SEGNERI, Paolo
– Primogenito di diciotto figli, nacque a Nettuno (Roma) il 21 marzo 1624, da Francesco, discendente da una famiglia aristocratica di Firenze, e da Vittoria Bianchi, originaria di Roma.
Cresciuto in un ambiente di fervida devozione, entrò il 1° dicembre 1637 nel noviziato della Compagnia di Gesù a S. Andrea del Quirinale, in Roma, dove trascorse un biennio sotto la guida di padre Giampaolo Oliva, futuro generale dell’Ordine. Prima di prendere i voti, frequentò presso il Collegio romano i corsi di retorica, filosofia e teologia, avendo come maestri i padri Vincenzo Carafa, poi generale dell’Ordine, e Sforza Pallavicino, poi cardinale, e insegnandovi anche per tre anni, dal 1642 al 1645, ‘lettere umane’.
A questo periodo risale il volgarizzamento, con dedica al principe Ranuccio Farnese II, della seconda decade delle Guerre di Fiandra di Famiano Strada (Roma 1648), delle quali aveva apprezzato lo stile antitacitista e l’attualità dell’argomento filocattolico, cui seguì la compilazione in latino della biografia dello stesso Strada (Roma 1650).
All’esperienza nel Collegio Romano rimontano anche le prime dure pratiche penitenziali, che contribuirono a procurargli, presso i convittori e i maestri, una fama di santità.
Nel 1653, all’età di ventinove anni, fu ordinato sacerdote e, dietro sua richiesta, inviato nel collegio di Pistoia per insegnare grammatica; lì cominciò a dare forma al Quaresimale, attendendo allo studio della Bibbia, della patristica e delle orazioni di Cicerone. Colpito da uno stato di semi-sordità che lo accompagnò sino alla morte, nel 1660 si trasferì a Perugia, dove nell’autunno, mentre era impegnato negli esercizi spirituali, visse una sconvolgente esperienza mistica, a seguito della quale radicalizzò ancor di più il suo già rigoroso stile di vita. L’intensificazione del suo zelo religioso si verificò nel segno di cinque regole basilari (povertà, ritiramento, orazione, penitenza, esame), da lui riassunte nell’acronimo PROPE.
A partire dall’11 dicembre 1660 Segneri tenne una sorta di diario spirituale, i Sentimenti avuti nell’orazione, modellato sull’esempio di quello di Ignazio di Loyola e pubblicato solo postumo (Torino 1831).
Nel 1665 iniziò, in compagnia del gesuita pistoiese Gian Pietro Pinamonti, una quasi trentennale attività di predicazione fra le popolazioni rurali dell’Italia centro-settentrionale (generalmente fra la primavera e l’autunno), che terminò solo con la sua chiamata a Roma nel 1692. Anche se avrebbe desiderato partire come missionario in Oriente, Segneri ebbe modo comunque non solo di consacrare la sua fama di predicatore, ma anche di svolgere un ruolo sociale fra quelle comunità, favorendo pacificazioni civili e operando campagne di moralizzazione dei costumi. Come risulta dai Ragionamenti per la missione, a lui attribuibili, riformò lo stesso istituto dell’apostolato missionario, ridisegnandone prassi organizzative e obiettivi di fondo e accentuandone aspetti scenografici e performativi, secondo le indicazioni della precettistica controriformistica e del teatro pedagogico gesuitico. Inoltre, dal punto di vista oratorio, elaborò un modello di predicazione rurale diverso da quello cittadino, dimostrando in questo modo una piena consapevolezza anche sul piano della rethorica docens (postumo uscì un suo trattato sull’Arte di predicar bene, Napoli 1835).
Prima della sua esperienza missionaria, Segneri aveva del resto già pubblicato la raccolta dei ventuno Panegirici sacri (Bologna 1664), incentrati su figure importanti del pantheon cattolico e in parte già pubblicati alla spicciolata in precedenza, che paiono ancora allinearsi, per esuberanza stilistica e per ricerca di effetti stupefacenti, ai paradigmi formali dell’ornato difficile.
Con la fase delle missioni si intrecciano, invece, altri scritti di carattere catechetico ed edificante, composti nelle pause invernali dell’attività missionaria presso il collegio gesuitico di San Giovannino a Firenze e strettamente legati all’impegno pastorale: un trattato mariologico, Il divoto di Maria (Bologna 1667) e, soprattutto, due manuali, Il penitente istruito (Bologna 1669) e Il confessore istruito (Brescia 1672), infarciti di riferimenti scritturali e patristici e specularmente incentrati sul sacramento della confessione.
