ROSSI, Paolo
– Nacque a Urbino il 30 dicembre 1923 da Mario e da Emilia Monti, entrambi originari di Città di Castello.
I trasferimenti del padre (1875-1947) – professore di italiano e latino nei licei e studioso di Dante e del Rinascimento – portarono la famiglia a Bologna, dove Rossi, terminato il liceo, iniziò gli studi universitari di filosofia nel 1942, abbandonandoli però l’anno successivo e rifugiandosi in Umbria per sfuggire alla coscrizione obbligatoria della Repubblica sociale italiana (RSI). Finita la guerra, riprese gli studi a Firenze, dove nel 1946 si laureò con Eugenio Garin. L’anno successivo, sempre sotto la guida di Garin, discusse la tesi di perfezionamento, per poi rientrare a Città di Castello come professore di storia, filosofia e storia dell’arte nel locale liceo classico.
Tra i suoi allievi ebbe Andreina Bizzarri, che sposò nel 1951 e dalla quale ebbe due figli, Mario e Anna.
Nel 1952 si trasferì a Milano come assistente volontario di Antonio Banfi, amico di antica data del padre e allievo di Piero Martinetti. Banfi gli assicurò un posto di redattore presso la casa editrice Mondadori, dove Rossi continuò a lavorare fino all’inizio della sua carriera universitaria. Nel 1961 vinse il concorso per professore ordinario di storia della filosofia. Venne chiamato all’Università di Cagliari (1961-62) e poi di Bologna, per trasferirsi infine nel 1966 a Firenze, dove insegnò per più di trent’anni, fino al 1999.
Dopo i primissimi lavori su Martinetti – oggetto della tesi di laurea – e sulla figura di Socrate, Rossi pubblicò nel 1950 una raccolta di scritti di Carlo Cattaneo. A questa seguì – nel 1952 – la biografia scientifica di Giacomo Aconcio, nella quale si delineava la nuova direzione che presero gli studi di Rossi. L’ambiente universitario e culturale della Milano del dopoguerra – dove strinse amicizia, tra gli altri, con Remo Cantoni, Giulio Preti, Mario Dal Pra, Enzo Paci, Luigi Rognoni – coinvolse il giovane Rossi, stimolato a misurarsi con i problemi teorici e metodologici della storiografia filosofica. Nello stesso tempo Rossi approfondì le ricerche intorno ai temi della retorica, della tradizione ermetica, della magia dei secoli XV-XVI cui era stato avviato dall’insegnamento di Garin. Primo frutto di tale lavoro fu Francesco Bacone: dalla magia alla scienza (Bari 1957) seguito da altri due libri ugualmente importanti: Clavis Universalis. Arti mnemoniche e logica combinatoria da Lullo a Leibniz (Milano-Napoli 1960), nel quale volgeva la sua attenzione alle vicende delle arti della memoria e della logica combinatoria nella cultura della prima età moderna, e I filosofi e le macchine (1400-1700) (Milano 1962), eloquente fin dal titolo. Ma già dalla metà degli anni Cinquanta Rossi rivolse la sua attenzione anche a Giambattista Vico, del quale pubblicò un’ampia edizione delle Opere (Milano 1959) cui, a distanza di un decennio, tenne dietro la raccolta di saggi Le sterminate antichità. Studi vichiani (Pisa 1969). Il 1968 e poi il 1970 videro, promosse da studiosi che subito avevano compreso l’importanza di quei libri (prima fra tutti Frances Yates), la pubblicazione in Gran Bretagna e negli Stati Uniti delle traduzioni del Francesco Bacone e dei Filosofi e le macchine, che nell’arco di pochi anni apparve in molte altre lingue, dallo spagnolo al giapponese.
Il dibattito internazionale manifestò grande attenzione e pieno consenso alle tesi di Rossi sulla presenza della magia, dell’astrologia, della tradizione ermetica nella nascita della scienza dell’età moderna.
