SFONDRATI, Paolo
– Nacque il 20 novembre 1538, a Milano, sesto dei figli (secondo maschio dopo Niccolò) nati dal matrimonio tra il senatore Francesco e Anna Visconti dei conti di Lonate Pozzolo.
Dopo la morte del padre nel luglio 1550, la zia Giulia – sorella del genitore, ritiratasi a vivere nel monastero milanese di S. Paolo – assunse la tutela dei nipoti. In quello stesso anno il dodicenne Paolo, conte della Riviera, barone di Asso e della Valsassina, si recò allo Studio di Padova al seguito del fratello maggiore Niccolò che, nel novembre 1550, s’immatricolò come studente di diritto. Qui i due Sfondrati rimasero dal 1551 al 1557. Nel 1556 Paolo sposò la nobildonna Sigismonda d’Este di San Martino, figlia di Sigismondo e di Barbara Stanga, che gli portò la cospicua dote di 10.000 scudi d’oro.
Nei primi mesi del 1561, mentre Niccolò, in quanto vescovo di Cremona, si recò alla nuova sessione del Concilio di Trento, Paolo risiedette a Roma, intrattenendo una fitta corrispondenza con il fratello. A Roma, frequentò l’Accademia delle Notti vaticane fondata da Carlo Borromeo, cardinale nipote di Pio IV e lontano parente degli Sfondrati. Con il porporato milanese il gentiluomo instaurò cordiali rapporti, come testimonia anche una missiva di Borromeo (luglio 1563) in cui, scherzosamente, lo rimproverava di non inviargli da Milano notizie interessanti, ma solo dei suoi personali successi.
Il matrimonio con Sigismonda d’Este, cugina del duca di Ferrara, Ercole II d’Este, e sorella maggiore di Filippo d’Este, marchese di San Martino in Rio (dal 1573), da cui nacquero diversi figli – tra cui Ercole, Paolo Camillo (Paolo Emilio) e Francesco –, gli fece acquisire importanti relazioni familiari e politiche. Attraverso Filippo d’Este, entrato nel 1570 al servizio del duca Emanuele Filiberto di Savoia dopo averne sposato una figlia naturale, ottenne l’appoggio del duca di Savoia alla richiesta del cappello cardinalizio per Niccolò Sfondrati e, nel gennaio del 1574, l’abito dell’Ordine cavalleresco dei Ss. Maurizio e Lazzaro al figlio minore Francesco.
Il barone e le sue sorelle, entrate nella Congregazione delle suore angeliche del monastero di S. Paolo decollato, mantennero stretti rapporti personali e spirituali con Borromeo che, nel 1565, aveva preso possesso della cattedra arcivescovile ambrosiana. In occasione dell’epidemia di peste del 1576, fu nominato dal governatore dello Stato di Milano membro della commissione di diciotto senatori e gentiluomini incaricati di far osservare la quarantena della città. Nel novembre del 1579 Sfondrati fu infine creato senatore di cappa corta e, nel maggio del 1581, fu incaricato di svolgere le funzioni di agente del re cattolico presso la corte del duca di Savoia. Con Carlo Emanuele I il barone intrattenne ottimi rapporti personali: fu grazie a lui se il duca, nel 1583, sostenne presso Gregorio XIII la creazione cardinalizia di Niccolò che fu questa volta coronata da successo.
Nell’agosto del 1584, a Chambéry, Sfondrati firmò quale procuratore di Filippo II le capitolazioni relative al matrimonio tra l’infanta Caterina d’Asburgo, figlia del re cattolico, e il duca Carlo Emanuele I di Savoia. Ai primi dell’anno successivo, fu nel corteggio che accompagnò il principe a Barcellona e poi a Saragozza per la celebrazione del matrimonio avvenuta l’11 marzo. Qui, nel marzo del 1585, Sfondrati fu nominato mayordomo mayor della nuova ‘casa’ dell’infanta e ottenne da Filippo II una pensione di 2000 ducati sulle entrate del Regno di Napoli e la commenda di Guadalcanal dell’Ordine militare di Santiago. Nel giugno del 1585, seguì i due sovrani nel viaggio di ritorno a Torino, ricoprendo al contempo l’incarico di rappresentante diplomatico del re cattolico e di responsabile della casa della nuova duchessa.
Nella veste di mayordomo mayor, Sfondrati aveva il compito di amministrare le oltre cento persone della casa e di sovrintendere al rispetto dell’etichetta che il rango regio della duchessa richiedeva. In tale mansione il barone sin dalla sua nomina sollecitò chiarimenti dal sovrano, scontrandosi poi con Cristóbal de Briceño, uno dei mayordomos a lui sottoposti, che lo accusò di non conoscere adeguatamente l’etichetta e di trascurare i suoi doveri a favore di quelli di agente politico-diplomatico. In special modo era la maggiore libertà che la corte di Torino consentiva alle dame della casa dell’infanta a scandalizzare Briceño che ne riferì a Madrid. Da parte sua Sfondrati lamentò a più riprese con Filippo II la pessima situazione economica in cui versavano le finanze dell’infanta e sue, impossibilitati a far fronte alle spese che le rispettive posizioni comportavano. Il conflitto – che ebbe fine con la morte del medesimo Briceño nel marzo del 1587 – mostra non solo l’importanza dell’etichetta, intesa come manifestazione della regalità del sangue di Caterina, ma anche come l’elemento di provenienza spagnola mal tollerasse di prendere ordini da un suddito milanese giudicato non in grado di far fronte a un incarico tanto delicato.
Più complessi furono i problemi che Sfondrati dovette affrontare come agente – non ebbe infatti il titolo di ambasciatore – di Filippo II presso Carlo Emanuele I. Infatti, il barone tenne al corrente il re cattolico circa i contatti tra il principe sabaudo ed esponenti del fronte cattolico in Provenza, in vista di un possibile intervento armato. La volontà di Carlo Emanuele di approfittare delle vicende della Francia dilaniata dalle guerre civili per impadronirsi della Provenza, di parte del Delfinato e, soprattutto, del Marchesato di Saluzzo, dominio francese in terra piemontese, crebbe dopo il matrimonio con l’infanta, nella speranza di contare sull’appoggio militare spagnolo. Sfondrati caldeggiò un cauto sostegno ai disegni sabaudi e fu il tramite dei segreti contatti intercorsi tra Carlo Emanuele, Filippo II e il duca Henri de Montmorency, governatore della Linguadoca. Il compito di mediare tra gli interessi sabaudi e quelli, non sempre coincidenti nei fini e nei mezzi, del rey prudente e del suo governatore del vicino Stato di Milano, Carlo d’Aragona, duca di Terranova, non fu facile. Non a caso, Filippo II impartì segretamente a Sfondrati l’ordine – ritrovato dopo la sua morte e divenuto di dominio pubblico – affinché, in caso di occupazione sabauda di Saluzzo, un limitato supporto militare spagnolo fosse garantito da Milano solo in assenza di reazioni da parte francese.
Morì a Torino in un giorno imprecisato dell’ultima decade di aprile del 1587.
I recenti studi di Marzia Giuliani lo indicano come importante mediatore culturale tra Milano, Torino e la corte di Madrid, in rapporti con il letterato Battista Guarini e il pittore Giovanni Paolo Lomazzo, nonché come raffinato collezionista d’arte: infatti, nel suo testamento il barone lasciò due quadri di Correggio a Filippo II, uno di Raffaello Sanzio al duca Carlo Emanuele I di Savoia e un altro non identificato all’infanta Caterina d’Asburgo.
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