PAGANI, Paolo
PAGANI, Paolo. – Nacque a Castello Valsolda (Como) il 22 settembre 1655 da Angelo Antonio e da Maddalena Paracca, in una famiglia di architetti, scultori, scalpellini (Zanuso, 2000).
Scarse le notizie sulla formazione, avvenuta probabilmente a Venezia, dove sembra aver risieduto dal 1667 (Geddo, 1998, pp. 196 s.). In anni giovanili collaborò, come ricorda Anton Maria Zanetti il Giovane (1771, p. 445), con l’incisore Antonio Bonacina; nel 1682 firmò come stampatore alcune acqueforti da disegni di Giuseppe Diamantini (Geddo, 1995A). Nel 1685 fu fra i contribuenti della Milizia da Mar; nel 1686 sposò Antonia Parecchiati (Geddo, 1998, pp. 196 s.). Si datano a questa prima fase gli ovali di palazzo Salvioni a Venezia (Ivanoff, 1957), il Giove e Semele della Pinacoteca di Brno (Voss, 1936, p. 284), la Maddalena penitentedella Gemäldegalerie di Dresda. Poche le tele giovanili di destinazione pubblica: due dipinti perduti in Scuole veneziane (Zanetti, 1771, p. 529); una delle tele della serie dei Fasti Farnesiani di Piacenza (Moro, 2010, pp. 5 s.); il Battesimo di s. Agostino per la chiesa lagunare delle Eremite (Martini, 1978; di diverso avviso Craievich, 2003); una pala con la Trinità, nel Museo diocesano di Zara.
È difficile dire se, come è stato ipotizzato (Fiocco, 1929, p. 76; Pallucchini, 1981, p. 380), Pagani si sia effettivamente formato nell’orbita di Pietro Liberi; certo è che il giovane artista guardò con interesse anche agli esiti barocchi di Johann Liss, ai ‘tenebrosi’ Johann Carl Loth e Giovan Battista Langetti (Voss, 1929 e 1936) e all’accademismo visionario di Louis Dorigny (Morandotti, 1993, pp. 92-94; Fossaluzza, 1998, pp. 44 s.). Arslan (1935, p. 8) individuava anche una componente emiliana, cignanesca; altrove (nel Cieco nato della Galleria Sabauda e nel Serpente di bronzo di Potsdam, Sanssouci) affiorano invece ricordi dal Morazzone e da Giulio Cesare Procaccini (Frangi, 1998, p. 94). Accostando il gigantismo della tela di Brno al languore sentimentale della Maddalena di Dresda, spicca la personalissima sintesi fra tratti di stile assai diversi fra loro.
Pagani lasciò poi tracce nell’immaginario veneziano per il suo magistero nelle «Accademie del nudo […] benché fosse alquanto caricato» (Zanetti, 1771,p. 529); le fonti ricordano come suo allievo Giovanni Antonio Pellegrini.
Tra il 1692 e il 1696 (già dal 1688 secondo Karpowits, 1991, p. 103), insieme a Pellegrini, si spostò in Moravia e in Polonia, lavorando per Karl Liechtenstein-Castelcorno, principe vescovo di Olomouc nella Residenza di Kroměřìž (1690-92; affreschi con Allegorie delle stagioni e Scene mitologiche, conservati solo in parte) insieme allo stuccatore ticinese Baldassarre Fontana; altri dipinti furono eseguiti per Cracovia(chiesa di S. Anna) e per l’abbazia di Velehrad. Nel 1694 nacque il primogenito Angelo Antonio (Pescarmona, 1991, p. 124), in anni successivi altri figli, che morirono sul nascere o in tenera età.
Non pienamente giudicabile per la perdita di numerosi lavori, il momento mitteleuropeo appare segnato da un enfatico accentuarsi delle forme, risolte in una più luminosa, tenue accensione cromatica; gli inediti tratti berniniani si spiegano con l’ascendente di Fontana, già allievo a Roma di Ercole Antonio Raggi. Nei murali di Kroměřìž il gigantismo neomanierista assume toni aerei e visionari nell’ingegnosa disposizione da sotto in su. Fondamentale testimonianza di questa fase è anche l’importante fondo di disegni (quattro volumi di oltre 80 fogli) ritrovato nella Biblioteca delle scienze di Olomouc (Togner, 1997) .
Rientrato definitivamente in Italia nel 1695, decorò a sue spese la voltadella chiesa di S. Martino a Castello Valsolda, con una marcata accentuazione in senso visionario.
Ammassati contro un luminoso fondo bianco, in un insolito schema prospettico a due finte cupole, i personaggi si avviluppano in pose appariscenti e contorte, mentre spettrali figure a monocromo si agitano in colossali moti primigeni. Non mancano richiami a Giovanni Antonio Fumiani (Pallucchini, 1981, p. 380) e, di riflesso, ad Andrea Pozzo (Pescarmona, 1998, p. 162); non mancano altresì richiami al Baciccio e, forse, a Giovanni Odazzi.
