SAVI, Paolo
– Nacque a Pisa l’11 luglio 1798 da Gaetano e da Anna Bombicci. Il padre incoraggiò sia Paolo sia l’altro figlio, Pietro (1811-1871), a intraprendere sin da giovanissimi la carriera universitaria.
Savi si dedicò alla zoologia e all’anatomia comparata, e in parte alla botanica, almeno quanto bastava a essere nominato assistente del padre dal 1819 al 1823. Dal 1821 fu anche assistente alla cattedra di storia naturale tenuta da Giorgio Santi e ne assunse l’incarico dopo la morte di questi, nel dicembre del 1822; nel novembre del 1823 fu nominato professore di storia naturale e di mineralogia e direttore del Museo dell’Università. Le sue prime pubblicazioni illustravano la fauna toscana, in particolare l’ornitologia (Ornitologia toscana, I-III, Pisa 1827-1831). Fu anche apprezzata la memoria Sopra la talpa cieca degli antichi (Pisa 1822) che descriveva una specie di talpa in cui gli occhi erano interamente coperti da pelle e pelo, in cui alcuni videro un esempio di mutazione adattativa di tipo lamarckiano.
Sviluppò una notevole abilità nelle preparazioni tassidermiche, occupandosi personalmente di arricchire di esemplari la sezione di zoologia del Museo. Gli animali erano esposti individualmente o in gruppo per illustrare plasticamente i loro modi di vita e le relazioni reciproche. Dal 1824 compì viaggi in Italia (nel giugno del 1824 fu a Torino, dove visitò le collezioni dello zoologo e ornitologo lamarckiano Franco Andrea Bonelli), a Ginevra, dove incontrò Augustin Pyramus de Candolle, e nella Maremma senese. Dal maggio al settembre del 1828 intraprese un lungo viaggio che lo portò a Parigi, dove si trattenne per due mesi «a studiare ne’ Musei e Biblioteche e confabulando coi celebri Naturalisti Cuvier, Brongniart, Geoffroi [sic] S. Hilaire, Blainville, ec», per far poi ritorno a Pisa con un ricco bottino di reperti, in parte donati da Georges Cuvier (Pisa, Biblioteca di scienze naturali e ambientali, Notizie concernenti Paolo Savi, Misc. Paolo Savi, f. n.n.).
Risalgono al 1828 le prime escursioni geologiche, proseguite nel 1829 con lunghe gite sugli Appennini, i Monti Pisani, e le Alpi Apuane. Savi ne ricavò alcune memorie pubblicate nel Nuovo giornale de’ letterati tra l’ottobre del 1829 e il giugno del 1830, e raccolte in Studi geologici sulla Toscana (Pisa 1833), nonché una pionieristica Carta geologica dei Monti Pisani (s.l. 1832). L’orientarsi di Savi verso la geologia fu forse dovuto a una sollecitazione del granduca, che finanziava generosamente i suoi viaggi. Nel luglio del 1830 il granduca lo portò con sé in un viaggio in Germania: significativamente, la geologia prevalse sugli interessi zoologici. Savi tornò a Pisa con una collezione di circa 1400 reperti geologici e solo 70 esemplari di specie di mammiferi e di uccelli. Studiò i terreni carboniferi della Sassonia e della Boemia; ispezionò miniere, si intrattenne con geologi e ingegneri addetti allo sfruttamento del sottosuolo.
Nel 1831 il granduca gli assegnò una forte somma a titolo personale per riordinare le collezioni e costruire nuove scaffalature nel Museo. Arrivarono anche i primi importanti incarichi pubblici concernenti le risorse minerarie del Granducato. Nel gennaio del 1833 una sovrana risoluzione gli affidò la responsabilità di studiare le saline di Volterra; nel maggio del 1833 ebbe l’incarico di visitare la miniera di ferro dell’Isola d’Elba e di redigere una memoria, compensata con 100 zecchini. Nel luglio del 1834 il suo piano di ristrutturazione delle saline fu approvato e gli fu chiesto di porlo in esecuzione; nel luglio del 1837 il granduca gli assegnò un vitalizio di 1400 lire annue perché «si prestasse al disimpegno delle incombenze che gli venissero in ogni tempo affidate» (Notizie concernenti Paolo Savi, cit.). Nel 1836 Savi aveva ottenuto dal granduca la costruzione di un anfiteatro contiguo al Museo, in funzione dal novembre del 1837, per tenervi le lezioni e guadagnare spazio per le collezioni. Nel 1840 e nel 1841 gli furono erogati ulteriori finanziamenti per aggiungere nuove sale al Museo. Tuttavia, nel 1841 scelse di occupare la cattedra di zoologia e non la nuova cattedra di geologia, istituita nell’ambito delle importanti riforme dello Studio pisano volute dal granduca. La malaria contratta in Maremma aveva affievolito le sue forze, spiegava, rendendolo poco adatto a faticose escursioni.
