PANELLI, Paolo
PANELLI, Paolo. – Nacque a Roma il 15 luglio 1925 da Francesco e da Odetta Pollini.
Frequentò l’istituto magistrale Oriani a Roma e, a causa delle vicende belliche, conseguì il diploma nella prima sessione ordinaria di febbraio 1944.
Nello stesso anno si presentò al concorso per la Regia Accademia di arte drammatica recitando Lomov in La domanda di matrimonio di Anton Čechov. Superò brillantemente l’esame vincendo una borsa di studio di 800 lire e qualificandosi secondo ex aequo con Agostino (Tino) Buazzelli davanti a Saturnino (Nino) Manfredi. Due compagni di corso e poi colleghi, con i quali rimase amico per tutta la vita e condivise importanti momenti della carriera.
Panelli non possedeva il fisico del primo attore e per le sue insegnanti di recitazione, Wanda Capodaglio e Nera Grossa Carini, era cosa naturale inquadrarlo nei ranghi del caratterista. Già nel primo anno fu notato nel saggio di regia di Luigi Squarzina, Musse o La scuola dell’ipocrisia di Jules Romains, dal cronista anonimo del giornale satirico Cantachiaro (17 agosto 1945) per il «molto gusto […] mostrato nella caratterizzazione del dottor Arbuse». La capacità di disegnare con pochi tratti l’identità di una figura fu raffinata e portata a maturità nelle prove dei saggi del 1946, dove Panelli attirò l’attenzione della critica. Venne, infatti, lodato anche nella minuscola parte del vecchio sostenuta in Piccolo-borghesi di Maksim Gor′kij, saggio di diploma di Alberto D’Aversa.
Carlo Trabucco, capo redattore e critico de Il Popolo scrisse nell’occasione «che quando [Panelli] è in scena occupa il posto di un attore di primo piano. Non ha detto che due parole, non l’abbiamo visto che per un paio di minuti, eppure la sua personalità è venuta fuori nettamente» (4 aprile 1946).
Qualche mese più tardi anche Gerardo Guerrieri (l’Unità, 9 agosto 1946) riconobbe al giovane attore nell’interpretazione del marito tradito dei Capricci di Marianna di Alfred de Musset (regia dell’allievo Alfredo Zennaro) un «istinto della parte» dono di pochi e una misura che lo poneva al riparo dei pericoli di un facile istrionismo. Del resto era stato scelto da Orazio Costa per il ruolo del protagonista nel saggio della scuola di regia La famiglia dell’antiquario di Carlo Goldoni: in una tipica parte da caratterista, la creazione dell’allievo attore incontrò questa volta anche il favore del pubblico con applausi a scena aperta (V. Marinucci, Il Momento, 16 aprile 1946).
Panelli divenne così uno dei protagonisti dello ‘scenettismo’ promosso, negli anni dell’immediato dopoguerra, da giovani allievi dell’Accademia come Luciano Mondolfo, Vittorio Gassman, Vittorio Caprioli, Adolfo Celi, Luciano Salce e, dopo di loro, da Elio Pandolfi, Giancarlo Sbragia, Paolo Ferrari, Bice Valori, Buazzelli, Manfredi e altri ancora. Una pratica nata da un gioco intellettuale che rinnovava il macchiettismo della tradizione attoriale italiana – ancora vivissimo in molti attori comici di origine vernacolare attivi nell’avanspettacolo, nella rivista e nel cinema – ridefinendolo nelle competenze del nuovo attore-interprete. Panelli ne fece la cifra stilistica del suo mestiere di attore.
Le doti così precocemente manifestate lo portarono a dimettersi dall’Accademia pur mantenendo strette relazioni con compagni e maestri. Il suo debutto come professionista avvenne nel dicembre 1947 sotto la direzione di Costa con la compagnia del Teatro Quirino ne Il giardino dei ciliegi di Cechov; nello stesso anno interpretò Frittellino al Festival mondiale della gioventù di Praga e al VII Festival di Venezia ne La fiera delle maschere allestito con gli allievi dell’Accademia da Vito Pandolfi.
