ODESCALCHI, Paolo
– Nacque nel gennaio 1525, quasi certamente a Como, da Bernardo e Lucia Mugiasca. La data di nascita, non attestata si ricostruisce sulla scorta dell'epitaffio.
Il padre era un agiato e influente esponente del ceto mercantile comasco, che nel 1530 fu inviato dalla città all’incoronazione imperiale di Carlo V a Bologna. Inoltre si segnalò per aver collaborato con Girolamo Miani alla fondazione di un ospizio per gli orfani (1535) e soprattutto per aver prestato aiuto nel 1550 al domenicano Michele Ghislieri, nominato inquisitore a Como dalla congregazione del S. Uffizio, durante l’aspro conflitto che lo oppose al capitolo della cattedrale e a una parte significativa della società comasca.
Nulla si sa della formazione di Odescalchi, anche se i documenti lo indicano laureato in utroque iure. È probabile che l’insediamento a Roma sin dalla metà degli anni Quaranta di una sede della compagnia mercantile e bancaria formata da Bernardo e dai fratelli Battista e Giovanni Antonio fosse anche all’origine dei primi passi nella vita curiale di Odescalchi e del fratello Francesco. Grazie al sostegno finanziario della famiglia, il primo poté acquistare gli uffici di abbreviatore apostolico e di correttore delle lettere apostoliche (settembre e dicembre 1551). Nel corso del 1550-51 operò come agente per conto di Bartholomäus von Salis, arciprete di Sondrio, che aveva accusato di eresia il vescovo di Coira Thomas Planta, allo scopo di prenderne il posto. L’operazione non andò a buon fine perché nell’ottobre 1551 il vescovo, recatosi a Roma, fu assolto dal pontefice.
Nel giugno 1553 Giulio III conferì a Odescalchi, divenuto nel frattempo protonotario e referendario apostolico, il delicato compito di nunzio presso i Grigioni. Tale scelta fu probabilmente dovuta al fatto che la famiglia paterna rappresentava un solido punto di riferimento per la S. Sede e soprattutto per Ghislieri, divenuto commissario generale dell’Inquisizione, in una regione di frontiera politica e soprattutto religiosa. In effetti, il breve papale attribuiva al nunzio veri e propri poteri di commissario inquisitoriale: fu incaricato non solo di far predicare nei domini dei Grigioni «per probos et catholicos viros tam saeculares quam cuiusvis ordinis regulares» (Arch. segreto Vaticano, Arm. XXXIX, 60, cc. 104v-105r), ma anche di indagare e procedere contro i sospetti di eresia, ricorrendo al carcere e alla tortura, con facoltà di assolvere, con abiure pubbliche o segrete, coloro che avessero voluto rientrare nella Chiesa, purché non relapsi. Non essendo sacerdote, Odescalchi poteva procedere da solo per il foro esterno, mentre per quello interno avrebbe dovuto ricorrere a un sacerdote di sua nomina. Il documento finì nelle mani di Pier Paolo Vergerio che lo commentò in un libello a stampa (Delle commissioni et facultà che papa Giulio III ha dato a m. Paolo Odelscalco comasco suo nuncio, et inquisitore in tutto il paese di magnifici signori Grisoni… Nell’anno MDLIIII), rilevandone la lesione dei poteri delle autorità civili. Le uniche informazioni circa l’operato di Odescalchi durante il suo soggiorno di alcuni mesi nella zona concernono la sua presenza – conclusasi peraltro con un nulla di fatto – alla dieta di Coira nell’agosto di quell’anno. In una lettera di Vergerio del marzo 1554 viene poi riferito che egli avrebbe denunciato a Roma come eretico l’ambasciatore del re di Francia Jean des Moustiers de Fraisse.
Durante il pontificato di Paolo IV Odescalchi divenne luogotenente per le cause civili dell’uditore generale della Camera apostolica, Francesco Alberici. Alla morte di quest’ultimo, nel giugno 1558, il papa senza nominare un nuovo titolare dell’ufficio, di fatto attribuì a Odescalchi la massima autorità giurisdizionale della Camera con il titolo di viceuditore. A quegli anni risale probabilmente la nascita del solido legame di Odescalchi e del fratello Francesco con la Compagnia di Gesù. Non a caso loro padre patrocinò l’insediamento dei gesuiti prima in Valtellina e poi a Como.