Il nuovo professore, il napoletano Leopoldo Pilla, era legato alla scuola catastrofista franco-tedesca, rappresentata da Jean-Baptiste Élie de Beaumont e da Leopold von Buch: vulcani e intere catene di montagne erano stati sollevati d’un tratto dal liberarsi subitaneo di immense energie sotterranee. Savi era tra i pochi in Italia ad aderire – a suo modo – alle idee anticatastrofiste di Charles Lyell e Constant Prévost sul lento mutare della superficie della Terra, a opera di cause sempre attive, e con la stessa intensità, nel presente come nel passato. Nel 1834 aveva pubblicato a Pisa (raccogliendo articoli apparsi sul Nuovo giornale de’ letterati) Sulla scorza del globo terrestre e sul modo di studiarla, in cui traduceva e commentava un lungo saggio di Prévost, acerrimo nemico di de Beaumont, apparso sul Dictionnaire classique d’histoire naturelle (s.v. Terrain, XVI, 1830, pp. 133-173). La rivalità scientifica tra Savi e Pilla fu interrotta solo dalla morte di Pilla sui campi di Curtatone, il 29 maggio 1848. Nelle riunioni annuali degli scienziati italiani, in scambi di opuscoli e articoli su riviste, Savi e Pilla confrontavano diverse e spesso opposte interpretazioni dei terreni della Toscana e dell’Italia (Corsi, 2000, pp. 889-927).
Savi mantenne, forse a insaputa di Pilla, il suo ruolo di fidato consigliere del granduca. Nel 1843 si accese un’aspra controversia sul combustibile fossile trovato a Monte Bamboli e a Monte Massi, per alcuni vero litantrace inglese, per altri, Savi in testa, solo una lignite ‘cotta’ dal calore di rocce plutoniche. Pilla, che aveva accettato un incarico remunerato dall’impresa mineraria impegnata negli scavi, produsse un opuscolo in cui esaltava le potenzialità industriali del combustibile: un’impossibilità scientifica, diceva, vista la giacitura dei filoni in terreni terziari, ma un fatto incontrovertibile (Notizie geologiche sopra il carbon fossile trovato in Maremma, Firenze 1843). Savi rifiutò le offerte economiche dell’impresa mineraria e redasse d’intesa con il granduca una dettagliata memoria in cui metteva in guardia dall’eccessivo ottimismo.
I fenomeni geologici che avevano potuto alterare la lignite rendendola simile al litantrace avevano portata locale, e non c’era da sperare in vasti giacimenti della stessa qualità. Tuttavia, valeva la pena continuare le esplorazioni. Entro certi limiti i pozzi avrebbero aiutato l’economia Toscana: quel che il granduca voleva sentirsi dire (Sopra i carboni fossili dei terreni mioceni delle Maremme toscane, Pisa 1843).
Il terremoto che colpì Pisa nell’agosto del 1846 costituì un ulteriore motivo di conflitto: Savi stigmatizzò come improvvida la previsione di Pilla che un nuovo vulcano si sarebbe presto prodotto nel cuore del Granducato (Relazione de’ fenomeni presentati dai terremoti di Toscana dell’agosto 1846, Pisa 1846).
Caduto in disgrazia per diverse ragioni, Pilla moltiplicò con successo i propri sforzi per guadagnarsi l’appoggio di geologi francesi e tedeschi. Nel 1847 affermava di aver ottenuto l’assenso scientifico del celebre geologo inglese sir Roderick I. Murchison alla sua proposta di denominare ‘terreno etrurio’ una formazione che integrava la geologia toscana nel quadro della geologia nordeuropea. In altre parole, era lui, non Savi, l’interlocutore dei grandi geologi del continente. Savi intraprese la traduzione di un’importante memoria di Murchison e di Adam Sedgwick per smentire il collega. La guerra del 1848 ritardò l’impresa, e l’opera vide la luce alla fine del 1850, quando Pilla non poteva più ribattere. Savi aveva aggiunto alla traduzione una dettagliata memoria, scritta insieme al successore di Pilla, Giuseppe Meneghini, suo amico personale, in cui demoliva le tesi geologiche di Pilla (Memoria sulla struttura geologica delle Alpi degli Apennini e dei Carpazi […] ed una Appendice sulla Toscana, Firenze 1850). Dal 1850 alla sua morte nel 1871, Savi non nominò più Pilla.