Nel 1679 vide la luce a Firenze (e in contemporanea a Venezia), con dedica al granduca di Toscana Cosimo III e con la supervisione di Agostino Coltellini e di Francesco Redi, medico personale di Segneri, il Quaresimale, raccolta di quaranta omelie pronunciate, fra il 1655 e l’anno della pubblicazione, in varie città dell’Italia centrale.
La stesura del Quaresimale, in cui Segneri riunì le due tinte della sua predicazione, rurale e cittadina, era venuta a intrecciarsi, frattanto, con l’occupazione di compilatore della terza edizione del Vocabolario della Crusca, ricca peraltro di acquisizioni tratte dalle sue opere, dopo che egli era divenuto nel 1678 accademico di quel sodalizio. Nella condivisione di un paradigma linguistico di tipo conservatore, il gesuita rispecchiava così, su altro terreno, la sua inflessibile ortodossia in campo teologico e pastorale.
Oggetto di una polemica fra Giuseppe Parini e Alessandro Bandiera, la lingua del Quaresimale costituì pure un tema di fondo dell’alterna fortuna di Segneri fra XVIII e XIX secolo: accolto con benevolenza, proprio per il suo purismo cruscante e antibarocco, da classicisti e neoclassici, egli ebbe invece, generalmente, l’avversione della critica romantica, con le eccezioni dei cattolici Niccolò Tommaseo e Alessandro Manzoni. Le novità del Quaresimale non riguardarono, tuttavia, solo gli aspetti formali, ma anche quelli etico-religiosi ed ermeneutici, perché il gesuita volle offrire con la sua opera, come si propose nell’Avviso a chi legge, una più immediata comprensione del testo scritturale, alla quale doveva risultare funzionale una retorica mirata alle sollecitazioni degli affetti e non puramente esornativa.
L’impegno predicatorio non fu però l’unico praticato da Segneri, che vi affiancò, al culmine del suo periodo missionario, anche quello catechetico, come dimostra una sua opera, La Manna dell’anima, la cui gestazione avvenne in quattro parti, uscite fra il 1673 e il 1680 in diversi luoghi di pubblicazione (Bologna, Firenze e Milano).
L’opera si configura come un menologio articolato in quattro trimestri e offre meditazioni sulle principali festività dell’anno liturgico, traendo spunto da passi scritturali metaforicamente presentati alla stregua di un cibo spirituale (la ‘manna’ dell’anima). L’abbinamento fra immagine cibaria e struttura calendariale risponde all’esigenza didascalica di Segneri, applicata qui, dopo la predicazione, anche al campo dell’esegesi biblica e dottrinale.
A questa stessa tendenza esegetica e propagandistica pertengono, del resto, anche altre opere minori, esplicative di testi fondamentali dell’orazionale cattolico, alle quali Segneri si dedicò nello scorcio finale della sua vita: l’Esposizione del Miserere (Firenze 1692), che focalizza sul Salterio lo stesso modello interpretativo dei testi sacri proposto nel Quaresimale; la Dichiarazione del Pater Noster in cinquantasei considerazioni (Bassano 1694) e l’explanatio del Magnificat, interrotta dalla morte e pubblicata postuma (Parma 1801). Intercetta, invece, un interesse più propriamente agiografico, anche se ben presto questo si tramuta in occasione di meditazione spirituale, l’operetta sulla Divozione di cinque venerdì in ossequio di S. Maria Maddalena de’ Pazzi carmelitana (Lucca s.d.).
Si sovrappone al periodo missionario un’altra vicenda importante della vita di Segneri, vale a dire il suo intervento nella polemica antimolinista e antiquietista. Nel trattato Concordia tra la fatica e la quiete nell’orazione (Firenze 1680), egli si fece infatti portavoce ufficiale dell’Ordine dei gesuiti contro l’orientamento quietista di Miguel de Molinos, inizialmente appoggiato da papa Innocenzo XI, avendo come obiettivo la confutazione dell’«orazione di quiete».
