ORANO, Paolo
ORANO, Paolo. – Nacque a Roma il 15 giugno 1875 da Giuseppe Orano Suella (1841-1908) e da Maria Fiorito Berti (1845-1919), secondo di sei fratelli.
Il padre, di origine sarda, avvocato, a partire dal 1884 professore all’Università di Roma, era noto per i suoi studi positivisti di giurisprudenza. Maria Fiorito, che ebbe un notevole peso nella formazione dei figli, era stata allevata dallo zio Domenico Berti (1820-1897), deputato, massone, più volte ministro, senatore, a cui Paolo fu sempre devoto.
Il 17 novembre 1897 si laureò in lettere all’Università di Roma e il 28 giugno 1898 in filosofia con una dissertazione su Luigi Pecchio, supposto precursore del marxismo. Tra i suoi professori c’erano il padre, Antonio Labriola, Enrico Ferri, l’antropologo Giuseppe Sergi. Iniziò anche a frequentare la Società di antropologia, fondata e presieduta da Sergi.
Alla Sapienza conobbe la futura moglie, Gina Fantacchiotti (nata il 15 dicembre 1872), che sposò il 17 settembre 1900. Il 12 dicembre 1901 nacque il primo figlio, Mario, l’8 maggio 1903 il secondo, Marcello. Morta la moglie nel 1919, Orano si risposò l’8 febbraio 1920 a Parigi con Camille Mallarmé, scrittrice, parente del poeta Stéphane e sorella del politico francese André.
Da studente iniziò a scrivere su svariati giornali. Avviò così un’eclettica produzione saggistica che proseguì per tutta la vita: sull’etnologia, la psicologia, la storia del giornalismo, le biografie di personaggi famosi (poi raccolte nei cinque volumi de I moderni, Milano 1908-26), il marxismo, la storia del cristianesimo.
In cinquant’anni scrisse più di 300 tra libri, opuscoli, prefazioni, a cui sono da aggiungere centinaia di articoli su disparati quotidiani e riviste. Giustificava il suo eclettismo con le origini da filosofo, origini culturali che lo indussero anche a coltivare un’evidente diffidenza verso la politica rispetto alla sociologia, che era la vera scienza «inoppugnabile» (Lo spirito politico degli italiani, II, in Rivista politica e letteraria, 15 luglio 1900, p. 79). Si mise in luce anche come autore d’interventi polemici che poi in parte raccolse e intitolò Discordie (Lanciano 1915).
Furono soprattutto due testi sulla Sardegna ad attirare l’iniziale attenzione su di lui: Psicologia della Sardegna (Roma 1896), frutto di un viaggio di studio compiuto per conto della Società geografica italiana e della Società di antropologia, insieme all’etnologo Alfredo Niceforo; l’anno dopo, Il rinnovamento della Sardegna apparso sulla rivista Rassegna nazionale (XIX [1897], 3, pp. 477-503; 4, pp. 636-667). In entrambi, Orano sottolineava l’arretratezza di diverse parti dell’isola, attribuendola a motivi storici e politici ma anche etnici. Non mancarono quindi le accuse di razzismo; ma anche qualche estimatore, come Grazia Deledda.
L’eclettismo non favorì l’elaborazione di pensieri originali da parte di Orano. Per il profluvio degli scritti e per la facilità con cui ribaltava le proprie posizioni fu anzi oggetto di forte disprezzo da parte di diversi intellettuali (Croce, Sorel, Gramsci, Gobetti). Tra tutti i giudizi negativi, si ricorda la terribile parodia apparsa sul supplemento straordinario a La Voce del 30 gennaio 1911, dove venne chiamato Paolo Orino, «perché sempre pronto a spander liquidi di parole sopra qualsiasi soggetto» (G. Prezzolini - A. Casati, Carteggio, I, Roma 1977, p. 261).
Era consapevole di appartenere, per origini famigliari, a un’élite, ma anche di far parte di una generazione che si allontanava dai padri risorgimentali e dalla politica liberale. Da una parte non cessò mai di farsi cooptare nelle istituzioni più solide: massoneria, scuola, parlamento, università. Dall’altra, a disagio e diffidente verso i nuovi partiti più o meno di massa, produttori di miti e ideologie, provò a bordeggiarli: ma, incapace di emergervi, cercò sempre l’appoggio di un leader. Come saggista invece ebbe una capacità felina di intuire taluni punti di rottura dell’epoca, su cui scrisse testi che entrarono nel dibattito pubblico italiano: si ricordano in particolare quelli sul cristianesimo e poi, soprattutto, sugli ebrei.
