MONTI, Paolo
MONTI, Paolo. – Nacque a Novara l’11 agosto 1908 da Romeo, di famiglia originaria di Anzola in Val d’Ossola, e da Noris Gragnoli.
La professione del padre, direttore di filiale del Credito italiano, e inoltre fotografo dilettante, fu causa di numerosi spostamenti in varie città di provincia: Novara, Pinerolo e, all’inizio degli anni Venti, Varese. Dopo il liceo, Monti frequentò a Milano i corsi dell’Università commerciale Luigi Bocconi. Si laureò il 13 novembre del 1930.
Appassionato lettore di narrativa italiana e straniera, storia dell’arte e architettura, sin dalla giovinezza coltivò l’interesse per le immagini. Abbonato alla rivista Das Leben, che pubblicava «pagine interne piene solo di fotografie fatte dai migliori fotografi europei», prese l’abitudine di eliminare le sezioni testuali per poi far rilegare gli inserti, componendo quella che egli stesso definì «una specie di storia della fotografia di questi anni» (da un’intervista a Monti, in Chiaramonte, 1993, p. 23).
Dopo la laurea lavorò a Milano in vari studi di commercialista. Nel 1934 abbandonò la città per la campagna, trovando impiego come dirigente amministrativo ai mulini di Cressa in provincia di Novara. Nel 1936 morì il padre. Nello stesso anno sposò Maria Binotti, sua amica d’infanzia e compagna per il resto della vita, e si trasferì a Novara per lavorare alla Montecatini, Società generale per l’industria mineraria e chimica. L’impegno con la grande industria chimica lo portò, nel 1938, a Livorno, presso la raffineria dell’Azienda nazionale idrogenazione combustibili (ANIC). Nella primavera del 1940 venne trasferito alla direzione di Mestre. Poco dopo la fine della seconda guerra mondiale si licenziò dalla Montecatini per assumere la vicedirezione del Consorzio agrario provinciale di Venezia. A Venezia nacque il suo interesse per la fotografia amatoriale e con esso cominciarono le assidue frequentazioni dei fotografi veneziani che si riunivano presso il negozio «Foto record» dei fratelli armeni Vasken e Rant Pambakian.
Nel 1947 fondò, insieme a Luciano Scattola, Gino Bolognini e Giorgio Bresciani, il circolo fotografico La Gondola, alternativo del circolo La Bussola, animato da Giuseppe Cavalli, attorno al quale si raccoglievano i più affermati fotografi dilettanti degli anni Quaranta. Il gruppo La Gondola riprese il principio dell’autonomia estetica dell’atto fotografico, rivendicando tuttavia apertura alle tendenze in atto nella fotografia europea e americana e indipendenza di linguaggio rispetto alle esperienze neorealiste e formaliste dominanti. Monti, eletto da subito presidente, seppur come fotografo fosse ancora alle prime armi, si impegnò a promuovere le fotografie del circolo nelle mostre a concorso, sulle riviste italiane e straniere, per le quali scrisse numerosi interventi critici e recensioni di mostre. La sua produzione scritta restituisce una personalità complessa, abitata da una consapevolezza dello strumento fotografico non comune se messa a confronto con quella dei suoi colleghi.
Monti visse gli anni veneziani con una dedizione appassionata che trovò uno stimolo sicuro nel costante confronto con i fotografi più importanti dell’epoca, da Cavalli a Ferruccio Leiss, e con quelli emergenti come Fulvio Roiter, Mario De Biasi e Ferruccio Ferroni. Dotato di una solida cultura generale, di una buona conoscenza della storia dell’arte e aggiornato sugli esiti e le tendenze della fotografia internazionale dell’epoca, si inserì da protagonista nell’ambiente amatoriale italiano. Nel periodo che va dal 1947 al 1952 ebbe un’intensa attività fotografica e diventò un punto di riferimento per il circuito, tanto da assurgere, secondo quanto affermato da Giuseppe Turroni nel 1959 (p. 49), a guida culturale della fotografia italiana del dopoguerra). Dimostrò anche un certo interesse per il mondo dell’arte contemporanea. A Venezia prima, a Milano poi, frequentò critici, storici e galleristi – come Carlo Ludovico Ragghianti, Giuseppe Marchiori e l’amico Carlo Cardazzo – grazie ai quali entrò in contatto con i protagonisti delle avanguardie nazionali.