L’opera, composta dietro lo sprone del generale della Compagnia, Gian Paolo Oliva e posta all’Indice nel 1681 (ma fu riabilitata nel 1687, in coincidenza con la condanna della dottrina di Molinos), ebbe poi un suo seguito in un gruppo di operette dei primi anni Ottanta, concepite come risposte ad alcuni avversari e rilevanti per il fatto che in esse Segneri si dimostra un abile controversista: la Lettera di risposta al vescovo filomolinista di Jesi, Pietro Matteo Petrucci (Venezia 1681), le Lettere di risposta al signor Ignazio Bartolini sopra l’eccezioni che dà un difensore dei moderni quietisti a chi ha impugnate le loro leggi in orare (Venezia 1681); il Fascetto di vari dubbii intorno all’orazione detta di pura fede, di fede nuda, di fede semplice, o pur di quiete (Venezia 1682); I Sette principi, su cui si fonda la nuova orazione di quiete (Venezia 1682).
Fra il 1692 e il 1694 Segneri si ritrovò coinvolto in un’altra polemica, questa volta tutta interna all’Ordine ignaziano, contro il ‘probabiliorismo’. Sostenuto dal generale Tirso Gonzáles contro la stessa dottrina ufficiale dei gesuiti, che era invece il ‘probabilismo’, Segneri ne demolì i presupposti teologici in una serie di scritture private, poi riunite sotto falso nome nelle postume Lettere sulla materia del probabile (Colonia 1703), senza lasciarsi scoraggiare dagli attacchi rivoltigli frattanto, in forma anonima, da alcuni confratelli.
Lo spirito del polemista ritorna nel Parere sopra la Vita interiore di Giovanni Palafox, pubblicato anch’esso postumo nel 1851, impietoso disvelamento delle ipocrisie e delle falsità in campo religioso, e, soprattutto, nel trattato L’incredulo senza scuse (Firenze 1690), apologia della religione cattolica concepita contro gli ‘ateisti’ e gli eretici, ma anche contro le altre religioni monoteiste, ritenute di rango inferiore.
Il ruolo di polemista e di apologeta testimonia la completa adesione di Segneri alla militanza dell’universalismo cattolico e gesuitico di marca postridentina e arricchisce il profilo del predicatore e del missionario, non riducibile in alcun modo alla visione unidimensionale di un’astratta spiritualità, come invece vorrebbero i suoi biografi più antichi. Si integra, del resto, con il suo impegno di difesa della religione cattolica contro nemici esterni e interni, anche l’azione di catecheta e di pedagogista, ben risultante da un gruppo di sessanta lettere che Segneri indirizzò fra il marzo del 1665 e il maggio del 1694 a una mistica del suo tempo, suor Umilia Garzoni, e, soprattutto, da un’altra sua opera risalente al periodo missionario, Il Cristiano istruito nella sua legge (Firenze 1686).
Esito più significativo di un filone di trattatistica comportamentale che il gesuita dedicò a diverse funzioni e figure dell’attività pastorale (il penitente, il confessore ecc.), questo monumentale trattato in tre parti delinea una sorta di vademecum del perfetto cristiano, rivolgendosi a sacerdoti e a fedeli attraverso una tassonomica casistica di comportamenti pratici esaminati sulla base della teologia morale di san Tommaso e delle recenti prescrizioni tridentine. Sotto il medesimo segno si colloca anche un’altra opera più tarda, Il parroco istruito (Firenze 1692), caratterizzata dalla stessa cifra nomenclatoria del Cristiano istruito nella sua legge e nella quale l’autore fornisce un complesso di precetti per la formazione del clero.
Ai primi di febbraio del 1692 Segneri fu chiamato a Roma da Innocenzo XII come pontificiae aulae orator. Dalle numerose lettere indirizzate fra il 1692 e il 1694 a vari interlocutori, fra i quali il generale Tirso Gonzáles e il granduca Cosimo III de’ Medici, emergono dapprima i tentativi di Segneri di evitare l’incarico e poi la sua rassegnata accettazione di questo ruolo impegnativo, che lo costrinse ad abbandonare l’esercizio missionario e ne mise alla prova le capacità di resistenza fisica e mentale, per il fatto che la predicazione urbana si svolgeva a braccio, al contrario di quanto si verificava in quella rurale. Riunite nella silloge delle tredici Prediche dette nel Palazzo Apostolico (Roma 1694), queste orazioni romane, composte fra il febbraio e il settembre del 1693, segnano il ritorno del gesuita alla predicazione solenne dei Panegirici sacri e vennero pronunciate fra la quaresima del 1692 e quella del 1693, rappresentando il riflesso di una svolta esistenziale subita, ma anche accolta con spirito di obbedienza.