Per Odescalchi, così come per molti chierici di origine lombarda, l’elezione del milanese Giovanni Angelo de’ Medici al soglio pontificio rappresentò un’importante occasione di carriera. Nel giugno 1560 il nuovo papa Pio IV lo inviò infatti a Napoli quale nunzio apostolico. A tale carica sommò, dal settembre successivo, quella di collettore generale degli spogli, delle decime, delle quartae e di ogni altra tassa sulle entrate ecclesiastiche, regolari e secolari, spettanti alla Camera apostolica, sia nel Regno di Napoli sia nella città e diocesi di Benevento, enclave papale nel Regno. A tale scopo fu dotato di ampi poteri per recuperare i beni degli ecclesiastici defunti che fossero stati indebitamente sottratti, anche sotto forma di donazione ai parenti. In un primo momento si dedicò a cercare somme di denaro occultate e prove incriminanti da inviare a Roma contro il cardinale Alfonso Carafa, nipote di Paolo IV allora sotto processo insieme con i fratelli.
Nell’anno e mezzo della sua nunziatura, Odescalchi dovette far fronte a una situazione alquanto difficile, testimoniata da ciò che rimane del suo carteggio con il cardinale nipote Carlo Borromeo. Da un lato, il ristabilimento della presenza a Napoli del rappresentante della S. Sede (dalle funzioni per lo più incerte e mai del tutto accettate dalla Corona), dopo anni di conflitti fra Paolo IV e la casa d’Asburgo, era di per sé una sfida ardua. Dall’altro, la volontà del papa di ristabilire un qualche controllo sul Regno, in virtù della sua alta signoria feudale, a cominciare da quello sulle materie beneficiarie e sui redditi ecclesiastici, finì da subito per mettere in urto il nunzio con il variegato tessuto delle istituzioni ecclesiastiche e con le autorità laiche. Lo scenario che Odescalchi delineò in un memoriale a Roma era fatto di numerosi e continui abusi e scandali addebitabili a chierici, preti e vescovi, spesso in collaborazione con i laici.
In questi anni le disposizioni e le richieste che giungevano da Roma concernevano tanto gli interessi economici del papato, specialmente in materia di spogli, e quelli della nobiltà napoletana, quanto gli aspetti di 'riforma' delle istituzioni ecclesiastiche. Per esempio, con un breve Pio IV riferì la supplica di Anna de Toledo, contessa di Altamira, che aveva chiesto di entrare nel convento napoletano di S. Chiara insieme con tre altre donne al suo servizio. Il papa acconsentì e incaricò il nunzio di esortare la badessa e le altre religiose ad accogliere la contessa e le sue servitrici. Qualora poi avesse deciso di cambiare monastero, egli avrebbe dovuto provvedere allo stesso modo. Altri interventi decisi dal papa riguardarono la divisione della parrocchia di S. Giovanni Maggiore di Napoli, a causa del gran numero di fedeli, da riassegnare ad altre parrocchie in accordo con il vicario generale della diocesi, e la riforma del monastero benedettino femminile di S. Marcellino. In altri casi egli intervenne, come nel classico esempio di una controversia fra la comunità e il capitolo della Chiesa di Atri, da un lato, e la comunità e Chiesa di Penne, dall’altro, per nominare un ecclesiastico, dottore in teologia e di vita esemplare, che esaminasse i rispettivi privilegi e immunità.
Nel settembre 1561 Odescalchi fu richiamato a Roma e sostituito da Niccolò Fieschi quale nunzio a Napoli. Nei mesi successivi fu incaricato dal papa di visitare lo Stato della Chiesa, insieme con Gabrio Serbelloni, nipote di Pio IV e comandante militare. Lo scopo della missione dei due fiduciari era di assumere informazioni circa la situazione amministrativa (compito precipuo di Odescalchi) e militare.
Nel gennaio 1562 un avviso indicava che il papa aveva nominato Odescalchi «assistente alle udienze» e che, per questo motivo, egli era sempre al suo fianco, di modo che le questioni erano poi spesso rimesse a lui. Nel maggio 1562 Pio IV lo inviò in missione diplomatica alla corte di Filippo II. Le istruzioni che gli furono impartite riguardavano l’ampio ventaglio delle questioni politiche più importanti del momento: dall’esplodere delle guerre di religione in Francia al processo inquisitoriale all’arcivescovo di Toledo, Bartolomé Carranza; dai delicati rapporti con la Corona spagnola in merito al concilio di Trento al compito di sovrintendere ai collettori dei regni iberici. Fu comunque raccomandato a Odescalchi di trattare tutte le materie in accordo con il nunzio Alessandro Crivelli, cui recò anche numerosi dispacci. Giunto a Madrid nel mese di luglio, trattò con Filippo II tutti i punti della sua missione, senza però ottenere alcuna risposta soddisfacente. Ritornò a Roma nel marzo 1563.