Il civile ma implacabile conflitto con Pilla aveva spinto Savi a una sostenuta produzione scientifica nel campo della geologia, disciplina che nel 1841 aveva ufficialmente scelto di abbandonare. Aveva anche contribuito con un importante studio sulla torpedine a un lavoro di Carlo Matteucci, Traité des phénomènes électro-physiologiques des animaux suivi d’études anatomiques sur le système nerveux et sur l’organe électrique de la tourpille (Paris 1844). Dopo il 1850-51, la malattia, problemi familiari e gli affari correnti rallentarono la sua produzione. Savi non tenne dietro agli sviluppi della geologia continentale, sempre più fondata sulla paleontologia, lasciando il compito al fedele amico Meneghini. Tornò in parte agli interessi zoologi della giovinezza, approntando un’ambiziosa Ornitologia italiana, uscita postuma (I-III, Firenze 1873-1876).
Nonostante la sua opposizione al tentativo sabaudo di imporre alla Toscana il principio dell’intervento statale nelle prospezioni minerarie (P. Savi - G. Meneghini, Della legislazione mineraria e delle Scuole delle miniere, Firenze 1861) Savi venne nominato senatore del Regno d’Italia nel 1862 anche se, significativamente, non occupò mai il suo scranno adducendo motivi di salute. Non partecipò neppure, pur essendo stato nominato vicepresidente, alle riunioni fiorentine del Comitato per preparare i lavori della Carta geologica d’Italia (settembre 1861), permettendo così alla rappresentanza torinese guidata da Quintino Sella di dominare i lavori (P. Corsi, The Italian geological survey: the early history of a divided community, in Four centuries of the word ‘geology’, Ulisse Aldrovandi 1603 in Bologna, a cura di G.B. Vai - W. Cavazza, Bologna 2003, pp. 255-279). Continuava tuttavia, anche dopo l’Unità italiana, a offrire consulenze per imprese minerarie sia come privato sia come esperto governativo (Pisa, Biblioteca di scienze naturali e ambientali, Misc. Paolo Savi, bb. 11-13, 15) e di tanto in tanto ricordava ai colleghi il ruolo pionieristico che aveva avuto nello sviluppo della geologia toscana e italiana pubblicando memorie su Il Nuovo Cimento, di cui era condirettore il fedele Meneghini (come Sulla costituzione geologica della catena metallifera ed in particolare della ellissoide apuana, 1863, vol. 18, pp. 156-201).
Morì a Pisa il 5 aprile 1871.
Opere. Alcune considerazioni sulla cattiv’aria delle Maremme toscane, Pisa 1839; Sull’efficacia dello zolfo per guarire la malattia delle viti, Pisa 1861; Saggio sopra la costituzione geologica della Provincia di Pisa, Pisa 1863.
Fonti e Bibl.: Università di Pisa, Biblioteca di scienze naturali, Misc. Paolo Savi; Misc. Giuseppe Meneghini; Biblioteca Universitaria, Fondo Savi; Fondo Pilla. Vedi la scheda in http://siusa.archivi. beniculturali. it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=comparc&Chiave=10452&RicProgetto=personalita?
Alla memoria di P. S., Pisa 1871 (con appendice bibliografica); G. Meneghini, Della Scuola geologica di P. S., Pisa 1881; G. Stefanini, La Scuola di Pisa e i progressi della geologia, in Annali delle Università toscane, 1930, vol. 13, pp. 129-151; D. Barsanti, L’Università di Pisa dal 1800 al 1860, Pisa 1993; R.P. Coppini, Dall’amministrazione francese all’Unità (1808-1861), in Storia dell’Università di Pisa, II, 1, Pisa 2001, pp. 135-267; R. Vergara Caffarelli, Le scienze: fisica, chimica, matematica, ibid., II, 3, pp. 759-822; P. Corsi, La Scuola geologica pisana, ibid., II, 3, pp. 889-927.