Rossi metteva in luce che la rinascita scientifica del XVI secolo e la rivoluzione scientifica del secolo seguente erano il risultato di un graduale e complesso distacco dalla visione magica della natura, con momenti di continuità e di autentica contaminazione. In Aspetti della rivoluzione scientifica (Napoli 1971), nella raccolta di testi La rivoluzione scientifica da Copernico a Newton (Torino 1973), e poi ancora nei saggi raccolti in Immagini della scienza (Roma 1977) Rossi illustrò con ricchezza di esempi la complessità di quei processi, avendo cura tuttavia di sottolineare la centralità e l’importanza del rapporto tra riflessione filosofica e conoscenza scientifica che così prendeva forma.
Dinanzi al diffondersi, a partire dalla metà degli anni Sessanta, di molteplici forme di avversione filosofica al sapere scientifico, Rossi avvertì il pericolo della deriva irrazionalistica di una vera e propria «controcultura». Nel corso degli anni Settanta, prese così ad adoperarsi per promuovere la conoscenza della storia della scienza non solo nell’Università e nella Scuola, ma anche presso un pubblico più vasto, con una fortunata attività pubblicistica che proseguì nei due decenni successivi. Nello stesso tempo, sotto suo impulso nacquero le collane di storia della scienza degli editori Loescher e Feltrinelli e la Storia della scienza moderna (UTET) che, avviata nella seconda metà degli anni Settanta, vide la luce nel 1988. La direzione di queste iniziative editoriali non distolse Rossi dalla ricerca: alla fine degli anni Settanta pubblicò l’innovativo I segni del tempo. Storia della terra e storia delle nazioni da Hooke a Vico (Milano 1979; trad. negli Stati Uniti, The dark abyss of time, Chicago 1984).
Come già in Clavis universalis e nei Filosofi e le macchine, Rossi si misurava con un complesso di temi e questioni a lungo rimasto inesplorato. In un gran numero di testi scientifici e religiosi ripercorse lo scontro (e a volte la convivenza) tra i nuovi modi di guardare alla storia della Terra e dell’umanità e le concezioni di chi tenacemente rimaneva ancorato al sapere biblico. Tornato al suo interesse di antica data per Vico (con una nuova edizione ampliata, pubblicata a Firenze nel 1999, degli Studi vichiani del 1969), riaffermò la sua lontananza sia da chi aveva voluto fare del grande filosofo napoletano un precursore dello storicismo, sia da coloro che, più di recente, ne avevano proposto una singolare attualizzazione.
Già a metà del decennio precedente Rossi aveva ripubblicato – ampliato, ma con lo stesso titolo – un volume (Storia e filosofia. Saggi sulla storiografia filosofica, Torino 1969; 1975) in cui aveva raccolto i suoi interventi di critica alla storiografia idealistica e di metodologia storica. All’inizio degli anni Ottanta, l’introduzione alla traduzione italiana degli Essays in the history of ideas di Arthur O. Lovejoy (L’albero della conoscenza. Saggi di storia delle idee, Bologna 1982) fu per Rossi l’occasione di mettere in chiaro le luci e le ombre di una concezione del lavoro storico della quale riconosceva comunque di essere ampiamente debitore. Con gli anni Ottanta e per tutti gli anni Novanta, fino al nuovo secolo – in un quadro culturale e politico di mutamenti epocali – Rossi continuò a riflettere intorno al ‘mestiere di storico’, non limitandosi all’elaborazione metodologica, ma anche assumendo posizioni teoriche nette, avanzate e difese senza il timore della polemica, sempre ancorata tuttavia ai fatti, agli eventi, a quanto ragionevolmente si può ritenere che la storia insegni.
L’attenzione di Rossi stavolta non privilegiava i secoli XVI e XVII – anche se è di quegli anni la sintesi di ampio respiro La nascita della scienza moderna in Europa (Roma-Bari 1997), subito tradotta nelle principali lingue –, ma si rivolse all’Ottocento e al Novecento, in pari misura sia alle idee scientifiche e filosofiche sia a quelle letterarie. I fatti cui Rossi si richiamava erano ora soprattutto rappresentati dal mutare della concezione del tempo e, con questa, della memoria privata e collettiva. Erano i fatti messi in luce dalla biologia e dalle scienze – dalla psicologia alla stessa etnologia – a vario titolo coinvolte nello studio della natura umana.
