NALDINI, Paolo (Pier Paolo, Pietro Paolo)
– Terzo dei cinque figli maschi di Giovan Battista, scultore, e di Virginia Mari, nacque a Roma il 10 giugno 1616.
Fu battezzato, il 12 giugno, in S. Marcello al Corso, padrino monsignor Paolo Alaleone, cameriere segreto di Paolo V e canonico di S. Pietro, madrina Olimpia Spinetti (Roma, Archivio storico del Vicariato, Parrocchia di S. Marcello al Corso, Battesimi, 1616, c. 90r). La famiglia da almeno due generazioni era dedita a Roma all’arte dello scolpire: il nonno paterno Andrea è registrato con la qualifica di scultore sin dal 1607 (Carloni, 1987).
Risiedette con la famiglia prima in S. Andrea delle Fratte e poi in S. Nicola in Arcione; dal 1634 risulta, senza alcuna qualifica, in casa dello zio materno, lo scultore Baldassarre Mari, in via dei Borgognoni (Roma, Archivio storico del Vicariato, Parrocchia di S. Maria del Popolo, Stati delle anime, 1634, c. 317). A differenza del fratello Alessandro avviato alla scultura e dal 1634 attivo al fianco di Mari, verso il 1630 (Weil, 1974) fu messo dal padre a bottega presso il pittore Andrea Sacchi (Pascoli, 1736, p. 458), nel cui studio rimase sin almeno al 1636, anno in cui vi giunse Carlo Maratti, con il quale strinse duratura e proficua amicizia. L’alunnato presso Sacchi e la conoscenza del suo celebre allievo costituirono una tappa fondamentale nel suo percorso artistico sia perché dal suggerimento di entrambi, con ogni probabilità, dipese la decisione di abbandonare la pittura in favore della scultura, sia perché al loro magistero, marcatamente classicista, rimase sempre fedele.
L’iniziale formazione come pittore e l’asserzione di Pascoli (1736, p. 459) che il cambio di professione avvenne in una età in cui non era più «giovinetto» hanno fatto sì che in passato gli storici abbiano confuso la sua attività pittorica con quella di Pietro Paolo Baldini, pittore romano seguace di Pietro da Cortona (Barroero, 1979), che spesso operò nei suoi stessi luoghi. Provato che spettano a Ubaldini gli affreschi della cupola di S. Maria Portae Paradisi (Fischer Pace, 1991), già assegnati da Spagnesi (1962) a Naldini, la mano di questo sarebbe da ricercarsi all’interno della produzione pittorica di Sacchi del quarto decennio del secolo, muovendo dall’unica prova grafica che gli è attribuita, vale a dire il disegno di nudo conservato presso l’Accademia di S. Luca (Cipriani - Valeriani, 1988, fig. 3).
La prima opera documentata di Naldini scultore è la decorazione a stucco della navata centrale della basilica romana dei Ss. Silvestro e Martino ai Monti, per la quale fu pagato tra il 1649 e il 1652 (Sutherland, 1964) e dove fu impegnato ancora nel 1671 (Migheli, 1992). Le dodici statue in stucco di Santi e Martiri, collocate entro nicchie lungo la navata centrale, i sovrastanti clipei figurati e il fregio modellato in bianco e oro che corre lungo l’architrave della navata gli furono commissionati, forse per diretto interessamento di Sacchi e Maratti (Pascoli, 1736, p. 460), dal priore carmelitano Giovanni Antonio Filippini, promotore del restauro della chiesa, di cui nel 1667 eseguì il busto in marmo (Sutherland, 1964); attorno al 1676 scolpì forse anche quello del suo successore Francesco Scannapieco (Ferrari - Papaldo, 1999, p. 361), situato come il primo nella cripta.
