ROSSI, Paolo
ROSSI, Paolo. – Nacque a Bordighera (Imperia) il 15 settembre 1900 in una famiglia colta e progressista: sua madre era Iride Gazzo; suo padre, il noto avvocato penalista Francesco Rossi, fu uno dei fondatori del Partito socialista italiano, sindaco di Bordighera e deputato non interventista dell’ala progressista del partito alla vigilia del primo conflitto mondiale; sua cugina era Maria Vittoria Rossi (v. la voce in questo Dizionario), meglio conosciuta con lo pseudonimo di Irene Brin, scrittrice e giornalista di grande temperamento.
Nel 1918, sulle orme paterne, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Genova; ma il suo interesse per le altre scienze umanistiche, in particolare per la filosofia, era ugualmente forte, tanto che seguì anche le lezioni di Rensi. Nello stesso periodo collaborò con Il Lavoro, giornale fondato il 26 aprile 1903 da un’unione tra leghe, mutue e cooperative liguri, sotto la direzione di Giuseppe Canepa, parlamentare del PSI. Il suo attivismo gli costò, non ancora ventenne, le prime violenze da parte dei fascisti.
Nel 1923, laureato in giurisprudenza, venne iscritto d’ufficio all’albo degli avvocati patrocinanti in corte d’appello di Genova, diventando il più giovane avvocato d’Italia. Subito dopo lasciò l’Italia alla volta dell’Inghilterra, dove svolse pratica forense presso uno studio di Liverpool, conobbe il giornalista, critico d’arte e letteratura Mario Praz ed entrò in contatto con i servizi segreti britannici, con i quali collaborò fino alla fine del fascismo.
Dopo il ritorno in Italia nello stesso 1923, dichiaratosi apertamente contrario al regime, nel 1926 subì l’incendio dello studio e dell’abitazione da parte degli squadristi.
Nel 1927 collaborò con la rivista antifascista Pietre, il cui gruppo originario di redazione comprendeva Franco Antolini, Virgilio Dagnino, Francesco Manzitti (ideatori della rivista), Enrico Alpino, Francesco Sabatelli, Umberto Segre, tutti studenti all’Università di Genova, e aveva tra gli altri collaboratori Mario Tarello, Angelo Carrara (che assunse di seguito la direzione del periodico), Mario Vinciguerra e Rensi. Nello stesso periodo frequentò Carlo Rosselli, teorico del socialismo liberale di ispirazione laburista, che in quegli anni sostituiva Gino Arias nel corso di economia politica dell’Ateneo genovese.
A 28 anni superò l’esame di iscrizione all’albo speciale degli avvocati cassazionisti.
Nell’aprile del 1929 pubblicò il suo primo articolo, per la rivista Il Foro ligure, dal titolo Ingiuria e diffamazione nel progetto di codice penale, che conteneva in nuce i motivi della monografia La pena di morte e la sua critica (Genova 1932).
In quest’opera affrontò i vari temi del revisionismo delle idee abolizioniste, della giustificazione storica della soppressione della pena capitale (dal giusnaturalismo al famoso libro di Cesare Beccaria), delle diverse posizioni filosofiche (hegelismo, finalismo, positivismo) affermative o negative del supplizio, dei profili più tecnicamente giuridici quali la sua efficacia e l’errore giudiziario; in sintesi, vi confluì l’esposizione del suo personale giudizio, critico e morale, contrario alla pena.
Per i suoi contenuti eversivi rispetto alla politica del regime, il libro venne sequestrato e distrutto dai fascisti.
Frattanto, nel 1924, aveva sposato Giuseppina Bagnara, detta Giugi, conosciuta a Bordighera, da cui ebbe due figlie, Maria Francesca (nata nel 1935), futura scrittrice con lo pseudonimo di Francesca Duranti, e Marina (nata nel 1940).