Il 12 aprile 1898 fu accolto dal Grande Oriente d’Italia, nella loggia Universo, dove fu molto attivo. Al periodo massonico risale la pubblicazione dei primi scritti sul cattolicesimo: sulla Rivista della massoneria italiana apparvero le due puntate di Fisiologia del cattolicismo (luglio-ottobre 1898, n. 13-16, pp. 205-215; già anticipato sul giornale vicino a Sergi, Pensiero nuovo, I [1898], 1, pp. 45-60; 2, pp. 108-114; 4-5, pp. 259-262) e L’Italia cattolica (1899, nn. 1-2, pp. 9-17; 3-5, pp. 39-48; 6-8, pp. 87-95; 9-11, pp. 132-142; poi in volume, Roma 1899). Non in sede massonica, ma dopo avere sottoposto l’opera al futuro Gran maestro Ettore Ferrari (lettera del 30 maggio 1899, Roma, Archivio centrale dello Stato [ACS], f. Ferrari, b. 14, f. Orano Paolo), pubblicò invece Il problema del Cristianesimo (Roma 1900, con tre riedizioni fino al 1928), iniziato nel 1895 e anticipato in parte sulla rivista napoletana e laica Flegrea (vol. 4, 1899, 1, pp. 33-50; 4-6, pp. 487-501).
Nella prima versione di questo studio ‘sociologico’ sullo sviluppo del cristianesimo sostenne varie tesi, perlopiù anticristiane. In particolare affermò che era esistita una Romanità costruttiva, che però era stata rovinata e indotta alla «rassegnazione» dall’idea evangelica, figlia del «messianismo israelitico», parte mistica e «debole» del Cristianesimo. Mentre l’Impero romano conteneva i germi del successivo decadimento, rappresentati per esempio dalla grande quantità di schiavi, la Chiesa, identificandosi con l’Impero, ne aveva assimilato i tratti autoritari ed era sopravvissuta.
La prima edizione del libro ricevette modeste attenzioni: ma per esso il sociologo Gabriel Tarde sulla Revue philosophique de la France et de l’Étranger (luglio-dicembre 1901, vol. 52, p. 697) definì Orano «un des esprits plus délicats d’Italie». Maggiore fu il successo dell’edizione del 1908, intitolata Cristo e Quirino. Mussolini (maggio 1910) parlò dell’autore come di «una magnifica tempra di ricostruttore storico» (La lotta di classe, n. 20). Più avanti, il 3 maggio 1929, nel discorso sui Patti lateranensi (Opera omnia, vol. XXIV, p. 45) , tornò a parlarne in chiave anticattolica, malgrado il libro fosse stato nel frattempo, da questo lato, ammorbidito.
Anche la carriera scolastica di Orano all’inizio si svolse sotto la protezione della massoneria. Nel 1899 divenne ‘reggente’ di filosofia nel liceo di Trani, l’anno successivo passò a Senigallia. Nel 1901 fu trasferito a Tivoli; due anni dopo ancora, essendosi nel frattempo legato al ministro Nunzio Nasi, altro massone di cui scrisse un panegirico (Rivista di filosofia e scienze affini, nov.-dic. 1901, vol. 5, n. 5-6, pp. 371-392), era a Roma, nel prestigioso liceo Mamiani. Nell’aprile 1903 tentò invano la libera docenza in storia della filosofia a Padova.
In quello stesso 1903, dopo che Nasi fu politicamente stroncato da un’accusa di peculato, Orano uscì dalla massoneria, a suo dire perché l’organizzazione aveva lasciato cadere la legge divorzista annunciata da Zanardelli. Dopo aver brevemente saggiato il Partito repubblicano, scelse infine quello socialista. Il suo iniziatore e protettore fu il suo ex professore Enrico Ferri, uno dei leader del partito, che lo inserì prima nel suo quindicinale Socialismo, poi, quando ne divenne direttore, nel quotidiano Avanti! Dal 18 giugno 1904 iniziò a firmare lunghi articoli in prima pagina e poco dopo fu assunto come redattore.
L’impegno socialista lo condusse ad avviare nello stesso periodo un’altra attività che contribuì a renderlo noto ed era moderatamente redditizia: quella di conferenziere professionista.
Il giornale gli affidò una velenosa serie anonima di ‘ritratti’ di deputati, soprattutto liberali e repubblicani, uscita con il titolo I 508… moribondi dal 27 agosto al 6 novembre 1904 e proseguita con altro titolo fino al 16 gennaio 1905. La reazione di alcuni repubblicani fu violenta, l’anonimato fu violato e Orano venne aggredito. In più, uno dei deputati ritratti, Domenico De Michele Ferrantelli, lo querelò per essere stato indicato come mandante di un assassinio. Su Orano si scatenò una tormenta giudiziaria e giornalistica in cui fu messo tutto sul piatto, compresi i favori scolastici e i precedenti massonici. Si difese scrivendo l’opuscolo La massoneria dinanzi al socialismo (Firenze 1905) e facendo appello a una sorta di giurì dell’organizzazione socialista romana, che era guidata dal futuro segretario del PNF Michele Bianchi. I risultati dell’inchiesta furono peraltro controproducenti, perché diverse accuse vennero confermate, compresa quella, forse ingiusta, di aver insinuato in quei ritratti una nota antisemita.