Nel 1948 mosse i primi passi nel cinema e nella rivista, naturali ricetti dei caratteristi-macchiettisti, con delle particine nei film Guarany di Riccardo Freda e Arrivederci papà di Camillo Mastrocinque, e in teatro con Naso lungo e gambe corte (dove intrecciò un’amicizia, importante per il suo futuro, con i giovani Pietro Garinei e Sandro Giovannini autori dello spettacolo insieme alla navigata coppia Francesco Nelli e Mario Mangini) e con la più sperimentale E lui dice, allestita al Quattro Fontane di Roma dai colleghi d’Accademia, Squarzina, Celi e Olga Villi, insieme con attori di altra provenienza come Galeazzo Benti e Alberto Sordi. Tuttavia il giovane attore preferì seguire la sirena del teatro d’arte insieme a Manfredi, Buazzelli e Valori unendosi al Piccolo Teatro di Roma di Costa. Né lo distolse il successo tributato a lui e ai suoi amici scenettisti al parigino club Tabou dove, grazie agli auspici di Marcello Pagliero, si esibì mentre era al seguito di una tournée di Guido Salvini. Panelli non volle seguire la strada della creazione indipendente che solo qualche anno più tardi, sempre da Parigi, fece la fortuna della Compagnia dei Gobbi di Caprioli, Alberto Bonucci, Franca Valeri e del loro regista Mondolfo. Costa gli fece interpretare nuovamente il ruolo del conte ne La famiglia dell’antiquario (1949), ma si trattò di una militanza piuttosto dura con scarse soddisfazioni economiche e avara di prime parti. Soprattutto Panelli non riuscì a soddisfare le esigenze creative e autoriali che la comicità dello scenettismo avevano stimolato.
Alla fine del 1951 lasciò Costa e formò una compagnia con Buazzelli, Manfredi e Valori, che sposò nel 1952 e dalla quale, nel 1954, ebbe il primo figlio Daniele (mancato però quando aveva soli due anni) e, nel 1957, Alessandra, anch’essa attrice.
La compagnia, introdotta all’Eliseo di Roma, lavorò a tre atti unici di Eduardo De Filippo Amicizia, I morti non fanno paura e Il successo del giorno dopo, guidata dallo stesso Eduardo. Poteva essere l’incontro tra la tradizione del teatro italiano e i nuovi attori dell’Accademia ma l’esperienza non ebbe seguito.
Dopo un’ultima partecipazione a Un borghese gentiluomo (1952) interpretato da Cesco Baseggio e diretto da Tatiana Pavlova – ex attrice russa trasferitasi in Italia dopo aver lavorato con Konstantin Sergeevič Stanislavskij e divenuta poi regista – Panelli si lasciò il teatro colto alle spalle, lanciandosi con Senza rete (1954) nell’avventura della rivista intelligente allora di moda. Lo spettacolo, meno graffiante e anticonformista degli altri, ebbe però un grande successo popolare, tanto da venire trasmesso dalla nascente televisione e presentato nel 1955 in una versione francese al teatro Marigny di Parigi.
Nel 1956 legò il suo nome a Garinei e Giovannini proprio quando i due autori, abbandonate le forme della rivista nostrana, con uno scaltro adattamento dei modelli americani, crearono la commedia musicale italiana con Buonanotte Bettina (1956), Adorabile Giulio (1957), Un trapezio per Lisistrata (1958). Da quel momento Panelli, con e senza la moglie Bice, partecipò a molti dei principali spettacoli della sigla G & G sino alla fine degli anni Settanta e oltre, e conquistò una vasta popolarità sempre grazie a Garinei e Giovannini che lo chiamarono a partecipare, insieme a Manfredi e Delia Scala, alle due fortunatissime edizioni di Canzonissima del 1959 e 1960 che gli valsero anche un Microfono d’argento come miglior personaggio televisivo dell’anno.