I lavori si protrassero fino al 1697, mentre l’artista soggiornava stabilmente in patria (Pescarmona, 1991, p. 124; Geddo, 1998, pp. 202 s.); sono di questi anni il Martirio di s. Vitale (1696) della parrocchiale di Chiasso e le tele per palazzo ducale a Milano, commissionate dall’omonimo – ma non parente – marchese Cesare Pagani: una Caduta degli angeli ribelli (coll. privata; Morandotti, 1996, p. 53) e una Discesa al Limbo (Como, villa Gallia), in cui grovigli di corpi nudi emergono dall’oscurità grazie a una luce fosforescente e spettrale.
Risale al 1696 (Pescarmona, 1991, pp. 120-123; Geddo, 1995B, pp. 126, 142 s.) la clamorosa mistificazione archivistico-dinastica per cui, di fronte ad alcuni testimoni, l’artista aveva finto di rinvenire nella sua casa un falso albero genealogico attestante la presunta nobiltà della sua stirpe, di cui si vantava l’origine da una fantomatica dinastia di re africani convertitisi nel XIII secolo. È probabile che alla messinscena non fosse estraneo il marchese Pagani; grazie a questa falsificazione l’artista riuscì, anni dopo, ad appropriarsi, tramite fidecommesso, dell’eredità del nobiluomo milanese.
Nel 1701-02 dipinse due grandi tele per i cappuccini di Chiusa d’Isarco, dono della duchessa di Parma Dorotea Sofia di Neuburg al suo confessore, padre Gabriele da Pontifeser; mediatore dell’incarico fu sempre il marchese Pagani. Altri lavori coevi furono gli Episodi del Pastor Fido affrescati in una casa di via Borgonuovo a Milano (contrada in cui lo stesso artista risiedeva; Morandotti, 1998) e la pala con la Visitazione della parrocchiale di Caprino Bergamasco. Risale al 1701 anche la sfortunata commissione di due Storie di s. Alessandro per il duomo di Bergamo, rifiutate come non soddisfacenti, di cui non si hanno altre notizie (Pagnoni, 1991).
Ai primi del nuovo secolo, dopo i toni drammatici della volta di S. Martino, la pittura di Pagani assunse toni soffusi e sentimentali, con colori liquidi, trasparenti, fra eterei voli di cherubini e irreali fondi gialli; lo schiarimento cromatico nasceva, con ogni probabilità, dal rinnovato interesse per la pittura di Sebastiano Ricci, osservato nella quadreria del marchese Cesare. Contatti con Domenico Piola (anch’egli presente nella raccolta Pagani), Gregorio De Ferrari e Bartolomeo Guidobono (Frangi, 1998, p. 72) sono visibili nelle espressioni forzatamente liete e carezzevoli.
Fu il marchese Pagani a garantire gran parte delle commissioni di questo periodo, dai numerosi quadri da stanza (fra cui la Fucina di Vulcano e Cronos e le Grazie, oggi in due collezioni private; Morandotti, 2000, pp. 125-128) ai perduti dipinti della chiesa milanese dei Ss. Cosma e Damiano (eseguiti entro il 1701 con Anton Francesco Peruzzini) alle grandi tele, asciuttamente devozionali, con S. Teresa e S. Michele (attualmente nel locale santuario di S. Maria del Roggione; 1705), richieste per la cappella della prigione di Pizzighettone dopo l’incarceramento del nobiluomo durante la guerra di successione spagnola (1704).
Gli anni seguenti furono segnati dalla vertenza per l’eredità del marchese (morto nel 1707), dilungatasi fino al 1711; nonostante le contestazioni che denunciavano come falsa e «fabulosa» la messinscena dinastica, il pittore poté incredibilmente appropriarsi di gran parte delle sostanze del nobiluomo (Geddo, 1995B, pp. 140, 195). Continuò così la sua ascesa sociale e professionale, coincidente con l’ingresso nella milanese Accademia di S. Luca, di cui Pagani fu eletto viceprincipe (1710) e principe (1711). Nel 1712 l’artista donò alla chiesa di S. Marco, in qualità di ex voto, una pala con S. Liborio (1712), protettore da calcoli e coliche; nel 1714 offrì a S. Maria del Giardino due tele con Storie di s. Antonio da Padova (oggi nella parrocchiale di Uggiate Trevano; Pescarmona, 1991, p. 118).
Morì a Milano «ex inflammatione colica» il 5 maggio 1716 (Burri, 1982, p. 51).
I pochi dipinti degli ultimi anni si connotano per l’intonazione esaltata e visionaria e per la convulsa teatralità; le cromie sono spente, contrastate in drammatici passaggi chiaroscurali. Nel S. Liborio stupisce la paradossale organizzazione compositiva, con l’inusitata duplicazione dell’immagine del santo (raffigurato nell’atto di apparire miracolosamente accanto a una sua statua) che genera negli astanti un’eccitazione quasi parossistica. Se questa formula ardita e visionaria non ebbe successo presso le istituzioni ecclesiastiche lombarde, è invece attestata una discreta fortuna presso i collezionisti (Geddo, 1998, p. 212). Nel complesso, la tarda maniera pittorica del Pagani fu un unicum nel panorama milanese, così come la sua personalità eccentrica, antiaccademica, presto destinata all’oblio fino alla riscoperta novecentesca (Voss, 1929).
