Orsini, Paolo
Figlio naturale di Latino (14111477), che fu cardinale, appartenente al ramo degli Orsini di Bracciano; gli fu riconosciuta, comunque, la signoria di Lamentana (Mentana). Dalla moglie, Giulia Santacroce, ebbe Camillo (1492-1559) e Porzia, che maritò all’alleato Vitellozzo Vitelli. Dal 1480, praticò il mestiere delle armi, spesso a fianco del cugino Gentil Virginio, alternando campagne mercenarie e scontri con i rivali Colonna e Savelli. Era cugino di Alfonsina (→), moglie di Piero de’ Medici e madre di Lorenzo il Giovane, e in grazia di questi suoi legami si trovò spesso al soldo di Firenze. Nel novembre del 1494 fu incaricato da Piero de’ Medici, preoccupato per il malcontento dei fiorentini nei suoi confronti, di raccogliere truppe presso la città (M. ricorda il fatto nei Frammenti storici e negli Spogli dal 1464 al 1501, in Opere storiche, t. 2, 2010, pp. 917 e 975); quando, pochi giorni dopo, il Medici fu cacciato da Firenze, O. ne protesse la fuga. Nell’autunno del 1495 partecipò a una vana congiura, ordita a Cortona, per fare entrare con la forza i Medici a Firenze (l’episodio è ricordato da M. in Frammenti storici, cit., p. 923). Nel 1495-96 servì i francesi nella guerra del Regno, e finì prigioniero degli aragonesi-napoletani per qualche mese. Nel 1500 passò a militare per Cesare Borgia (cfr. la lettera dei Signori a M., 11 ott. 1500, LCSG, 1° t., p. 495) ed ebbe un ruolo notevole nella sottomissione di Faenza (novembre 1500). Nell’estate del 1501 fiancheggiò Vitelli nell’assedio e nella conquista di Piombino.
Durante la sua prima legazione presso il Valentino, come segretario di Francesco Soderini, M. incontrò O., che allora parlava da fedelissimo del duca (lettera del 26 giugno 1502). Ma il contrasto fra il Borgia e le «arme orsine, delle quali si era» fin lì «valuto» (Principe vii 16), stava per esplodere. Il 24 settembre, O. si presentava alla «dieta» di Magione, in cui si stabilì (8 ottobre) un patto di reciproca difesa tra i vecchi avversari, come il duca di Urbino, Guidubaldo da Montefeltro (→), e le nuove potenziali vittime di Cesare Borgia: oltre agli Orsini (Paolo e Francesco, duca di Gravina), Vitelli, Oliverotto da Fermo (Euffreducci), Giampaolo Baglioni (→ Modo che tenne il duca Valentino). Il 5 ottobre M. fu inviato a Imola, per seguire da vicino la situazione. Già il 12 ottobre poteva registrare ambigue dichiarazioni di fedeltà degli Orsini al papa Borgia; Paolo, in particolare, «si era offerto venire qui», a Imola, per trattare (M. ai Dieci, 14 ott. 1502, LCSG, 2° t., p. 362). Ma il duca Valentino non poteva più fidarsi dei suoi capitani (Principe xiii 11); M. ne raccoglieva le parole: gli Orsini «tengono pratiche d’accordo, scrivonmi buone lettere e oggi mi debbe venire a trovare el signore Pagolo, domani el cardinale [Giovanni Battista Orsini]; e così mi scoccoveggiono a loro modo; io da l’altro canto [...] porgo orecchi ad ogni cosa e aspetto el tempo mio» (M. ai Dieci, 23 ott. 1502, LCSG, 2° t., pp. 389-90). Il 25 ottobre, Paolo giunse a Imola; ricevuti dal duca gli articoli di un accordo che abbandonava a sé stesso Guidubaldo, andò a consultare gli altri congiurati, a Bologna, e tornò dal Valentino con un primo assenso (cfr. la lettera del 29 ott. 1502, LCSG, 2° t., pp. 403-04). Il ruolo di O. in questa trattativa – da cui scaturì la successiva «ruina» sua e dei suoi sodali – è messo in grande evidenza nel Principe: il duca
seppe tanto dissimulare l’animo suo che li Orsini medesimi, mediante il signore Paulo si riconciliorno seco – con il quale il duca non mancò d’ogni ragione di offizio per assicurarlo, dandoli danari, veste e cavalli (vii 21).