Lo stile degli stucchi di S. Martino, in linea col classicismo di Alessandro Algardi, e l’indicazione, contenuta in un manoscritto del 1652-55 conservato nella medesima basilica (Sutherland, 1964), circa un alunnato di Naldini presso lo scultore bolognese hanno fatto ipotizzare un passaggio, nei primi anni Quaranta, nella sua bottega. Pare tuttavia più credibile che dopo l’apprendistato presso Sacchi Naldini sia passato nella bottega dello zio Baldassarre, collaboratore, sin dal 1645, sia di Gian Lorenzo Bernini, sia di Algardi (Gamba, 2008), e abbia potuto avere presso di lui accesso ai materiali di lavoro della bottega di Algardi, poi rielaborati in S. Martino (Migheli, 1992).
Accademico di S. Luca dal 1652 (Carloni, 1987), istituzione nella quale ricoprì diversi incarichi – stimatore della scultura (1656, 1664, 1665), primo rettore (1667), custode dello studio (1669, 1672) – dal 1654 fu tra i Virtuosi al Pantheon (Carloni, 1987). Risale a quell’anno un Apollo in stucco per una fontana di palazzo Cardelli, in Campo Marzio, saldatogli nel 1655 (Scano, 1961), quando ricevette un acconto per realizzare a stucco, su disegno di Bernini, la figura di S. Prassede sopra la quarta arcata destra della navata centrale di S. Maria del Popolo (Cugnoni, 1883).
Incarcerato per debiti prima dell’agosto 1654, fu liberato grazie all’interessamento dell’oratoriano Virgilio Spada, elemosiniere segreto di Innocenzo X e di Alessandro VII, che lo aveva ingaggiato per eseguire lavori nella cappella di famiglia in S. Girolamo della Carità. Qui Naldini tra il 1654 e il 1656 realizzò i raffinati medaglioni in stucco raffiguranti S. Francesco e S. Bonaventura (ai lati dell’affresco con la Madonna e il Bambino sull’altare maggiore) e Amadore I Spada conil fratello Aleramo e Pietro di Cecco e Serrone di Pietro Spada sopra i monumenti funebri delle pareti laterali (Heimbürger Ravalli, 1977).
Residente tra il 1656 e il 1658 in via Margutta, nella parrocchia in S. Maria del Popolo, con la vedova di suo fratello Alessandro, Apollonia, e i nipoti (Roma, Archivio storico del Vicariato, Parrocchia di S. Maria del Popolo, Stati delle anime, 1656, c. 20; 1657, c. 39; 1658, 46v), fra il 1659 e il 1660 non è registrato nelle carte parrocchiali, forse perché attivo nel cantiere del palazzo del cardinale Marzio Ginetti a Velletri (Cavazzini, 2001-02). Qui eseguì per la galleria del piano nobile alcune Cariatidi in stucco (Pascoli, 1736, p. 459), andate perdute per l’abbattimento del palazzo ma testimoniate da alcune fotografie (Gabrielli, 1907). Sempre a Velletri, secondo Pascoli, avrebbe eseguito altri stucchi, identificabili forse con quelli nella chiesa di S. Apollonia, protettorato del cardinal Ginetti dal 1648, distrutti nel corso della seconda guerra mondiale (Migheli, 1992).
Nel 1661 risulta proprietario di una cava di marmi presso Tivoli (Heimbürger Ravalli, 1977) e alla morte del suo amico e maestro Sacchi (21 giugno 1661; Pascoli, 1736, p. 463), eseguì il monumento funebre, posto nel corridoio della sacrestia della basilica di S. Giovanni in Laterano.
Era stato Sacchi a esprimere nel testamento il desiderio di essere seppellito in S. Giovanni in Laterano presso la tomba del Cavalier d’Arpino e a destinare una considerevole cifra per il suo monumento funebre, indicando che doveva essere disegnato da Bernini ed eseguito da Naldini. La tomba, con iscrizione commemorativa di Giovan Pietro Bellori, è giunta in forma ridotta (Sutherland Harris, 1977, p. 32, fig. 2). La semplice nicchia ovale in cui è inserito il busto e la grande iscrizione sono, con buona probabilità, anche nel disegno, opera di Naldini, come suggerisce il confronto con altri suoi monumenti funebri (Migheli, 1992).