Una lunga serie di ritratti d’artista, iniziata a Venezia e proseguita a Milano, testimonia la vicinanza agli ambienti culturali veneziani e milanesi, e la capacità di affrontare i generi – in questo caso il ritratto – con modalità inedite, nella consapevolezza del coevo dibattito tra tradizione e innovazione, tra figurazione e astrazione. Non a caso già dal 1949 intraprese un suo originale percorso attraverso la sperimentazione della fotografia astratta, con esiti quali Scomposizione, la serie sui Muri (dal 1951), i Manifesti strappati (dal 1952) e l’eloquente Omaggio all’informale (1953). La ricerca trovò riscontro nella mostra Subjektive Fotografie di Otto Steinert (Saarbrücken 1951) e in alcuni autori americani come Harry Callahan e Aaron Siskind. Celebre fu la serie di ritratti dedicata alla nipote adolescente Mariel, che Monti fotografò a partire dal 1946.
Le fotografie di Mariel, presentate in un’esposizione del 1956, divennero nel corso degli anni una riflessione sul ruolo della macchina fotografica in rapporto al tempo e alla memoria: «Finalmente – dichiarava Monti – ad aiutare i ricordi venne una macchina, l’apparecchio fotografico […]. Preciso. E fedele?» (Mariel, un volto nel tempo [1956], in Scritti e appunti sulla fotografia a cura di R. Valtorta, Quaderni di villa Ghirlanda, n. 5 Milano 2008, p. 65). L’interrogativo emerse con più chiarezza e forza dalla proficua e frequentata riflessione montiana sulla fotografia come documento e mezzo di restituzione della verità: «Un documento è la certezza di una determinata cosa che la fotografia ci rappresenta e a cui noi dobbiamo e vogliamo credere, e in quest’ultime due parole è tutto il dramma dell’ambiguità della fotografia» (La scrittura della luce [1979], ibid., p. 136).
Il 1952 fu un anno di svolta che segnò il passaggio di Monti dalla carriera dirigenziale, mai del tutto amata, alla fotografia, sua vera passione. Lasciò il Consorzio agrario, partecipò all’organizzazione veneziana della Prima mostra della fotografia italiana del circolo fotografico La Gondola e presentò, a giugno, la sua prima esposizione personale, a Roma, presso l’Associazione fotografica romana. Nonostante i riconoscimenti e le soddisfazioni per l’intensa attività amatoriale, nel 1953 lasciò definitivamente Venezia per trasferirsi a Milano e intraprendere la carriera di fotografo professionista, dapprima in un non meglio conosciuto Studio Fotogramma, poi nello Studio22, per il cui logo si avvalse del grafico Albe Steiner. Nel 1954 fu fotografo della X Triennale di Milano. In concomitanza con questo incarico iniziò a collaborare con riviste quali Domus, Stile e industria, Casabella, Zodiac, Ottagono e altre pubblicazioni specializzate in architettura e design.
Nel 1960 aderì all’Associazione italiana fotografi professionisti (AFIP). Fu attivo nella promozione e nella tutela della fotografia professionale e al contempo si mosse per innalzarne il livello qualitativo, consapevole dell’alta domanda proveniente dal mercato delle immagini, in piena espansione.