È del 1937 la seconda monografia, Scetticismo e dogmatica nel diritto penale (Messina), nella quale è motivo portante la critica della criminalistica coeva, già avanzata nelle pagine della prima opera. Anche questo secondo volume – poi ripubblicato nel 1978 insieme con La pena di morte: scetticismo e dogmatica (Milano) – fu sequestrato e distrutto, ma gli consentì comunque di farsi apprezzare da personalità quali Rensi che, per profondità, coraggio e altezza di pensiero lo paragonò al Saggio critico del diritto penale di Giovanni Bovio (Una critica del diritto penale, in Rivista di psicologia normale e patologica, s. 3, XXXIV (1938), p. 57), mentre Benedetto Croce ne lodò il «serio sentimento morale» (Recensione a P. Rossi, Scetticismo e dogmatica nel diritto penale, in La critica, 1938, vol. 36, p. 365). Nel 1939 pubblicò La riforma penale inglese (Roma), volume nel quale analizzava il progetto di riforma presentato da sir Samuel Hoare alla Camera dei comuni il 30 novembre 1938, alla luce dei principi tradizionali, fondamento del sistema giuridico anglosassone, ma soprattutto dell’effettiva o presunta influenza della scuola positiva italiana.
Poco dopo lasciò Genova insieme alla famiglia e si trasferì presso Lucca, dove aveva acquistato la villa Burlamacchi di Gattaiola. In essa, durante la guerra e nel periodo dei rastrellamenti, trovarono scampo dissidenti del regime ed ebrei, tra cui il vecchio maestro Rensi ed Enrico De Negri.
Neppure in quegli anni così concitati la sua attività scientifica si arrestò: dal 1934 al 1943 comparvero saggi di penalistica e criminologia su diverse riviste fra cui La Giustizia penale, La Scuola positiva, Rivista penale, Rivista di psicologia normale e patologica; nel 1943 prese in prestito la testimonianza di un illustre fiorentino del passato per esprimere le sue posizioni antidogmatiche dimostrando come il diritto penale non fosse mero affare di «giuristi puri», che «vivono dentro la legge positiva, la pongono come fine ultimo del loro studio e non sono più in grado di contemplare le mutevoli leggi della legge» (Guicciardini criminalista, Milano 1943, p. 7).
In quello stesso 1943 si unì alla Resistenza, nel gruppo del Comitato di liberazione nazionale, XI zona, e dopo l’8 settembre 1943 sfuggì per caso alle ricerche della Gestapo.
Nel 1945 fu incaricato di diritto penale nell’Università di Pisa e pubblicò I partiti contro la democrazia (Roma), libro in cui invitava i partiti politici italiani a costruire l’unità della democrazia «sulla base di una salutare semplificazione delle ideologie» (p. 5).
Fu anche un eminente membro del Partito socialista, tra le cui fila intraprese la carriera politica: nel 1946 venne infatti eletto all’Assemblea costituente, nella circoscrizione di Genova, per il Partito socialista italiano di unità proletaria, e fece parte del Comitato di redazione (o Comitato dei 18), cui la Commissione dei 75 aveva affidato il compito di redigere il testo della Costituzione da sottoporre all’Assemblea. Fu nel gruppo parlamentare del PSI fino al 3 febbraio 1947, per passare poi in quello del Partito socialista dei lavoratori italiani e, dopo la scissione di palazzo Barberini, nel Partito socialista democratico italiano. Venne eletto alla Camera dei deputati nel collegio della sua città per quattro legislature, durante le quali fece parte, con ruoli diversi, di numerose commissioni; ricoprì la carica di ministro della Pubblica Istruzione (1955-57) nella seconda legislatura e svolse la funzione di vicepresidente nella terza e quarta.
Tornato all’Università di Genova nel 1947, sulla cattedra di diritto penale, nel 1950 curò la raccolta di alcuni scritti di Carlo Cattaneo: La società umana (Milano) e L’insurrezione di Milano del 1848 (Milano). Nel 1954 pubblicò il discorso tenuto nell’aula magna dell’Università di Pisa, Francesco Carrara minore. Aspetti inediti d’un grande penalista (Roma), nonché l’ultima monografia, Lineamenti di diritto penale costituzionale (Palermo), incentrata principalmente sul tema della responsabilità penale a fronte del principio di uguaglianza sancito negli articoli 3 e 27 della Costituzione.
Europeista convinto, in una relazione tenuta in occasione del congresso di Firenze sui valori fondamentali della cultura europea (7-8 maggio 1962), respinse l’idea del separatismo culturale come «pericoloso apartheid», sostenendo che l’Europa avrebbe dovuto puntare su un ravvicinamento culturale «naturale e irreversibile» che intellettuali e politici avevano il compito di assecondare, «rimuovendo gli ostacoli».