Fonti e Bibl.: P. Orlandi, Abecedario pittorico, Napoli 1733, p. 356; A.M. Zanetti, Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de’ veneziani maestri, Venezia 1771, pp. 445,529; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, Firenze 1792,p. 470; H. Voss, P. P. Versuch einer Rekonstituierung, in Belvedere, XIV (1929), pp. 41-53; G. Fiocco, Pittura veneziana del ’600 e del ’700, Verona 1929, pp. 76 s.; W. Arslan, Chiarimento a P. P., Bolzano 1935; H. Voss, L’affresco di Castello Valsolda e altre opere inedite di P. P., Como 1936; N. Ivanoff, Il problema di P. P., in Paragone, VIII (1957), 89, pp. 52-55; U. Ruggeri, Proposte per P. P., in Critica d’arte, XLI (1976), pp. 69-74; E. Martini, P. P., Francesco Pittoni, Nicolò Bambini e il Crosato nella chiesa veneziana delle Eremite, in Notizie da Palazzo Albani, VII (1978), 2, pp. 84-89; S. Burri, L’affresco di Castello Valsolda nella vicenda artistica di P. P., in Arte veneta, XXXV (1981), pp. 113-125; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, I, Milano 1981, pp. 380 s.; S. Burri, P. P., in Saggi e memorie di storia dell’arte, 1982, n. 13, pp. 49-72; M. Karpowicz, P. P. in Moravia e Polonia, in Arte lombarda, n.s., 1991, nn.98-99, pp. 103-117; D. Pescarmona, Per l’attività di P. P. e i suoi rapporti con l’omonimo marchese Cesare, ibid., pp. 118-126; A. Cottino, In margine alla mostra del Settecento lombardo: uno sconosciuto P. P. alla Galleria Sabauda, ibid., pp. 211 s.; L. Pagnoni, in B. Cassinelli- L. Pagnoni - G. Colmuto Zanella, Il duomo di Bergamo, Bergamo 1991, pp. 79-90; A. Morandotti, P. P.: il ciclo Leoni Montanari e altre suggestioni, in Verona illustrata, VI (1993), pp. 87-109; A. Morandotti, Il cantiere di Chiusa Val d’Isarco, in Bolzano nel Seicento (catal., Bolzano), a cura di S. Spada Piantarelli, Milano 1994, pp. 92-110; C. Geddo, Giuseppe Diamantini e la sua collaborazione con P. P., in Grafica d’arte, VI (1995A), pp. 2-11; Id., Ritrovamenti sul marchese Cesare Pagani committente del pittore P. P., in Paragone, XLVI (1995B), 543-545, pp. 125-155; A. Morandotti, Magnasco a Milano…, in Alessandro Magnasco (catal.), Milano 1996, pp. 51-56; M. Togner, P. P. kresby/drawings, Olomouc 1997; M. Karpowicz, Fontana, Baldassarre, in Dizionario biografico degli Italiani, XLVIII, Roma 1997, pp. 619-623; P. P. 1655-1716 (catal., Rancate - Campione d’Italia), a cura di F. Bianchi, Milano 1998;F. Moro, Quei magici riflessi lunari di P. P., in Carnet, 1998, agosto, p. 46; Regesto, a cura di C. Geddo, ibid., pp. 193-212; F. Bianchi, ibid., pp. 13-32; G. Fossaluzza, ibid., pp. 32-50; F. Frangi, ibid., pp. 65-80; A. Morandotti, ibid., pp. 51-64, 81-92; A. Spiriti, Tre scoperte e due restauri: Fiammenghino, P., Magatti, in Arte lombarda, n.s., 1998, n. 124, pp. 80-88; M. Karpowicz, P. P. a Cracovia. Addenda, ibid., 1999, n. 125, pp. 62-64; A. Morandotti, P. P. e i Pagani di Castello Valsolda, Lugano 2000; S. Zanuso, Avvio a una genealogia della famiglia Pagani, ibid., 2000, pp. 51-75; A. Morandotti, P. P., la contrada Borgonuovo e la decorazione d’interni a Milano, in Nuovi Studi, VIII (2003), 10, pp. 159-166; A. Craievich, Antonio Pellegrini nella chiesa veneziana delle Eremite, in Arte veneta, LX (2003), pp. 206-211; C. Geddo, in Pinacoteca Ambrosiana (catal.) III, Milano 2007, pp. 211-213; G. Mollisi, P. P. Dal Sacrificio d’Isacco di Venezia a quello di Valsolda, in Arte & Storia, 2008, n. 40, pp. 216-237; F. Moro, Una rilettura dei fasti farnesiani: Sebastiano Ricci, P. P. e Giovanni Evangelista Draghi, in Paragone, LXI (2010), 94, pp. 3-32; A. Morandotti, P. P. a Cerete: (1655-1716) (catal., Cerete), Bergamo 2010.