SORRENTINO, Paolo
Regista e sceneggiatore cinematografico, nato a Napoli il 31 maggio 1970. Con il suo cinema dallo stile visionario, sempre concentrato su una messa in scena che unisce alla ricchezza della ricerca espressiva una costante attenzione per l’elaborazione concettuale dello spazio e del tempo esistenziale dei suoi personaggi, S. si è imposto nell’ultimo decennio come uno degli autori di punta del cinema italiano. Insinuandosi con curiosità nelle trame di una realtà sociale sospesa tra la verità marcata-mente ironica dei caratteri e l’ambientazione illusoriamente grottesca, S. ha saputo definire con poche ma decise opere uno stile personale, che attinge alla tradizione di un cinema fortemente performativo in senso autoriale (Federico Fellini e Martin Scorsese sono riferimenti dichiarati) e trova forza nell’intenso rapporto tra la pregnanza visionaria delle soluzioni registiche e la capacità affabulatoria che sa imporre ai suoi personaggi, pur nella naturale introflessione dei loro drammi. Dopo aver ottenuto il Nastro d’argento come migliore regista esordiente per L’uomo in più (2001), nel 2005 il David di Donatello per il miglior film, la migliore regia e la migliore sceneggiatura per Le conseguenze dell’amore (2004), il Premio della giuria al Festival di Cannes per Il divo (2008), il Nastro d’argento come regista del miglior film e il David di Donatello per la migliore sceneggiatura nel 2012 con This must be the place (2011), nel 2014 ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero con La grande bellezza (2013).
Portato a confrontarsi con figure che vanno incontro al loro ineluttabile destino con intima ironia, S. ha mostrato sin dagli esordi le coordinate del suo cinema: già nel cortometraggio L’amore non ha confini (1998) offre il ritratto surreale e grottesco di un malinconico killer al soldo di un boss in un enfatizzato scenario partenopeo, mentre nell’opera prima L’uomo in più elabora il tema del raffronto tra la fatalità del destino e la necessità delle scelte, nel ritratto incrociato di un cantante neoromantico in declino e di un calciatore dalla carriera stroncata. Dopo il cortometraggio La notte lunga(2001), di cui è protagonista un parrucchiere per dive innamorato di una star, S. ha raggiunto la notorietà internazionale con Le conseguenze dell’amore, in cui offre un ulteriore ritratto di umanità spinta ai limiti del proprio destino attraverso la storia di un misterioso contabile della mafia incastrato nel tempo sospeso di un albergo della Svizzera italiana. Lo stile raggelato e quasi onirico di quest’opera seconda, tutta costruita sulla maschera impassibile di Toni Servillo (v.), con cui il regista ha instaurato un simbiotico rapporto artistico sin dal primo lungometraggio, viene ribaltato dal ritorno a una rappresentazione stilizzata della realtà napoletana nel successivo L’amico di famiglia (2006), ritratto di un usuraio che, per amore di un’algida ragazza, mette in gioco la vile prudenza e le sordide certezze della sua esistenza.
Lo stile pregnante di S., attento a elaborare caratteri incarnati in una concezione prettamente visiva e stilistica della narrazione, era ormai maturo per confrontarsi con una figura centrale della storia italiana del dopoguerra come Giulio Andreotti, eletto a protagonista del successivo Il divo. Il film è un affresco ironico e grottesco della scena politica italiana ai tempi della Democrazia cristiana, in cui la maschera di Andreotti (interpretata da Servillo) incarna il perenne contrasto tra indole e ruolo in cui si dibattono i personaggi del regista. Con il successivo This must be the place, S. si è spinto nell’iconico scenario statunitense, affidando all’interpretazione quasi astratta di Sean Penn (v.) la ricerca introspettiva di una rock star a riposo, intenzionata a ritrovare l’ufficiale nazista che aveva umiliato suo padre in un campo di concentramento. Sempre più proteso verso uno stile basato su un’articolata concezione visiva e ricco di umori e atmosfere, il cinema di S. ha trovato un significativo approdo nel successivo La grande bellezza: l’opera propone l’affresco decadente e surreale di una Roma contemporanea dagli umori felliniani (il rimando dichiarato è alla Dolce vita), in cui uno scrittore di successo si trascina stancamente tra salotti e circoli dell’alta società, estrema maschera dello spirito terminale e autoironico che caratterizza il cinema del regista. Agli stessi principi si ispira anche il successivo Youth - La giovinezza (2015), languido ritratto di un anziano e famoso direttore d’orchestra (interpretato da Michael Caine), ormai lontano dalle ragioni che hanno ispirato la sua vita e la sua musica, colto dal regista nello spazio terminale di un lussuoso hotel sulle Alpi svizzere.
Sarà invece ambientata nella Roma vaticana la serie televisiva The young pope, annunciata per il 2016, in cui S. racconta il controverso pontificato di Pio XIII (interpretato da Jude Law), immaginario pontefice americano, tanto giovane quanto conservatore.
Bibliografia: L. Ceretto, R. Chiesi, Una distanza estranea. Il cinema di Emanuele Crialese, Matteo Garrone e Paolo Sorrentino, Torre Boldone (Bergamo) 2006; R. Chiesi, A.G. Mancino, P. Spila, B. Torri, Primo piano: Paolo Sorrentino, «Cinecritica», 2009, 56, pp. 6-36; P.P. De Santis, D. Monetti, L.P. Pallanch, Divi & antidivi. Il cinema di Paolo Sorrentino, Roma 2010.