Il monumento a Sacchi fu consegnato soltanto dopo il 1671, forse poco prima della messa in opera, nel 1674, al Pantheon (Titi, 1674-1763), dei busti di Raffaello e Annibale Carracci (ora nella Protomoteca capitolina), destinati a un monumento in onore dei due pittori commissionatogli da Maratti, su suggerimento di Bellori, probabilmente nel 1664 quando Maratti era principe dell’Accademia di S. Luca (Waźbiński, 1988). Dei modelli in terracotta dei due busti, che rimasero di proprietà di Maratti sino alla sua morte nel 1712, resta soltanto quello di Carracci (San Pietroburgo, Ermitage).
Nel novembre 1663 ricevette il saldo di pagamento per il rilievo in stucco con S. Guglielmo d’Aquitania, posto nella prima campata della navata centrale della chiesa di S. Nicola da Tolentino (Zandri, 1987); entro lo stesso anno lavorò alla cappella de Sylva in S. Isidoro a Capo le Case, di cui gli spettano forse le figure in marmo della Pace e della Giustizia della parete destra, le più algardiane dell’insieme (Negro, 2003). Dal 1664 prese parte al cantiere per la chiesa dell’Assunta di Ariccia su progetto di Bernini, dove modellò in stucco dodici Putti e quattro Angeli nella cupola (Incisa della Rocchetta, 1929).
Bernini – al quale Naldini «avrebbe bramato di appoggiarsi» e «pel cui mezzo sperava di potersi avanzare» (Pascoli, 1736, p. 459) – riteneva Naldini secondo soltanto ad Antonio Raggi in qualità di modellatore di stucchi (Incisa della Rocchetta, 1929). Fu forse per questo che prese parte a molte imprese berniniane in Vaticano. Partecipò alla decorazione della Scala Regia (Wittkower, 1981), dove con Ercole Ferrata e Lazzaro Morelli eseguì la gran parte degli stucchi (arpie, tenenti, putti); alla Cattedra, dove lavorò nel 1665 in sostituzione di Pietro Sassi realizzando parte degli Angeli a stucco della Gloria (Battaglia, 1943), e al colonnato, per il quale realizzò, tra l’estate e l’autunno 1666, due statue (Carloni, 1987), forse S. Tecla e S. Agnese (Ferrari, 1996). La partecipazione a questa impresa ha suggerito di assegnare alla sua mano un bronzetto raffigurante S. Agnese (Roma, Galleria Doria Pamphilj) e una terracotta raffigurante S. Giusto (Berlino, Staatliche Museen), considerata modello per la statua presente sul colonnato, realizzata dal cugino Giovanni Antonio Mari (Di Gioia, 2002).
Intorno al 1668 realizzò il busto in marmo del duca Filippo Caetani nella cappella Caetani in S. Pudenziana (Ferrari, 1996). Tra il 1669 e il 1671 fece parte dell’équipe di scultori che eseguì i dieci Angeli in marmo con gli strumenti della Passione posti sul nuovo parapetto di ponte S. Angelo ideato da Bernini (Weil, 1974). Naldini fu l’unico a scolpirne due, quello con la veste e i dadi e quello con la corona di spine, il secondo copia di quello autografo di Bernini in S. Andrea delle Fratte, di cui esiste all’Ermitage una terracotta attribuita a Naldini (Id., 1999, fig. 162).