Nel gennaio 1564 fu nominato governatore della Marca di Ancona. In virtù della sua formazione giuridica e della sua esperienza al servizio del papato, fu uno dei 13 esperti interpellati su sette punti dal cardinale Borromeo nell’agosto 1565, in vista della celebrazione del primo concilio provinciale milanese. Il parere da lui redatto mostra una sicura conoscenza del diritto canonico e assume una posizione di prudente sostegno, data la delicatezza del tema, all’autorità del metropolita. Stretto collaboratore del pontefice, Odescalchi mantenne ottimi rapporti con Carlo Borromeo e fu uno dei curiali lombardi che, dopo il suo trasferimento a Milano, lo tenevano al corrente della vita della corte romana sullo scorcio del pontificato di Pio IV. Le sue lettere dell’ottobre e novembre 1565, per esempio, contengono numerose informazioni su nomine e promozioni, morti e avvenimenti vari, benefici e vescovati vacanti, notizie sulle richieste di soccorso dei cavalieri di Malta.
Nel corso del 1566 fu mediatore fra il gran maestro dell’Ordine di S. Lazzaro e Luis de Requesens, ambasciatore di Filippo II a Roma., il quale nel maggio 1566 segnalò al re che il protonotario Odescalchi era all’origine di una voce secondo cui l’inviato del sovrano appena giunto a prestare omaggio al neoeletto Pio V avesse il compito di ripartire pingui pensioni sulle chiese iberiche fra i cardinali. In questo modo aveva finito per intralciare i piani spagnoli, creando pericolose aspettative.
Nel gennaio 1568 Pio V nominò Odescalchi nunzio e collettore apostolico «citra et ultra Pharum», ossia per i Regni di Napoli e di Sicilia. Alla fine di febbraio 1568 – avendo ricevuto l’ordinazione sacerdotale solo due mesi prima – fu creato vescovo di Atri e Penne (in Abruzzo). Il mese successivo era sicuramente a Napoli, come testimoniano alcune sue lettere al cardinale Guglielmo Sirleto, munito di alcuni brevi papali che gli concedevano amplissimi poteri in materia di spogli ecclesiastici, di difesa della giurisdizione e della libertà ecclesiastica, di gestione economica dei benefici vacanti e di recupero dei beni della Chiesa che fossero stati male alienati. Il viceré di Napoli, Pedro Afán Enriquez de Ribera, duca di Alcalá, e il Consiglio Collaterale concessero, con alcune significative restrizioni, l’exequatur al nunzio. La reazione di Filippo II fu invece assai più dura, anche in considerazione dell’esplodere del conflitto con Pio V circa la pubblicazione della bolla In Coena Domini, con modifiche che la rendevano un formidabile strumento giuridico-canonico nelle mani del papato. Il re cattolico investì della questione Requesens, incaricandolo di far presente al pontefice che l’inclusione della Sicilia nella giurisdizione del nunzio risultava gravemente lesiva del privilegio della legazìa apostolica esercitato dai sovrani nell’isola. Allo stesso modo il monarca protestò fermamente contro le novità in materia di tutela della libertà ecclesiastica e di gestione economica dei beni della Chiesa nel Regno di Napoli.
Per quanto riguarda la giurisdizione e l’autorità del nunzio, i problemi incontrati da Odescalchi emergono in un interessante documento, contenente i numerosi quesiti che egli inviò a Roma circa il comportamento da tenere nei riguardi delle diverse questioni: in particolare nei confronti dell’esercizio dell’exequatur che la Corona esercitava – fino ad allora senza alcuna opposizione – nei confronti di tutti gli atti della S. Sede; il fatto che al nunzio papale non fosse riconosciuta la precedenza che spettava al vicario di Cristo; l’incameramento dei redditi delle diocesi di giuspatronato regio durante la loro vacanza; ma anche gli abusi dei vescovi che conferivano i benefici nei mesi riservati alla S. Sede, le numerose violazioni della libertà ecclesiastica e infine il rispetto dell’obbligo di concedere la licenza di esportazione di vino verso Roma, in virtù dell’investitura papale del Regno.