Da allora la televisione divenne il contesto principale dove esercitò la sua attività di attore comico. Negli anni Sessanta e Settanta partecipò alle più importanti trasmissioni d’intrattenimento del piccolo schermo e della radio: dalle varie edizioni di Canzonissima, a Studio uno, a Gran varietà. Diede vita così a una ricchissima galleria di personaggi comici tra i quali Paolino tze tze, il tassinaro Menelao Strarompi, Ercolino e Cecconi Bruno, una sorta di alter ego, che si trasformava nel nobile toscano, nell’appassionato cavallerizzo, in Ceccon Brown l’astronauta ecc. Un cavallo di battaglia furono le parodie in cui sfruttava l’impeccabile declamazione dei grandi classici della poesia, frutto dell’insegnamento accademico di Mario Pelosini, mescidandola con esilaranti chiose d’intenzioni e sottintesi.
La televisione, a differenza del cinema, che fu solamente un’opportunità alimentare tranne che per alcuni film della maturità, diede a Panelli non solo una larghissima popolarità, ma gli permise di realizzare pienamente, accanto all’attore interprete che aveva imparato a essere, la sua personale concezione dell’attor comico. Per lui, infatti, mentre «l’attore di prosa è l’esecutore del pensiero di un altro: l’attore comico deve essere soprattutto l’autore di se stesso» (Stampa sera, 28 febbraio 1962). Nella dimensione autoriale e nell’improvvisazione strutturata dei varietà che il piccolo schermo incoraggiava, dispiegò compiutamente il suo talento di comico caratterista che, solo in rare occasioni e in proporzioni molto contenute, il teatro di prosa e la commedia musicale gli avrebbero potuto offrire.
Ciò non toglie che il sodalizio con G & G riservò a Panelli ampi spazi di visibilità per esempio nella patetica morte di Chiericuzzo in Rinaldo in Campo (1961), dove l’attore potè toccare con grande efficacia le corde del patetico meritando una Maschera d’argento nel 1962, e ancora nell’avida ottusità del sindaco di Aggiungi un posto a tavola (1974).
Negli anni Sessanta cercò di sviluppare quella porzione di autorialità, che era per lui un requisito essenziale del comico, lanciandosi in due non fortunate avventure come autore e regista: il film Il giustiziere (1963) e lo sceneggiato televisivo Giovanni ed Elviruccia (1970). La prosa rimase un territorio lontano toccato di rado, per esempio con l’ironica messa in scena di Mondolfo del futile L’alba, il giorno, la notte di Dario Niccodemi del 1966 – del quale Panelli e la moglie erano anche produttori – e con Ridolfo nella Bottega del Caffè di Goldoni con la regia di Giuseppe Patroni Griffi nel 1967.
Gli anni Settanta non furono molto significativi; dopo il criticatissimo varietà televisivo Speciale per voi con la moglie, Ave Ninchi e Aldo Fabrizi le sue apparizioni in televisione si diradarono. In teatro invece continuò la collaborazione con G & G con Mai di sabato signora Lisistrata (1971), Niente sesso siamo inglesi (1972), Aggiungi un posto a tavola (1974) e Accendiamo la lampada (1979), nel quale Panelli per l’ultima volta recitò con la moglie. Bice, compagna di vita e di lavoro, dopo la prima fu infatti costretta a lasciare lo spettacolo per una malattia che la portò alla morte il 17 marzo 1980. Per l’attore fu un colpo durissimo e il suo lavoro subì una battuta d’arresto.
Negli anni Ottanta frequentò poco il teatro e, a differenza del passato, soprattutto come autore, regista e una volta, secondando la sua passione per la falegnameria, come scenografo (L’apriscatole di Victor Lanoux, 1981). Realizzò lo spettacolo più importante nella stagione teatrale 1982-83 con Quarant’anni di scenette: una drammaturgia a numeri che riepilogò e definì il manifesto della sua poetica attoriale e autoriale rivisitando i più importanti personaggi creati nella sua carriera.
