamo, L. Capitani e P. Cisterna (canonici delle tre basiliche patriarcali di Roma) parteciparono a titolo di esperti –, rappresentò il primo chiaro segnale di un mutamento nei rapporti Stato-Chiesa. Suddivisa in tre sottocommissioni e una di coordinamento, redasse due progetti, concernenti la riforma generale della legislazione ecclesiastica e il regime previdenziale per il clero. Ma l’assenza di una partecipazione ufficiale da parte della gerarchia ecclesiastica tolse spessore ai lavori, e più tardi il Vaticano stesso avrebbe disconosciuto i risultati raggiunti dalla commissione, viziata, a suo avviso, da una «unilateralità» che impediva di risolvere la questione romana. L’attività del nucleo cattolico-nazionale guidato dal M. valse tuttavia a rimuovere alcuni ostacoli sulla via della conciliazione e, non casualmente, proprio a un esponente del Centro nazionale, Santucci, si dovette l’elaborazione, in parallelo all’impegno della commissione, del progetto di riforma della legge delle guarentigie. L’intenso lavorio del M. ratificò, in sostanza, la disponibilità del governo italiano a un accordo che, tradotto a più alto livello, avrebbe spianato la strada al concordato del 1929.
Incline a suggestioni neoguelfe rivisitate in prospettiva nazionalistica, il M. ribadì, nell’ultima fase di impegno politico, l’irriducibile antisocialismo e la consonanza di valori tra cattolicesimo e fascismo sulle questioni dello Stato e della famiglia. Nella XXVII legislatura sostenne apertamente il governo Mussolini, limitandosi in aula ad alcuni interventi su argomenti occasionali e di facciata, oltre a rispondere, nella sua veste di sottosegretario, alle numerosissime interrogazioni.
In questi anni ricevette, inoltre, numerose onorificenze, venendo insignito del titolo di grande ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia (1924) e dei vari gradi di quello dei Ss. Maurizio e Lazzaro (1925-32).
Colpito nel marzo 1929 da emiparesi, ridusse notevolmente la sua attività politica. Fu nominato senatore il 1° marzo 1934.
Il M. morì a Roma il 28 nov. 1935.
Fonti e Bibl.: L’archivio privato del M. è custodito a Pennabilli presso gli eredi. La corrispondenza tra il M. e i principali esponenti cattolici è conservata a Roma, presso l’Istituto L. Sturzo, Carte Meda, Carte Sturzo. Pennabilli, Arch. comunale, Stato civile, cartellino anagrafico del M.; Montalcino, Archivio comunale, Stato civile, Registro matrimoni, atto n. 57 (14 ott. 1901); F. Manzotti, Partiti e gruppi politici dal Risorgimento al fascismo, Firenze 1971, ad ind.; B. Gariglio, M.G., P., in Diz. stor. del movimento cattolico in Italia 1860-1980, diretto da F. Traniello - G. Campanini, II, I protagonisti, Casale Monferrato 1982, pp. 342-347; G. Tassani, P. M.G., in Il Parlamento italiano. Storia parlamentare e politica dell’Italia 1861-1988, XI, 1923-1928. Dalla conquista del potere al regime, Milano 1990, pp. 500 s.; M. Papini, Le Marche tra democrazia e fascismo (1918-1925), Ancona 2000, ad ind.; P. Giovannini, P. M.G. e il gruppo democratico cristiano romano, in Società religiosa e civile nel Feretrano all’alba del ’900. Atti del Convegno… 2000, a cura di L. Bedeschi, Pennabilli 2001, pp. 75-118; Id., Cattolici nazionali e impresa giornalistica. Il trust della stampa cattolica (1907-1918), Milano 2001, ad ind.; Id., Romolo Murri e «l’arte per la vita», in Romolo Murri e i murrismi in Italia e in Europa cent’anni dopo, Atti del convegno… 2001, a cura di I. Biagioli - A. Botti - R. Cerrato, Urbino 2004, pp. 263-282; M. Severini, Notabili e funzionari. I deputati delle Marche tra crisi dello Stato liberale e regime fascista (1919-1943), Ancona 2006, ad indicem.