In questi anni il capoluogo lombardo divenne, al di fuori delle committenze, il soggetto fotografico privilegiato: «Dopo lunghi anni di assenza, il passato di questa città mi inseguiva: una Milano immaginaria e quasi stendhaliana. Come guarirne? Anch’io ebbi il problema della domenica che in parte risolsi fotografando quella degli altri» (Anni Cinquanta. Domeniche a Milano [1977], ibid., p. 124). Le fotografie milanesi del Ponte della Martesana, di Piazza Fontana, della Darsena ecc. furono il risultato del suo adattamento alla città moderna, che coincise con l’evoluzione di un linguaggio personale capace di affrontare il tema del mutato rapporto tra l’uomo e la metropoli in piena trasformazione.
Parallelamente Monti rinsaldò i legami col mondo dell’arte, continuando i ritratti d’artista e, nei primi anni Sessanta, approfondendo alcuni aspetti della documentazione fotografica degli artisti in atelier per la rivista d’arte Metro. Se pur nel professionismo trovava un campo ricco di stimolanti prospettive, non trasse mai totale soddisfazione dall’ambiente di lavoro e infatti non vennero meno gli interventi per le mostre e le riviste del circuito amatoriale. L’amatorialità fu il suo imprinting fotografico, il cui atteggiamento di ricerca si trasferì anche nella professione: «Per me è motivo di continua sorpresa il fatto che quasi tutti i professionisti fotografano solo su ordine dei committenti e quasi mai per inventare e sperimentare» (Due parole sulla mia fotografia [1981], ibid., p.149). Le sperimentazioni continuarono, sulla scorta delle Astrazioni involontarie, giungendo, dalla fine degli anni Cinquanta, ai chimigrammi, dove la tecnica si elevava a materia in immagini prodotte in camera oscura direttamente sulla carta fotografica, senza l’ausilio del negativo.
Tappa fondamentale per la sua carriera professionale fu l’incontro con l’editoria culturale e con gli enti di tutela del patrimonio artistico. Nel 1965 fu ingaggiato per una campagna di rilevamento fotografico delle emergenze storiche e artistiche, a corredo iconografico della Storia della letteratura italiana Garzanti curata da Emilio Cecchi e Natalino Sapegno. Nel progetto venne coinvolto anche Andrea Emiliani, futuro soprintendente al patrimonio storico e artistico dell’Emilia Romagna e anche grazie alla mediazione di quest’ultimo, Monti si trovò nelle condizioni di poter produrre, negli anni successivi, la più vasta documentazione italiana realizzata da un solo fotografo in tema di censimenti storico- artistici. Nel 1966, inoltre, fu impegnato nel rilevamento delle tipologie delle case rurali nell’Appennino emiliano-romagnolo per l’Istituto dei beni culturali della Regione, iniziando un percorso nella documentazione del territorio rurale che durò fino a pochi mesi dalla morte. Nel 1967 la galleria Il Diaframma, prima a livello europeo interamente dedicata alla fotografia, inaugurò con una mostra antologica sul suo lavoro ventennale. Nel 1968, con Emiliani e Pier Luigi Cervellati, pianificò la documentazione del centro storico di Bologna. Negli anni successivi seguirono i censimenti dei centri storici di Forlì, Cesena, Cervia, Ferrara e Modena. A questo periodo risale una parentesi di insegnamento: dal 1964 al 1966 presso la Società umanitaria di Milano; dal 1970 presso la facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Bologna, dove rimase per soli quattro anni, per poi rinunciare all’incarico.
Gli aspetti tecnici della fotografia di Monti rispecchiano una visione personale dello strumento quale mezzo di espressione delle proprie idee e proprie convinzioni. Nei rilevamenti storico- artistici, per esempio, utilizzò – scelta non comune – il piccolo formato, associato alla Rolleiflex e alle più ‘professionali’ Linhof. Nella campagna fotografica a Bologna, nel 1968, l’uso della Nikon F con obiettivo grandangolare da 35 mm fu fondamentale per entrare in contatto ravvicinato con la città: «Il risultato migliore l’ebbe, direi di diritto, via Castiglioni: percorsa passo a passo con tutte le curve e i suoi dislivelli, cortili, muri e colonne, gradini e selciati, e quei salti d’ombra e di luce che, a una stereometria così complessa e a così varie prospettive, aggiungono il fascino magico di certe antiche scenografie» (La scoperta della città vuota [1970], ibid., pp. 114 s.).