Aggravavano la situazione i problemi politici interni all’Avanti!, Orano si legò ai cosiddetti ‘sindacalisti’, che erano stati chiamati da Ferri quando si era alleato con la sinistra del partito e con il ‘sindacalista’ Labriola e a capo dei quali era il caporedattore Enrico Leone. Quando nel 1905 Ferri decise di avvicinarsi al ‘centro’, il gruppo dei ‘sindacalisti’ scese sul piede di guerra. Orano cercò di prendere una posizione intermedia e rimase sia nel giornale sia nel partito, avendo tra l’altro il notevole problema personale della querela. Ferri continuò ad appoggiarlo in apparenza, ma dichiarò (Avanti!, 2 giugno 1905) che diverse notizie del medaglione su De Michele erano in effetti false, ma che all’epoca non ne sapeva niente: particolare poi sbugiardato sui giornali sindacalisti.
La presenza di Orano nel Partito socialista (fino alla fine del 1906) fu condizionata dalla vicenda della querela. Il 15 luglio 1905 fu condannato a 10 mesi di carcere e a 833 lire di multa, sentenza confermata il 4 luglio 1906 dalla Corte d’Appello dell’Aquila. Prima di arrivare in Cassazione, fece ammenda e la querela fu ritirata, ma seguirono risvolti pesanti anche per la sua vita privata e la sua carriera. Entrò di ruolo nei licei il 27 agosto 1906, ma lo stesso giorno (24 ottobre) in cui l’Avanti! rese note le rassicurazioni del ministro Luigi Rava sulla sua sorte, Giolitti in persona, ministro dell’Interno e presidente del Consiglio, chiese a Rava di prendere provvedimenti contro Orano, che fu quindi trasferito a Matera.
Fu l’origine della successiva violenza verbale di Orano verso il Partito socialista. Continuò a militare tra i ‘sindacalisti rivoluzionari’, con cui venne perfino arrestato la sera del 3 aprile 1908 (in realtà si trattò di un breve fermo di polizia, annullato dall’intervento del deputato repubblicano e futuro Gran maestro della massoneria Eugenio Chiesa) ma ciò che caratterizzò i suoi interventi furono soprattutto i toni sempre più violenti che usò, fino allo scontro fisico e alle querele con alcuni deputati socialisti (Avanti! , 25 e 29 luglio 1910).
A Matera non andò, riuscendo per due anni consecutivi (1906-08) a ottenere l’aspettativa. Tentata di nuovo invano la libera docenza (nel novembre 1907 di filosofia della storia a Roma; ripeté il tentativo nel 1914 per filosofia del diritto a Bologna), tornò a insegnare al liceo, prima a Lanciano (Chieti), poi nel 1910 a Siena, infine nel 1914 a Roma, prima al Visconti e poi al Mamiani, dove rimase in ruolo fino al 1919, quando diede le dimissioni perché eletto deputato.
Intanto iniziò a collaborare con i giornali borghesi, La Stampa, il Giornale d’Italia e poi (15 aprile 1909 - 15 maggio 1910), come redattore politico, di Pagine libere, rivista quindicinale di varia cultura stampata a Lugano e diretta da Angelo Oliviero Olivetti, cui subentrò (1° giugno 1910 - 1° febbraio 1911) quando questi ebbe problemi con le autorità svizzere. Soprattutto, avviò la sua personale rivista, il settimanale La Lupa (16 ottobre 1910 - 9 ottobre 1911), in cui si spostò dal sindacalismo alla politica vera e propria.
Fu un vero esperimento: ferocemente antisocialista ma anche antidemocratica e qua e là antisemita, La Lupa tentò di fondere il nazionalismo politico di Enrico Corradini e il sindacalismo di Labriola, culminando nell’appoggio entusiasta alla conquista della Libia (Dobbiamo avere Tripoli, 10 settembre 1911). Tuttavia i ‘sindacalisti’ si divisero sull’opzione della guerra (Orano, Labriola, Olivetti da una parte, Alceste e Amilcare De Ambris e Filippo Corridoni dall’altra) e i nazionalisti rifiutarono l’alleanza, cosicché il gruppo si dissolse.
Nella voce Fascismo dell’Enciclopedia Italiana (1932) Mussolini avrebbe scritto che La Lupa era stata una delle tre riviste che avevano formato «il fiume del fascismo»: ricostruzione assai forzata di un Mussolini che voleva recuperare a se stesso radici nazionaliste in realtà modeste, se non nulle. A suo tempo, da direttore dell’Avanti! Mussolini scrisse contro La Lupa uno dei suoi articoli più violenti di sempre (Nel mondo dei Rabagas, 18 agosto 1912), in cui definì Orano, per il suo tentativo di affiancare il nazionalismo, e per le sue numerose giravolte, un «saltimbanco» e «uno dei tanti commedianti che passano sul palcoscenico della nostra vita politica». Del resto, le giravolte di Orano erano lungi dal terminare: ex antimilitarista, passò da triplicista a fervente propugnatore dell’alleanza con la Francia.