Ai primi del 1569 Pio V decise di sostituire nella nunziatura Odescalchi con Cesare Brumano. Odescalchi si recò allora a prendere possesso della sua diocesi. I documenti indicano che ebbe cura di esercitare la collazione dei benefici con scrupolo nel rispetto delle normative tridentine. Inoltre si dedicò a proprie spese al restauro del palazzo vescovile, da tempo in stato di abbandono, e della cattedrale di Atri. Durante il suo episcopato scoppiò un conflitto di precedenza fra i capitoli delle cattedrali di Atri e di Penne. Infatti, allorché egli convocò il sinodo diocesano ad Atri, il capitolo dell’altra città protestò il suo diritto a essere ritenuta l’unico capo della diocesi. Malgrado le proteste, il presule, forte di un breve papale, celebrò il sinodo come stabilito. Nel frattempo, secondo il gusto patrizio del tempo, volle anche edificare – sempre a proprie spese – una villa suburbana ad Atri, completa di frutteto, vigneto e oliveto, da lasciare ai successori: a tale scopo avviò una complessa operazione di compravendita di terreni e immobili che coinvolse i frati minori osservanti, il feudatario Giovanni Girolamo Acquaviva e la Comunità.
Nel maggio 1571 era di nuovo a Roma, richiamato da Pio V. Da lì continuò a seguire le vicende della sua diocesi: in special modo il conflitto di precedenza fra i capitoli di Penne e di Atri – che si sarebbe trascinato nei decenni successivi – e i lavori del palazzo vescovile. In una sua missiva al capitolo di Atri raccomandò che si pregasse per la Chiesa, il papa e la flotta della Lega Santa. Infatti in quei giorni Pio V aveva destinato il presule quale nunzio presso don Giovanni d'Austria, comandante supremo della flotta della Lega Santa. Odescalchi si imbarcò sulla nave di Marco Antonio Colonna nel giugno di quell’anno. Alla fine di agosto le galee papali si riunirono al grosso della flotta a Messina. Qui il nunzio operò secondo le direttive ricevute dalla S. Sede per spronare Giovanni d'Austria allo scontro con gli ottomani. A tale scopo furono promosse diverse cerimonie religiose pubbliche, nel corso delle quali egli pubblicò l’indulgenza plenaria per i partecipanti alla spedizione, contribuendo a creare un clima di esaltazione che culminò nella benedizione degli equipaggi. Dopo la vittoria di Lepanto fu inviato presso i duchi di Urbano, Ferrara, Mantova e Parma per sollecitare aiuti finanziari all’imperatore alle prese con l’offensiva ottomana. Quindi fu nuovamente destinato presso Giovanni d'Austria a Messina nel giugno 1572 con gli stessi compiti dell’anno precedente. Questa volta però, poté solo essere testimone impotente dello sfaldamento della flotta e della Lega, a causa dei dissidi politici.
Rientrato a Roma, anche a causa delle continue beghe, nel settembre 1572 resignò il vescovado di Penne. Fra il 1575 e il 1576 affiancò il cardinale Giovanni Morone nella missione di legato di papa Gregorio XIII a Genova, per pacificare la città in preda alla guerra civile.
Sugli anni seguenti non si hanno quasi notizie, tolto il fatto che suo fratello Francesco morì a Roma nel 1577. Inoltre risulta che Paolo e un altro fratello, Girolamo, che gestiva gli affari bancari di famiglia a Roma, avevano preso in affitto dai Capranica (in una data imprecisata anteriore al 1577) una tenuta nei dintorni di Roma detta Capocotta. Le uniche tracce su Paolo sono le lettere da lui inviate a Carlo Borromeo, con il quale era sempre in contatto. A esempio, nel 1578 mandò una supplica per accogliere nel Seminario ambrosiano il diciottenne Giovanni Giacomo Pianta di Lugano «d’honorata famiglia et di laudevoli costumi», ben istruito nella grammatica latina e nella musica (Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., F.93 inf., c. 477r, Roma, 13 settembre 1578). Nell’ottobre 1582 Ludovico Barbiani di Belgioioso informava Borromeo di una missione a Milano di Odescalchi allo scopo di perorare una sua non meglio specificata causa su cui sperava di ottenere l’appoggio del porporato.
Morì a Roma l’8 febbraio 1585. Fu sepolto nella chiesa di S. Girolamo della Carità, dove i nipoti Pietro Giorgio, protonotario apostolico, Ludovico e Paolo, figli dei suoi fratelli gli fecero erigere una lapide. Questo elemento smentisce la circostanza, riferita da vari eruditi e studiosi, secondo cui sarebbe stato ancora vivo nel 1593.
Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Arm. XXXIX, 60, cc. 104v-105r, 119; XLII, 13, c. 338r; 16, c. 69r; XLIV, 11, c. 238; Misc. Arm. II, 82, cc. 326v-327, 334r; Ep. ad Princ., Registra, 1, cc. 442r, 483r, 504, 528r, 530r; Segr. Stato, Spagna, 39, cc. 41v-42r, 66r, 70r, 78v, 104r; Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., F.93 inf., c. 477r; F.106 inf., cc. 38-39r, 128-129r, 150r, 293-295r, 383, 459-460r; F.160 inf., c. 243r; Madrid, Biblioteca Real, Mss., II/2276, c. 240; F. Ballarini, Compendio delle cronache della città di Como, Como 1619, pp. 195 s.; G. Ciampini, De abbreviatorum de parco maiori… dissertatio historica, Roma 1691, p. XXVI; K.U. von Salis, Fragmente der Staats-Geschichte des Thals Veltlin und der Grafschaft Clefen und Worms, aus Urkunden, II, s.t. 1792, pp. 102-105; Documenti circa la vita e le gesta di s. Carlo Borromeo, a cura di A. Sala, I, Milano 1857, pp. 54-56, 582 s.; A. Guglielmotti, Marcantonio Colonna alla battaglia di Lepanto, Firenze 1862, ad ind.; V. Forcella, Iscrizione delle chiese e d’altri edificii di Roma, IV, Roma 1874, p. 252; N. von Salis-Soglio, Die Familie von Salis, Lindau i.B. 1891, pp. 69, 73, 121, 341; B. Fontana, Documenti vaticani contro l’eresia luterana in Italia, in Archivio della Società romana di storia patria, XV (1892), pp. 424-426; R. De Hinojosa, Los despachos de la diplomacia pontificia en España, Madrid 1896, pp. 147-154; J. Šusta, Die römische Curie and das Concil von Trient unter Pius IV, III-IV, Wien 1909-11, ad indices; H. Biaudet, Les nonciatures apostoliques permanentes jusqu’en 1648, Helsinki 1910, p. 277; L. Serrano, Correspondencia diplomática entre España y la Santa Sede durante el pontificado de S. Pio V, Madrid 1914, I, pp. 192, 255, 410; III, p. 12; IV, p. 551; Hierarchia catholica, III, Münster 1923, p. 271; L. von Pastor, Storia dei papi, VII, Roma 1923, pp. 85 s., 498, 526, 618; VIII, ibid. 1924, pp. 290, 296, 300, 302, 556; B. Katterbach, Referendarii utriusque Signaturae a Martino V ad Clementem IX, Città del Vaticano 1931, pp. 109, 149; G. Mira, Vicende economiche di una famiglia italiana dal XIV al XVIII secolo, Milano 1940, ad ind.; P. Paschini, Cinquecento romano e Riforma cattolica, Roma 1958, p. 113; P. Villani, Origine e carattere della nunziatura a Napoli (1523-1569), in Annuario dell’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, IX-X (1957-58), pp. 318 s., 328-332, 422-435 e 537-539; R. De Maio, Alfonso Carafa cardinale di Napoli (1540-1565), Città del Vaticano 1961, ad ind.; Nunziature di Napoli, a cura di P. Villani, I, Roma 1962, ad ind.; M. Scaduto, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, III-IV, Roma 1964-74, ad indices; G. Tomassetti, La Campagna romana, V, Roma 1977, p. 493; R. Savelli, La repubblica oligarchica. Legislazione, istituzioni e ceti a Genova nel Cinquecento, Milano 1981, ad ind.; L. Sorricchio, Hatria - Atri, Atri 1981, pp. 589-594; Manoscritti d’interesse abruzzese nelle biblioteche romane, a cura di G. Morelli, L’Aquila 1982, p. 159; Regesto delle pergamene dell’Archivio capitolare di Atri, a cura di B. Trubiani, II, L’Aquila 1985, ad ind.; F.F. Ardizzon, San Girolamo della Carità..., Città del Vaticano 1987, pp. 72 s.; C. Greco, Penne capitale farnesiana. Lo stato aprutino di Margherita d’Austria, Penne 1988, pp. 86-89; W. Goralski, I primi sinodi di san Carlo Borromeo. La riforma tridentina nella provincia ecclesiastica milanese, Milano 1989, p. 55; Legati e governatori dello Stato pontificio (1550-1809), a cura di Ch. Weber, Roma 1994, pp. 138, 285, 804; A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino 1996, p. 105; Ch. Weber, Die Päpstlichen Referendare 1566-1809, III, Stuttgart 2004, p. 771; F. Meyer, La comunità riformata di Locarno e il suo esilio a Zurigo nel XVI secolo, a cura di B. Schwarz, Roma 2005, pp. 64 s., 67, 322; G. Civale, Guerrieri di Cristo. Inquisitori, gesuiti e soldati alla battaglia di Lepanto, Milano 2009, ad indicem.