La sua competenza nel campo della fotografia del patrimonio storico-artistico lo portò, tra il 1969 e il 1975, a collaborare con Giuliano Manzutto in vista dell’illustrazione di alcune monografie regionali del Touring club italiano. Nel 1979 l’editore Einaudi gli affidò la cura dell’apparato iconografico della Storia dell’arte italiana.
L’esperienza di Monti nell’ambito della documentazione dei centri storici italiani (per limitarsi al solo formato 24 × 36, l’Archivio Monti conserva, al presente, oltre 50.000 negativi ascrivibili al tema dei centri storici realizzati per conto degli enti pubblici) gli diede il credito necessario per ribadire l’importanza della responsabilità intellettuale del fotografo: «per programmare e conservare occorre innanzitutto conoscere […]. Questo è il momento in cui la fotografia può dare il massimo contributo alla conoscenza di questo mondo civile» (La fotografia al servizio della programmazione [1977], ibid., p. 121).
Gli ultimi anni furono consacrati a un intenso lavoro di documentazione della sua terra d’origine, con un occhio particolare alle case antiche e alle espressioni di architettura spontanea. Dal 1980 fotografò le zone a nord di Novara e, nell’agosto del 1981, la commissione della Fondazione architetto Enrico Monti di Novara gli affidò il compito di fotografare il lago d’Orta e la Val d’Ossola. L’impegno profuso nel corso di 15 anni nel campo del rilevamento fotografico dei beni culturali gli valse, nel 1980, il premio nazionale Umberto Zanotti Bianco, per il contributo alla conservazione del patrimonio storico-artistico italiano.
Verso la metà del mese di settembre del 1982 fu colpito da ictus. Morì a Milano, il 29 novembre 1982.
Figura di spicco della storia della fotografia italiana del dopoguerra, dal foto-amatorialismo, alla fotografia professionale, alla specializzazione nel paesaggio urbano, Monti fu in grado di valutare criticamente le carenze culturali e professionali in cui versava la fotografia in Italia, che denunciò in numerosi interventi nelle riviste di settore e nei cataloghi delle mostre. Attraverso una chiara visione dell’atto fotografico e una non comune etica della professione superò le arretratezze del sistema, contribuendo, con la sua esemplare passione, allo sviluppo della fotografia italiana.
Le sue opere sono conservate presso numerose collezioni italiane. Nel 2008 la Biblioteca europea di informazione e cultura (BEIC) ha acquisito l’intero patrimonio dell’Istituto Paolo Monti, oggi depositato presso il Civico Archivio fotografico del Castello Sforzesco di Milano. Vi sono conservati 223.000 negativi, 12.244 stampe e 790 chimigrammi, oltre all’archivio documentario e alla biblioteca del fotografo.
Tra i numerosi scritti, i principali contributi sono reperibili in: Scritti scelti, 1953-1983, a cura di F. Bertolini, Palermo 2004; Scritti e appunti sulla fotografia ... cit., Milano 2008.
Fonti e Bibl.: l’elenco delle decine di mostre tra personali, collettive e antologiche, è reperibile in G. Chiaramonte, P. M. fotografie 1950-1980, Milano 1993. Tra le pubblicazioni di carattere generale, le più significative: G. Turroni, Nuova fotografia italiana, Milano 1959, ad ind.; P. Morello, La fotografia in Italia. 1945-1975, Milano 2010, ad ind. Le opere monografiche essenziali: P. M. Trent’anni di fotografie 1948-1978, a cura di F. Bonilauri - N. Squarza, Modena 1979; P. M. fotografo e l’età dei piani regolatori (1960-1980), Bologna 1983; A. Arcari, I grandi fotografi: P. M., Milano 1983; P. M. fotografia. Nei segreti della luce, a cura di P. Zanzi, s.l. 2010.