Nel 1985, mentre era chiamato ad insegnare all’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio d’Amico, aggiunse un altro capitolo alla rivisitazione dello scenettismo praticato in gioventù con Stasera vi do, scritto con Giovanni (Gianni) Isidori. Panelli ripropose in chiave parodica i classici frequentati in Accademia e persino il personaggio di Lomov de La domanda di matrimonio presentato al suo esame di ammissione.
Anche in televisione l’attore compose una sorta di manifesto con Paolo Panelli comico brillante (1987). Attraverso i protagonisti delle tre puntate definì i pilastri della sua poetica: il falegname Teo Tebaldi (l’artigianato), l’impiegato Alberico Maestrini (l’oggetto della comicità) e il maestro di teatro Gardenio Caroselli (l’arte dell’attore). Furono occasioni per riaffermare la propria identità di comico proprio nel momento in cui la vecchia formula del varietà televisivo, della quale era stato uno dei protagonisti indiscussi insieme alla moglie, spirava e si affermavano le serie televisive a cui l’attore seppe comunque adeguarsi grazie alla duttilità del suo mestiere. Infatti, tra le pieghe delle sue vicende umane e artistiche in occasione di Stasera vi do compariva per la prima volta un nuovo tipo, un vecchietto disincantato e un po’ svagato che diventò la base di un nuovo personaggio riproposto e modulato nei diversi contesti dei serial televisivi (Piazza Navona, 1988; Il vigile urbano e I ragazzi della III C, 1989; Pazza famiglia, 1995-96) sino ad un anno prima della morte. Una vera creazione da attore artigiano, capace d’invecchiare e trovare il giusto equilibrio tra i propri mezzi espressivi e le nuove esigenze del mercato. L’epifania più commovente di questo personaggio fu catturata da Mario Monicelli in Parenti serpenti (1992) dove Panelli interpretò magistralmente un vecchio padre carabiniere che, sempre più scollato dalla quotidianità della vita familiare, scivola discretamente nella demenza senile tra l’indifferenza spazientita dei figli.
Morì in una clinica romana il 19 maggio 1997 per un edema polmonare e fu sepolto al cimitero Flaminio accanto alla moglie.
L’anno prima era stato colpito da un’ischemia cerebrale che gli aveva paralizzato il braccio destro strappandolo dal suo mestiere di attore artigiano.
Relativamente alla sua teatrografia – largamente citata nel testo – va ricordato che Panelli lavorò nel teatro di prosa solo agli inizi della sua carriera (1948-51) per seguire poi la via del teatro leggero.
In campo cinematografico, dal 1948 al 1970, lavorò in oltre 50 film per lo più di facile consumo, con l’eccezione di: Parigi è sempre Parigi di L. Emmer (1953), La voce del silenzio di G.W. Pabst (1953), Le signore di T. Vasile (1960), L’assassino di E. Petri (1961), Io, io, io… e gli altri di A. Blasetti (1965). Dal 1970 al 1996 girò solo 9 film nei quali però vi sono le sue interpretazioni migliori: il padre falegname de Il conte Tacchia di S. Corbucci (1983), il signor Paolo in Splendor di E. Scola (1989), il parrucchiere Galliano di Verso sera di F. Archibugi e il padre carabiniere nel citato Parenti serpenti.
Sin dalla nascita della televisione, nel 1954, fu uno dei principali protagonisti dei varietà. Partecipò anche, seppure in modo meno intenso, ai serial televisivi degli anni Ottanta e Novanta. Segnaliamo – oltre ai citati – la Piccola enciclopedia Panelli, di cui fu anche autore (1963).
Fonti e Bibl.: Materiali utili sono rintracciabili a Roma presso l’Archivio storico dell’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio d’Amico, cart. P. P.; e presso gli archivi della S.I.A.E. per il repertorio di scenettista. In assenza di studi a lui dedicati, si può ricordare la voce di F. Savio in Enciclopedia dello spettacolo, VII, Le maschere, Roma 1975, e C. Meldolesi, Fondamenti del teatro italiano, Firenze 1984, pp. 398 s.