Il 15 maggio 1917, a quasi 42 anni, fu richiamato alle armi come ufficiale. Non andò al fronte, ma, dopo un periodo di addestramento a Firenze, su sua pressante richiesta venne inviato a far propaganda tra le truppe in Toscana e poi (Popolo d’Italia, 10 settembre 1918) in Francia, dove rimase anche dopo il congedo. Il 4 maggio 1919 accettò il posto di direttore dell’Istituto italiano di cultura a Parigi, pagato da privati milanesi.
Continuava intanto, anche se non proprio fortunatissima, l’attività pubblicistica. Non scrisse nulla sul Corriere della sera, ma avviò un rapporto epistolare con Luigi Albertini, indirizzandogli tra l’altro, il 6 dicembre 1917, dopo Caporetto, una lettera lunga, isterica e delatoria, denunciando come «pericolosi» alcuni tedeschi e filotedeschi di Firenze (Archivio storico del Corriere della sera, f. Orano Paolo). Poco fortunato fu anche il rapporto col giornale di Mussolini, il Popolo d’Italia, che per diverso tempo, malgrado i suoi approcci amichevoli, mantenne le distanze e addirittura (16 novembre 1916) lo attaccò.
Quando Mussolini venne ferito al fronte Orano gli inviò un accorato messaggio, definendolo «uno dei pochissimi ai quali si debba riconoscenza italiana e umana» (Popolo d’Italia, 28 febbraio 1917). Mussolini, alla fine dell’anno, dopo Caporetto, iniziò a farlo collaborare su un tema che gli stava a cuore: gli pubblicò (contro il parere della censura che in un primo tempo lo aveva fermato) l’articolo Le mogli tedesche (25 dicembre 1917), in cui Orano sosteneva che erano da internare in campi di concentramento le donne tedesche che avevano sposato o vivevano con italiani, problema che Mussolini aveva in quel momento con l’ex amante Ida Dalser.
Nei mesi successivi seguirono molti altri pezzi sul Popolo d’Italia. Uno di essi, L’agguato del Ciompo, editoriale di prima pagina uscito il giorno della fondazione dei Fasci di combattimento, il 23 marzo 1919, in seguito gli servì per ribaltare la percezione diffusa (e giustificata) di una sua tarda adesione al fascismo. Si trattava in realtà solo di un generico pezzo sui lavoratori italiani, senza riferimenti al convegno di fondazione, a cui Orano non mandò neanche la propria adesione. La sua cautela era comprensibile: aveva ricevuto l’offerta dal Partito dei combattenti sardi di partecipare con loro alle imminenti elezioni politiche e il 19 marzo sul Giornale d’Italia era uscito una sorta di suo manifesto in questo senso, Appello ai sardi. La sua candidatura sull’isola era assai contrastata e dunque non si voleva compromettere. Eppure, anche alle elezioni Orano ebbe l’appoggio di Mussolini: due giorni prima del voto il Popolo d’Italia pubblicò un lungo articolo in suo sostegno di Filippo Tommaso Marinetti.
Eletto a Cagliari il 16 novembre 1919, ottenendo il maggior numero di preferenze (11.805 su 19.208 voti di lista), in Parlamento (insieme a Gaetano Salvemini, che presto però ne uscì) aderì al gruppo del Rinnovamento nazionale che raccoglieva ex combattenti soprattutto democratici.
Si aprì così la lunghissima vita parlamentare di Orano, per diverso tempo caratterizzata dall’ambiguità tra la sua militanza nel partito sardo e l’appoggio a Mussolini. Forse la parola più acuta (e interessata) sull’Orano di quel periodo la disse proprio il futuro duce(in Popolo d’Italia), che il 21 agosto 1920 notò la sua insofferenza verso l’organizzazione-partito e aggiunse che il suo posto sarebbe stato nei più «liberi» Fasci di combattimento che non in Rinnovamento, che era pur «sempre partito».
Nel 1920, Orano, con Rinnovamento, appoggiò D’Annunzio nell’impresa di Fiume. Quando dopo il ‘Natale di sangue’ il gruppo si divise, rimase dalla parte del Comandante, ma fu una fedeltà sui generis. Stando a una sua lettera ad Antonio Bruers del 4 maggio 1938 (Roma, Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II, A. Bruers, ARC 26), alla fine del 1922 fu incaricato da D’Annunzio di avviare il quotidiano politico serale L’Italia degli Italiani, progetto che durò almeno fino all’aprile 1923 e andò molto avanti; di contro, Mussolini gli affidò in segreto «la missione esplicita di non fare uscire il giornale mai» (ibid.), cosa che accadde per merito di Orano, come conferma un rapporto di un ispettore di polizia che controllava D’Annunzio (ACS, Fondo Finzi/De Felice,b. 1, f. 4/2).