Riconosciuto come un raffinato conoscitore di antichità, come si ricava da una lettera inviata da Ottavio Falconieri a Leopoldo de’ Medici (Il cardinale Leopoldo..., 1998), nel 1657 restaurò marmi antichi per i Colonna (Catalogo..., 1990), nel 1671 per i Medici (Il cardinale Leopoldo..., 1998) e i Barberini (Aronberg Lavin, 1975). Nel 1668 stimò quanto realizzato da Melchiorre Caffà per la chiesa S. Agnese in Agone (Sciberras, 2004) e tra il 1668 e il 1671 ebbe l’incarico di stimare i marmi presenti nelle raccolte Pamphilj, Baldinotti e Baccelli (Roma, Arch. dell’Accademia di S. Luca, vol. XLII, cc. 79v, 86r).
Nel 1670, sotto la direzione di Carlo Rainaldi, realizzò due figure rappresentanti la Famaper l’arco facente parte dell’apparato effimero eretto dal popolo di Roma in occasione dell’elezione di Clemente X (Carloni, 1987).
Nel gennaio 1671, nella sua casa di via Ursina «prope Corso», fece testamento (Migheli, 1992) forse in previsione di un viaggio, non amando allontanarsi da Roma (come informa una lettera di Gian Lorenzo Bernini all’elemosiniere di Alessandro VII, monsignor Francesco Ferrini, risalente all’epoca dei lavori di Ariccia; Incisa della Rocchetta, 1929, p. 369).
Ancora celibe, elesse erede universale la cognata Apollonia e, in caso di morte di questa, il nipote Filippo, cui lasciò il «credenzino» dei disegni e l’attrezzatura di bottega, da dividere col suo giovane Giovan Pietro Mauri. Richiese di essere sepolto in S. Martino ai Monti e al priore di questa chiesa lasciò per legato i modelli delle statue di S. Pietro e di S. Paolo. Dichiarò poi di aver ricevuto 40 scudi da Maratti per un «busto di Andrea Sacchi» che ordinò fosse, eventualmente, finito da Mauri (Archivio di Stato di Roma, Trenta Notai Capitolini, Ufficio 21, Testamenti [1671-79], XLV, 1671, cc. 1-2, 45rv). I lasciti di pochi scudi alla cappella del Pantheon di patronato dei Virtuosi, ad alcune chiese e al non altrimenti noto Tranquillo Venturelli di Amelia suggeriscono che non disponesse di grandi risorse economiche, anche se l’assenza dell’inventario dei beni allegato al testamento induce alla prudenza.
Il viaggio potrebbe essere quello indicato da Pascoli (1736, p. 461 s.) come di breve durata, tra Alto Lazio e Umbria, a Viterbo, Orvieto e Perugia.
A Viterbo e a Orvieto avrebbe eseguito stucchi e lavori in travertino per alcune famiglie nobili di cui non è noto il nome, mentre a Perugia fu attivo per il conte Orazio Ferretti (Battisti, 1997). Nessuna delle opere ricordate da Pascoli è stata identificata mentre è documentato che tra il 1673 e il 1675 (Migheli, 1992), su commissione dei serviti di S. Marcello al Corso a Roma, lavorò, diretto da Mattia De’ Rossi, per la chiesa di S. Maria delle Grazie (ora S. Filippo Benizi) a Todi, appartenente allo stesso Ordine, eseguendo una statua di S. Filippo Benizi (altare maggiore) e, con un aiuto, una Madonna in gloria (perduta). La collaborazione con De Rossi e i rapporti con i serviti dovevano essersi avviati prima dei lavori a Todi visto che nel 1673 lo scalpellino Carlo Torriani risulta aver completato, in S. Marcello al Corso, il pulpito sorretto da un Angelo in stucco dorato, disegnato da De Rossi e modellato da Naldini, come si evince dal modello in terracotta di sua mano (Roma, Museo di Palazzo Venezia), caratterizzato da maggiore vigore plastico rispetto all’opera finale (Giometti, 2011).