Rossi era deciso nell’opporsi a chi si faceva sostenitore di visioni del mondo che, ispirate in misura essenziale al pensiero di Friedrich Nietzsche e Martin Heidegger, oscillavano tra pronunciamenti di carattere nichilistico e forme varie di rifiuto della scienza e della tecnica. Visioni del mondo che a suo giudizio nascevano da una fondamentale ignoranza, da una sorta di rifiuto di principio del pensiero scientifico e di quanto quest’ultimo dà modo di comprendere circa la stessa natura umana. È semplicistico guardare al tempo come all’«eterno ritorno dell’uguale» o scorgere nell’idea di progresso nient’altro che il relitto di una visione ingenua dell’uomo e del suo rapporto con la natura. Difese le sue tesi con fermezza in una serie ininterrotta di interventi raccolti poi in libri brillanti e polemici come I ragni e le formiche. Una apologia della storia della scienza (Bologna 1986), Paragone degli ingegni moderni e postmoderni (Bologna 1989) e poi ancora Naufragi senza spettatore (Bologna 1995). Non esitando a ricorrere all’ironia, Rossi criticava i sostenitori di concezioni apocalittiche o millenaristiche. Si trattava di critiche comunque intransigenti, come quelle di cui era oggetto – e in questo caso la serrata argomentazione prevaleva sull’ironia – anche chi avversava una organica relazione tra storia e riflessione filosofica perché convinto che ciò rappresentasse un pericolo esiziale per la dignità stessa di quest’ultima. In Un altro presente. Saggi sulla storia della filosofia (Bologna 1999) Rossi ribadiva che al lavoro dello storico non può essere rimproverata la lontananza dai tempi in cui viviamo. Lo storico – sottolineava Rossi – si occupa comunque della natura umana, vive in realtà – il titolo di quel libro era preso a prestito da Giulio Preti, antico allievo di Banfi – in «un altro presente».
Molti degli ultimi scritti e interventi di Paolo Rossi (Bambini, sogni, furori, Milano 2002; Speranze, Bologna 2008; Un breve viaggio e altre storie, Milano 2012) erano rivolti a un pubblico ben più vasto della comunità degli addetti ai lavori, con il proposito – poi felicemente confermato dal successo editoriale – di difendere le ragioni di una cultura realmente illuministica nel contemporaneo esercizio della critica e della tolleranza e nell’attenzione per tutto ciò che i saperi scientifici danno modo di apprendere circa la natura umana. Ma non fu solo in questa direzione che, nei suoi ultimi anni, Rossi spese le sue energie. Fu ancora l’intreccio di magia e scienza – che segna l’inizio della modernità e lo stesso avviarsi della rivoluzione scientifica del XVI secolo – a essere oggetto di nuove indagini, che riprendevano e sviluppavano, ponendo stavolta al centro della discussione Giordano Bruno, quanto già in precedenza messo in luce intorno alla tradizione ermetica. In Il tempo dei maghi. Rinascimento e modernità (Milano 2006) Rossi tornò così – in una densa premessa intitolata Sulla magia e sulla scienza – a ricordare che la constatazione del dato di fatto rappresentato dal darsi di quell’intreccio non può essere strumentalmente enfatizzata, con il fine più o meno confessato di contestare ogni plausibilità alla conoscenza scientifica.
Accademico dei Lincei e membro della Academia Europaea, Rossi fu insignito nel 1985 con la Sarton Medal della American History of science Society e, nel 2009, ricevette il prestigioso premio Balzan.
Morì a Firenze il 14 gennaio 2012.
Fonti e Bibl.: F. Abbri - M. Segala, Segni e percorsi della modernità. Studi in onore di P. R. Con la bibliografia di P. R., Arezzo 2000; F. Abbri, Obituary. P. R.: 30 december 1923-14 january 2012, in Nuncius. Journal of the material and visual history of science, XXVII (2012), 1, pp. 1-10; A. Pagnini, Ricordo di P. R., in Iride, XXV (2012), n. 66, pp. 209-214; P. R., un maestro, con premessa di M. Ciliberto, Pisa 2013.