Venne rieletto a Cagliari il 15 maggio 1921, di nuovo con l’appoggio di Mussolini, che non aveva candidati propri nell’isola. Questa volta però nel suo collegio risultò solo terzo degli eletti. Alla Camera si iscrisse al gruppo misto e nel suo discorso alla Corona (20 giugno 1921) auspicò il decentramento amministrativo, per questo blandamente criticato, il giorno dopo sul Popolo d’Italia, da Mussolini.
Fu in questa tornata che Orano si legò definitivamente al capo del fascismo. Sempre più lontano e assente nel suo partito, nel frattempo trasformato in Partito sardo d’azione, con modesti incarichi parlamentari (fece parte della Commissione per l’istruzione pubblica), compì la svolta subito dopo la marcia su Roma.
Alla prima riunione del Consiglio dei ministri dopo la presa del potere, il 10 novembre 1922, Mussolini annunciò di aver saputo che in Sardegna si preparava un moto sedizioso: di conseguenza, nell’isola fu inviato un battaglione di carabinieri. Lo stesso giorno, Orano diede le dimissioni dal suo partito, accusandolo di «ostentare una cinica indifferenza ai problemi e ai doveri nazionali» (Giornale d’Italia, 11 novembre) e respingendo il patto che il partito stava per concludere col Partito molisano d’azione (fu siglato il 14) e che lo allontanava dal Partito nazionale fascista (PNF). Il suo sarebbe potuto apparire un semplice dissenso interno al partito sardo, se il 16 novembre, nel corso di un dibattito alla Camera, Mussolini non lo avesse additato frettolosamente (nessuna rassegna stampa riportò la breve dichiarazione, ma solo il resoconto parlamentare) come colui che sapeva della rivolta sarda e facendolo apparire come il suo informatore.
La dipendenza da Mussolini era ormai definitiva. Anche se eletto in un altro partito, Orano ne divenne una sorta di rassicurante interprete. Tale fu nella Commissione dei 18, presieduta da Giolitti, di cui fu segretario e che doveva portare alla Camera quella che divenne poi nota come legge Acerbo. Non raccolse però troppe simpatie nel PNF, come dimostrarono le elezioni successive (6 aprile 1924), nelle quali fu inserito da Mussolini nel ‘listone’ liberal-fascista della circoscrizione toscana, ma nelle preferenze risultò penultimo di 25 eletti, con appena 5297 voti. Tornò a essere eletto deputato nel listone unico il 24 marzo 1929 (presentato tra i designati dai ‘Sindacati dell’industria’) e il 25 marzo 1934.
Nel 1924 ricevette da Mussolini e dal fratello Arnaldo l’incarico di redattore capo della nuova edizione romana del Popolo d’Italia che, inaugurata il 18 settembre, copriva e riforniva l’Italia centrale, meridionale e insulare. In quella veste, fiancheggiò il governo in un momento delicatissimo come quello della secessione dell’Aventino.
Nel dicembre 1924 − come risulta da un documento del 1929, conservato nell’archivio del PNF (ACS, Pnf, Senatori e consiglieri nazionali, b. 22, f. 372) − venne anche «iscritto ad honorem al Fascio di Tor di Quinto» a Roma, presso cui rimase poi tesserato.
Usava però il giornale anche per motivi personali: attribuendosi intere pagine di critica letteraria, chiamando a collaborare la moglie e gli amici, soprattutto (come si lamentò Arnaldo) ignorando l’edizione milanese da cui non riversava neanche gli editoriali del direttore. Le vendite scarse, l’eccessiva autonomia, qualche spiacevole episodio (come il licenziamento del capo della tipografia, l’ebreo Lelio Ravà, in cui forse ebbe il benestare del duce) portarono il 3 maggio 1925 alle sue dimissioni, presentate adducendo come motivo un esaurimento nervoso e subito accettate da Arnaldo. Il contrasto con Arnaldo non si rimarginò più, anzi in seguito si acuì, e il fallimento segnò i rapporti con il duce stesso, che nei confronti di Orano, più anziano di lui e con una lunghissima carriera alle spalle simile alla sua, aveva un certo rispetto, ma non stima politica. Dopo di allora, Orano venne impegnato solo in vari lunghi interventi alla Camera, di poca sostanza politica, che usò anche per togliersi qualche soddisfazione.
Il 29 marzo 1930 pronunciò il discorso Educazione nazionale e sofismi contro Giovanni Gentile e la filosofia dell’attualismo, che accusò di essere «pericolosa per le basi spirituali del Regime». Mussolini non apprezzò: «avrebbe fatto meglio a non pronunziarlo», lasciò scritto in un appunto per la segreteria (Ibid., Segreteria particolare del duce [1922-43], CO, f. 509.595).