Alla metà di dicembre del 1692, Segneri, ormai pienamente inserito nella Curia romana, ricevette da Innocenzo XII gli incarichi di teologo della Penitenzieria, di esaminatore dei vescovi, di qualificatore del S. Uffizio e di procuratore della Compagnia di Gesù. Avanzando ragioni di salute e dopo una lunga mediazione testimoniata da contatti epistolari con Cosimo III, di cui di fatto fu consigliere diplomatico e referente presso lo Stato pontificio, accettò solo il primo, essendo anche dispensato dal ruolo di predicatore apostolico e impegnandosi, nella sua nuova funzione, nella controversia riguardante il probabilismo.
Fa luce su questo suo periodo romano, trascorso insieme con il sodale Felice Bernabei, ma anche sulle relazioni non sempre facili con i superiori, con importanti famiglie dinastiche del suo tempo (i Farnese a Parma e, soprattutto, i Medici a Firenze) e con la stessa Curia pontificia, il lungo commercio epistolare con Cosimo III.
Nelle 333 lettere scritte fra il dicembre del 1779 e il 4 dicembre 1694, Segneri rivela un tratto pragmatico e mondano della sua personalità, troppo spesso messo in ombra dalle sue biografie agiografizzanti, e uno spiccato interesse verso tutti gli aspetti della politica secolare del tempo (incluso il tema della ‘ragion di Stato’), anche nella scia della sua fondamentale esperienza di missionario e di apologeta.
Ammalatosi di stomaco nel luglio del 1694, Segneri si trasferì a Tivoli alla metà di settembre su suggerimento dei medici, ma tornò in condizioni critiche a Roma, dove ricevette in punto di morte la visita del cardinale Albani, futuro Clemente XI.
Morì in Roma, il 9 dicembre 1694, nella casa del noviziato di Sant’Andrea del Quirinale.
Opere. Per le edizioni delle opere, si vedano le moderne scelte antologiche degli scritti segneriani, con introduzione e commento, in Trattatisti e narratori del Seicento, a cura di E. Raimondi, Milano-Napoli 1960, pp. 653-764; Prose scelte di Daniello Bartoli e Paolo Segneri, a cura di M. Scotti, Torino 1969, pp. 451-756.
Fonti e Bibl.: Dopo le biografie sette-ottocentesche di G. Massei, A. Fabroni, G.M. Partenio e di F. Ranalli, moderni approfondimenti sulla figura di Segneri sono stati offerti da B. Croce, Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari 1948, pp. 155-181; G. Marzot, Un classico della Controriforma, Palermo 1959; D. Mondrone, P. S., in Letteratura italiana. I minori, III, Milano 1961, pp. 1751-1764; V. Marucci, L’autografo di un’opera ignota: le “Missioni rurali” di P. S., in Filologia e critica, IV (1979), 1, pp. 73-92; C. Jannaco - M. Capucci, Il Seicento, Padova 1986, pp. 803-812; E. Bolis, L’uomo tra peccato, grazia e libertà nell’opera di P. S..., Roma 1996; M. Scotti, S. P., in Dizionario critico della letteratura italiana, IV, Torino 1999, pp. 153-155; S. Stefanelli, Il lessico di S. e la lingua italiana: apporti e permanenze, in Studi secenteschi, XLIX (2008), pp. 3-19; C. Leri, I Salmi nel “Quaresimale” di P. S., in Predicare nel Seicento, a cura di M.L. Doglio - C. Delcorno, Bologna 2011, pp. 159-196; B. Majorana, Predicare per obbedienza. Note sull’ultima attività di P. S. (1692-1694), in Avventure dell’obbedienza nella compagnia di Gesù. Teorie e prassi fra XVI e XIX sec., a cura di F. Alfieri - C. Ferlan, Bologna 2012, pp. 139-164.
Una panoramica sulla multiforme personalità di Segneri, con contributi di vari studiosi, è nella fondamentale miscellanea P. S.: un classico della tradizione cristiana, Atti del Convegno internazionale di studi nel 300 anniversario della morte, Nettuno... 1994-1995, a cura di A. Fedi - R. Paternostro, in Forum Italicum, 1999, n. 15.