Coeva ai lavori di Todi fu la partecipazione alla decorazione della cappella Ceva nell’oratorio di S. Venanzio, presso il battistero lateranense, avviata dopo il 1673 da Carlo Rainaldi. Qui spettano a Naldini i Putti dei monumenti funebri, opera di Cosimo Fancelli, del cardinale Francesco Adriano Ceva e dell’omonimo canonico lateranense (Migheli, 1992). Nel 1674 fu pagato per aver realizzato, in stucco, quattro puttini della volta in S. Andrea al Quirinale, cantiere berniniano i cui stucchi erano stati affidati a Raggi (Donati, 1940-41). Diretto da Raggi, lavorò anche agli stucchi della volta del Gesù (1672-79), disegnati da Giovan Battista Gaulli.
Al decennio compreso tra il 1670 e il 1680 sono forse da datare (Schlegel, 1985) il busto in bronzo di Bartolomeo Ruspoli (Los Angeles County Museum of art), e quello, in terracotta, raffigurante un gentiluomo, passato sul mercato antiquario (Sotheby’s, 24 gennaio 2008, lotto 150), che presenta affinità con i citati busti del Pantheon. Successivo al 1674 è il busto in marmo di Gaspare Marcaccioni nella chiesa di S. Maria del Suffragio (Ferrari - Papaldo, 1999, p. 330) e dopo il 1677 si data quello dell’inglese James Alban Gibbes, professore di retorica alla Sapienza, dottore in medicina e poeta in lingua latina, morto in quell’anno, situato nella prima cappella a destra dell’entrata del Pantheon, ed eseguito, per espressa volontà di Gibbes, sulla base di un’incisione tratta da un disegno di Pietro da Cortona (Lavin, 1970). Entro il 1675 licenziò i quattro «angeletti» (Titi, 1686, p.78), perduti, che sostenevano il dipinto con la Madonna posto sull’altare maggiore di S. Anna dei Funari (demolita nel 1887) e, prima del 1679, completò i Putti in stucco sopra le porte della cappella Vivaldi in S. Maria in Montesanto e le cornici che ne delimitano gli affreschi (Migheli, 1992). Stando sempre a Titi (1686, p. 450), nel 1686 aveva anche terminato i due Angeli in stucco che sorreggono il globo terrestre posto sul timpano dell’altare maggiore della chiesa di Gesù e Maria al Corso, ideato da Rainaldi, direttore dei lavori di trasformazione dell’edificio (Barbagallo, 1967).
Il 20 maggio 1681 sposò Barbara di Bartolomeo Tavarini (Migheli, 1992), vedova romana, con la quale visse prima in via Ursina e dal 1687 in via del Corso. Secondo Pascoli (1736, p. 466), negli ultimi anni di vita, ammalato, «non potendo più maneggiare il mazzuolo» tornò al’antico mestiere di pittore. Di quest’ultima produzione non rimane traccia.
Morì a Roma il 7 febbraio 1691; fu sepolto il giorno successivo a S. Maria del Popolo (Carloni, 1987).
Fonti e Bibl.: Oltre alle fonti citate: Roma, Arch. storico del Vicariato, Parrocchia di S. Andrea delle Fratte, Matrimoni (1595-1647), 1611, c. 84; Stati delle anime (1617-1622), 1617, c. 27v; 1618, c. 31v; Parrocchia di S. Nicola in Arcione, Stati delle anime (1625-29), 1625, c. 19r; 1626, c. 65v; Parrocchia di S. Maria del Popolo, Stati delle anime (1682-1691), cc.11r, 68 v, 88r; Libro dei matrimoni (1674-97), 1681, c. 62; Libro dei morti (1663-1700), 1691, c. 292v; F. Titi, Studio di pittura, scoltura et architetturanelle chiese di Roma (1674-1763), ed. comparata a cura di B. Contardi - S. Romano, Firenze 1987, pp. 52, 54, 101, 118, 132, 172,201, 203, 206, 220, 222 s.; Id., Ammaestramento utile, e curioso di pittura scoltura et architettura nelle chiese di Roma…, Roma 1686, pp. 78, 450; L. Pascoli, Vite de’ pittori, scultori, ed architettimoderni, II, Roma 1736, pp. 457-467; G. 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