Ma Mussolini aveva altro in serbo per Orano: lo indicò per la cattedra di storia del giornalismo della nuova facoltà di scienze politiche dell’Università di Perugia, il cui statuto era stato approvato nel marzo 1928 e che doveva formare la nuova classe dirigente fascista e ‘sistemare’ alcuni personaggi ingombranti ma marginali del regime. In base a una nuova legge, con un semplice decreto ministeriale, Orano divenne professore ordinario a decorrere dal 1° febbraio 1929. Insegnò storia e dottrina generale del fascismo (1932) e poi, dal 1936, come insegnamento principale, storia e dottrina del fascismo. Divenne preside della facoltà il 1° dicembre 1933 (fu lui, tra l’altro, a proporre come suo successore Federico Chabod) e rettore (carica per cui ebbe qualche contrasto col ministro Bottai) a partire dal 4 ottobre 1935. L’insegnamento universitario che lo caratterizzò fu però quello di storia del giornalismo, su cui in Italia divenne un’autorità.
Tenne corsi sull’opinione pubblica nell’antichità, sul giornalismo americano, inglese e italiano e diresse un mensile, Il pubblico (1935), che durò cinque numeri. Infine si procurò uno strumento cruciale nella materia, per di più redditizio: il 27 settembre 1929, su richiesta del duce, il direttore del Corriere della sera gli fece firmare un contratto esclusivo, per uno o due pezzi al mese (800 lire ognuno), su ‘giornalismo nella storia e nei suoi aspetti odierni’. In seguito, per quasi 14 anni, sul quotidiano milanese Orano pubblicò un centinaio di articoli che, rispetto ai suoi precedenti di controversista, si distinguono per la totale assenza di vena polemica.
Quello di Orano fu un insegnamento rivolto al passato, anche se specchio del presente. Il fulcro era l’idea che il potere politico dovesse influire sui giornali, perché la notizia non è «informazione in senso neutro ed obiettivo, parole di quasi incomprensibile significato in giornalismo, ma vero e proprio apprezzamento, modo di valutare e per il lettore d’intendere» (Giornale Pubblico Potere, Roma 1935, p. 68). Il contrasto era stridente, per esempio, con l’esperimento di una scuola di giornalismo (dove pure Orano insegnò), impiantata dal giornalista Ermanno Amicucci per tre anni (1930-33), sempre a Perugia e con la protezione di Giuseppe Bottai, che proponeva la preparazione concreta di giovani che dovevano ‘produrre’ la notizia con i sistemi più moderni, a partire da quelli anglosassoni.
L’altra attività avviata da Orano, soprattutto attraverso una casa editrice a cui fu fortemente interessato, la Pinciana di Umberto Zuccucci suo collaboratore al Popolo d’Italia, fu quella di storico del fascismo e di alcuni suoi protagonisti (Italo Balbo, Cesare Maria De Vecchi, Mussolini stesso). Per la Pinciana scrisse o curò o introdusse quasi un centinaio di volumi, che costituirono un vero corpus storiografico-apologetico. Il 30 marzo 1937 uscì di tipografia un nuovo segmento di quel corpus,Gli ebrei in Italia, che propugnava la completa assimilazione degli ebrei in Italia e nel fascismo e dava «la qualifica di irriducibili nemici» a quelli che invece «conservavano un’identità ebraica e una qualche coscienza collettiva» (Sarfatti, 2007, p. 137).
Subito arrivarono molte recensioni favorevoli e si accese (o riaccese) la campagna stampa antisemita. È verosimile che quest’ultima venisse pilotata dal governo e fosse un passo d’avvicinamento a quanto successe nel 1938; più difficile che Mussolini avesse guidato Orano nella stesura del libro, che coronava i vari suoi interventi sul tema, risalenti almeno al 1895. All’inizio propugnatore dell’idea che gli ebrei fossero positivamente ‘diversi’ perché rivoluzionari (Italia cattolica, ma anche l’articolo Roma israelita, in Avanti! 29 luglio 1904), via via aveva modificato il suo giudizio da positivo in negativo, per scivolare poi verso l’idea se non di un ‘complotto’, di un costante pericolo ebraico per l’Occidente. Pezzi esplicitamente antisemiti comparvero su La Lupa, su L’Idea nazionale (7 agosto 1913), poi sul Popolo d’Italia nel periodo in cui fu caporedattore (Una torbida tragedia fra gli ebrei del ghetto, 8 ottobre 1924).
Gli ebrei in Italia era una risposta a Sionismo bifronte, edito da Pinciana nel settembre 1935, in cui il banchiere ebreo torinese Ettore Ovazza aveva difeso la storia e dignità dell’ebraismo nel suo insieme e al contempo aveva affermato la forza dell’ebraismo fascista e mussoliniano. Orano contestò la prima affermazione, considerandola una riedizione dell’idea di ‘popolo eletto’ e sostenne che in Italia l’ebraismo doveva essere ostile al sionismo e agli altri ebraismi. In realtà, aveva firmato il contratto fin dal 6 aprile 1935 e non poteva trattarsi in primis di una risposta a Ovazza: l scopo principale, anche nella versione pubblicata, era di attaccare l’appoggio dato, in Italia e all’estero, agli ebrei in fuga dalla Germania.