L’11 novembre Marcello Virgilio scriveva a M.: «lo accordo trattato e concluso costì per il signore Paulo si intende esser stato publicato in Consistorio dalla Santità di Nostro Signore» (LCSG, 2° t., p. 433). In effetti, Vitelli e Baglioni non erano contenti dei patti (lettera del 14 novembre); e solo il 27 novembre Paolo portò a Imola la ratifica finale (lettera del 28 novembre). Subito dopo, lo stesso O. andò a sovrintendere al recupero di Urbino e Camerino, mentre Cesare si spostava a Cesena: di qui, la mattina del 26 dicembre mosse in direzione di Pesaro e di Fano; il 31 dicembre puntò su Senigallia, che O. e Oliverotto, poi raggiunti da Vitellozzo, avevano appena tolta a Francesco Maria Della Rovere. Il seguito della vicenda fu narrato da M. prima in due lettere alla Signoria (1° gennaio, e s. d., ma poco dopo il 14 gennaio 1503), poi nel Modo che tenne il duca Valentino. In breve, Paolo e Francesco Orsini, Euffreducci e Vitelli «andorno l’uno dopo l’altro incontro al Duca, accompagnorollo dipoi nella terra e in casa; e, giunti in camera seco, sua Signoria li fece ritenere prigioni» (M. ai Dieci, 1° genn. 1503, LCSG, 2° t., p. 525). Vitellozzo e Oliverotto furono uccisi la sera stessa. I due Orsini rimasero in ostaggio, in attesa che papa Alessandro VI mettesse le mani su altri esponenti della famiglia. Quando il duca «intese che a Roma el papa aveva preso el cardinale Orsino, l’arcivescovo di Firenze [Rinaldo Orsini] e messer Iacopo da Santa Croce» (Modo che tenne il duca Valentino, § 59), ordinò che i due prigionieri fossero strangolati (a Castel della Pieve, il 18 gennaio). Il cardinale Giovanni Battista Orsini morì, prigioniero, il 22 febbraio 1503 (verosimilmente avvelenato); Rinaldo Orsini riuscì a salvarsi, grazie all’improvvisa morte del papa in agosto.
Fra la relazione stesa da M. subito dopo il fatto e la ricostruzione scritta una decina di anni dopo vi è una differenza capitale, proprio nella valutazione del comportamento dei congiurati. Nella lettera scritta dopo il 14 gennaio, M. fa propria senza alcuna riserva quella che era, evidentemente, la versione del duca, secondo la quale Orsini e Vitelli intendevano attirarlo a Senigallia per eliminarlo: «donde questo signore pensò di prevenirli [...]». Nel Modo che tenne il duca Valentino, invece, come nel Principe, i congiurati – e soprattutto O. – sono presentati quali vittime della propria stoltezza: solo nella mente di Vitellozzo si affacciò la ‘regola’ che «e’ non si debba offendere un principe e dipoi fidarsi di lui; nondimanco, persuaso da Paulo Orsino, suto con doni e con promesse corrotto da el duca, consentì ad aspettarlo» (Modo che tenne il duca Valentino, § 33).
Nel cap. xi del Principe (§ 8) il durissimo colpo inferto da Alessandro VI e dal Valentino agli Orsini è collocato nella storia dei rapporti fra papato e baroni romani. Secondo M., la debolezza del papato nel 15° sec. aveva una specifica «cagione» nel conflitto tra le due «fazioni, Orsine e Colonnese» del baronato, conflitto che implicava il papato e lo teneva «debole e infermo» (il giudizio degli storici d’oggi, sull’argomento, non è unanime). Per quanto motivata dallo scopo di ingrandire la potenza familiare, e non di «fare grande la Chiesa» (§ 13), l’azione dei Borgia contro i baroni si risolse in un beneficio di cui godette immediatamente Giulio II: questi, scrive M., «mantenne [...] le parti orsine e colonnese in quelli termini le trovò» (§ 16). In effetti, il nuovo papa cancellò le sentenze di Alessandro VI e favorì alcuni legami matrimoniali fra i Della Rovere e gli Orsini, ma evitò di dare a questi ultimi troppo peso come soldati della Chiesa. Solo con Leone X (figlio di Lorenzo il Magnifico e Clarice Orsini) i baroni tornarono ad avere un’influenza diretta sul governo della Chiesa, con la nomina a cardinali di Pompeo Colonna e Franciotto Orsini (1° luglio 1517).
Bibliografia: C. Shaw, The political role of the Orsini family from Sixtus IV to Clement VII. Barons and factions in the papal states, Roma 2007.