Nei lavori dell’Assemblea costituente assunse una posizione decisamente favorevole all’introduzione di un organo speciale di controllo delle leggi a difesa dei valori costituzionali, poiché in precedenza né la Cassazione, né il Consiglio di Stato avevano svolto tale funzione, e forse anche per questo il 2 maggio 1969 il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat lo nominò giudice costituzionale. A Rossi si debbono, tra le altre, come relatore e redattore, le sentenze aventi a oggetto la riaffermazione della giurisdizione dei tribunali ecclesiastici in materia matrimoniale (n. 175 del 1973), l’estensione agli ergastolani della libertà condizionale (n. 264 del 1974), l’aborto di donna consenziente (n. 27 del 1975). Della Corte costituzionale fu poi eletto presidente il 18 settembre 1975, carica che sarebbe dovuta cessare alla scadenza del mandato, il 9 maggio 1978, ma la cui durata venne prorogata sino al 2 agosto 1979 per consentirgli di portare a termine, con la definitiva e inoppugnabile sentenza, il ‘processo Lockheed’, nel quale, per la prima volta nella storia repubblicana, la Corte costituzionale, in composizione allargata,fu chiamata a giudicare della messa in stato di accusa, da parte del Parlamento, di ministri della Repubblica per reati connessi alle loro funzioni e di imputati ‘laici’ concorrenti nei reati contestati. Oltre a questa, tra le più importanti sentenze che la Consulta pronunciò sotto la sua presidenza, furono quelle relative al ‘cumulo dei redditi’ (n. 179 del 1976), agli impianti di diffusione radiofonica e televisiva via etere (n. 202 del 1976), al riconoscimento alla Corte dei conti, in sede di controllo, della possibilità di promuovere giudizi di costituzionalità (n. 226 del 1976), al matrimonio concordatario (n. 1 del 1977), allo statuto dei lavoratori (n. 13 del 1977).
Dal 1970 al 1973 lavorò ai quattro volumi della sua Storia d’Italia (I, Dal 476 al 1500, Milano 1971; II, Dal 1500 al 1815, Milano 1971; III, Dal 1815 al 1914, Milano 1972; IV, Dal 1914 ai nostri giorni, Milano 1973).
Negli ultimi anni della sua vita partecipò alla revisione del Concordato, firmato il 18 febbraio 1984 a palazzo Madama da Bettino Craxi per la Repubblica italiana e dal cardinale Agostino Casaroli per lo Stato della Città del Vaticano.
Morì a Lucca il 24 maggio 1985.
Opere. Oltre a quelle citate nel testo: Venti discorsi extravagantes, Napoli 1958.
Fonti e Bibl.: A. Del Giudice, Recensione di P. R., La pena di morte e la sua critica, Genova 1932, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, XIII (1933), pp. 278 s.; B. Croce, Recensione a P. R., Scetticismo e dogmatica nel diritto penale, Milano 1937, in La critica, vol. 36, 1938, pp. 365-367; G. Rensi, Una critica del diritto penale, in Rivista di psicologia normale e patologica, s. 3, XXXIV (1938), pp. 56-57; S. Lener, Sul fondamento giuridico di punire, in Civiltà cattolica, III (1979), pp. 380-391; F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Padova 1992, pp. 25, 752, 772; G. Tessitore, Fascismo e pena di morte. Consenso e informazione, Milano 2000, pp. 45, 52, 53, 55, 81, 89, 90, 92, 155, 174, 200, 281, 578, 579, 581; F. Duranti, L’ultimo viaggio della Canaria, Venezia 2003, p. 5 e passim; F. Alberico, Lo squadrismo a Genova (1921-1926), Genova 2004, pp. 69 s.; I. Mereu, La morte come pena, Roma 2007, pp. 187 s.; G. Lori, P. R., un intellettuale democratico, Roma 2009; N. Occhiocupo, Costituzione e Corte costituzionale. Percorsi di un rapporto genetico dinamico e indissolubile, Milano 2010, p. 10; D. Luongo, Il giudice costituzionale, in Il potere dei conflitti. Testimonianze sulla storia della magistratura italiana, a cura di O. Abbamonte, Torino 2014, p. 183; Camera dei deputati, Portale storico, ad nomen.