Il testo di Orano, oltre a venir respinto dalla stampa ebraica, non fu gradito ad alcuni esponenti del fascismo (Giovanni Preziosi e Telesio Interlandi), né a Mussolini, che a Giorgio Pini disse che era «confuso», criticandolo perché, quanto meno, era stato troppo concessivo con gli ebrei fascisti (G. Pini, Filo diretto con Palazzo Venezia, II ed., Milano 1967, p. 127). Rispetto al razzismo ‘biologico’ che si stava faceva strada, Orano era fuori linea.
La Pinciana pubblicò altri testi sul tema degli ebrei, fra cui Io cattolico e Israele di Catholicus (aprile 1938), raccolta di recensioni su Gli ebrei in Italia che sotto lo pseudonimo celava lo stesso Orano, il quale preparò anche una seconda edizione del libro (sempre stampata da Mantero di Tivoli, dicembre 1937), aggiungendo due capitoli e apportando varie modifiche; un’ulteriore ristampa, ancora ritoccata, fu poi ricomposta da un’altra tipografia, Chicca di Tivoli. Il lavorio è indicativo della cura che Orano applicò a quel testo, anche se le varianti furono di modesto significato.
Pure come rettore si distinse in campo razzista per la diligenza con cui operò nei confronti di professori e studenti ebrei. Infine, al termine del 1938, curò un libro di saggi, Inchiesta sulla razza (con uno scritto di Alfred Rosenberg), ricevendo l’apprezzamento anche concreto (un finanziamento) di Mussolini, che vi aveva considerato «molto significativo il rapporto tra popolo eletto e cristianesimo» (ACS, Segreteria particolare del duce [1922-43], CO, f. 526.005).
L’8 aprile 1939, nel corso d’una grande infornata di senatori fascisti, dopo aver fatto un’esplicita richiesta e dopo qualche resistenza del duce, Orano ebbe il laticlavio.
Dopo il 25 luglio 1943 non prese nessuna posizione ufficiale. Stando a una sua dichiarazione successiva (Ibid., Presidenza del Consiglio, Gabinetto 1944-47, f. 3.2.2.32839), oggi incontrollabile, il 28 agosto 1943 si sarebbe associato ad altri senatori in un atto di omaggio al re e in una difesa del voto del Gran Consiglio. Così pure è difficile dare peso alle sue accuse contro Mussolini lasciate scritte dopo l’8 settembre, anche se in effetti potrebbe rispecchiare il suo pensiero la definizione di «infame», rivolta il 28 aprile 1944 al «razzismo antropologico-fisiologico» imposto a suo tempo dal duce (Maraglio, 2000, p. 352).
La mattina del 25 settembre 1943 i coniugi Orano si salvarono dal bombardamento della loro casa a Firenze e in quell’occasione rifiutarono le proposte d’aiuto avanzate dal governo repubblicano.
Liberata Firenze, nel giugno 1944 il governo Bonomi destituì Orano dalla cattedra. L’11 agosto un militare inglese lo prelevò e lo condusse innanzi alle autorità alleate. Il 26 agosto fu incarcerato e trasferito nel campo di Padula (Salerno), dove erano stati raccolti i gerarchi fascisti in attesa di giudizio.
Un testimone lo descrisse «malato nel fisico e affranto nello spirito», «distaccato dalle cose e dalle persone attorno a sé» (Page, 1956, pp. 294 s.). Era convinto, come comunicò attraverso un biglietto, di essere «stato preso dall’Int[elligence] Service per ordine degli ebrei» (ACS, Presidenza del Consiglio, Gabinetto 1944-47, f. 3.2.2.32839).
Morì nell’ospedale di Nocera inferiore, per un’ulcera gastrica perforante trasformatasi in peritonite, il 7 aprile 1945.
Il 3 febbraio l’Alta Corte di giustizia aveva chiesto la sua decadenza da senatore, ma con motivazione sbagliata, contestandogli di essere stato nominato nel 1943 e che la nomina non fosse stata ratificata dall’Assemblea. Il 30 agosto il provvedimento fu annullato.
Fonti e Bibl.: Le principali fonti documentarie su Orano sono conservate nell’Archivio centrale dello Stato a Roma. Si segnalano: il fascicolo al Casellario politico centrale (b. 3597); quello di professore universitario (3a serie, b. 344); vari fascicoli nel fondo del Ministero della Pubblica Istruzione, i fascicoli nella Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, 509.595, e 209.720; Carteggio riservato, bb. 130 e 131 (per le liste elettorali); per il Partito fascista: Pnf. Senatori e consiglieri nazionali, b. 22; per il Popolo d’Italia 1924-25: Agenzia Stefani, bb. 37, 38, 44; ma anche Demorazza, b. 217; per D’Annunzio, Aldo Finzi/Renzo De Felice, b. 1; per l’epurazione, Alta Corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo, b. 12, Presidenza del Consiglio dei ministri, Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo (1944-47), tit. X, b. 407, f. 31; Gabinetto 1944-47, f. 3.2.2.32839. Inoltre si veda: Roma, Archivio storico dell’Università, Fascicoli del personale docente, AS 3657 (Orano Giuseppe) e AS 266 (Orano Paolo), il registro degli studenti e i verbali delle lauree; per l’attività alla Camera, Ibid., Archivio storico della Camera dei deputati, Archivio Camera Regia, Disegni e proposte di legge e incarti delle commissioni e schede anagrafiche autografe; per il Senato, Archivio, Fascicoli dei senatori, f. 1608. Per i carteggi di e su Orano: Ibid., Museo centrale del Risorgimento, b. 773/18; Torino, Fondazione Luigi Einaudi, f. L. Einaudi e R. Michels; Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, f. L. Luzzatti; Roma, Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II, A. Bruers, ARC 26, e famiglia Orano, ARC 43; Milano, Fondazione centro di documentazione ebraica contemporanea, E. Ovazza; Roma, Archivio del Senato della Repubblica, F. Paoloni; Milano, Archivio del Corriere della sera; nell’Archivio centrale dello Stato i fondi: G. Pini, E. Bodrero, R. Farinacci, E. Ferrari, V.E. Orlando; Milano, Museo del Risorgimento, Civiche raccolte storiche, f. A.O. Olivetti; Gardone Riviera, Vittoriale degli Italiani, Archivio generale e Archivio fiumano (due fascicoli dedicati a Orano); Yale, Beinecke Library, fondo Marinetti; Los Angeles, Getty Research Institute, fondo Marinetti; per la massoneria, Roma, registri del Grande Oriente d’Italia. Per la bibliografia: F.A. Perini, P. O. Saggio biobibliografico, Tolmezzo 1937; G. Cicogna, La psicologia sociale di P. O., tesi di laurea, Università di Venezia, a.a. 1996-97; C. Maraglio, Il fascista P. O., tesi di laurea, Università di Milano, a.a. 2000-01. Si veda poi C. Mallarmé, Un pensatore geniale: P. O., in L’Eloquenza, marzo-aprile 1948, pp. 137-154. Per la famiglia: E. Orano, Colui che perdemmo, Chieti 1915. Per gli anni socialisti: Unione socialista romana, Relazione della Commissione d’inchiesta, nominata per delegazione dal Comitato su domanda del compagno Prof. P. O., s.l. [ma Roma] e s.d.[ma 1905]; Atti della Direzione del Partito socialista italiano. Resoconto stenografico del IX Congresso nazionale... ottobre 1906, Roma 1907. Per la massoneria: F. Cordova, Massoneria e politica in Italia. 1892-1908, Roma-Bari 1985, pp. 117 s.; E. Simoni, Bibliografia della massoneria italiana, III, Foggia 2006, ad indicem. Per Nasi: N. Nasi, Memorie. Storia di un dramma parlamentare, Roma 1943, p. 93. Sul sindacalismo rivoluzionario: A. Riosa, Il sindacalismo rivoluzionario in Italia, Bari 1976, pp. 251-255; Id., Momenti e figure del sindacalismo prefascista, Milano 1996, pp. 78 s.; D. D’Alterio, La capitale dell’azione diretta, Trento 2011, ad indicem. Per il nazionalismo e le riviste: Il Nazionalismo giudicato da letterati, artisti, scienziati, uomini politici e giornalisti italiani, Genova 1913, p. 177; W. Gianinazzi, Intellettuali in bilico, Milano 1996, ad. ind.; M. Carli, Nazione e rivoluzione, Milano 2001, pp. 99-134. Sul sardismo: P. Pili, Grande cronaca minima storia, Cagliari 1946, ad ind.; S. Sechi, Dopoguerra e fascismo in Sardegna, Torino 1969, ad ind.; G. Angioni, Grazia Deledda, l’antropologia positivista e la diversità della Sardegna, in Grazia Deledda nella cultura contemporanea, I, a cura di Ugo Collu, Nuoro 1992, pp. 299-305; L. Del Piano, «Signor Mussolini». Umberto Cao tra Sardismo e Fascismo, Troina (En) 2005, pp. 113-126; G. Rigano, Il podestà «Giusto d’Israele». Vittorio Tredici il fascista che salvò gli ebrei, Milano 2008, ad indicem. Per D’Annunzio: R. De Felice, D’Annunzio politico. 1918-1938, Bari 1978, pp. 164 s. Per la legge Acerbo: P.L. Ballini, La questione elettorale nella storia d’Italia. Da Salandra a Mussolini (1914-1928), Roma 2011, ad indicem. Per l’Istituto di Parigi, Associazione per lo sviluppo dell’Alta Cultura: L. Mangiagalli, Un anno di vita dell’Associazione per l’Alta Cultura, Milano 1920, pp. non numerate. Per Mussolini: B. Mussolini, Opera omnia, a cura di E. Susmel - D. 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