STELLA, Paolo
STELLA, Paolo. ‒ Pietro Paolo (meglio noto come Paolo) di Francesco Stella nacque fra il 1495 e il 1500 da una famiglia stabilitasi a Melide, sul lago di Lugano, nell’attuale Canton Ticino, ma all’epoca provincia di Milano (Brentani, 1957). Il fratello Giovanni Domenico, scalpellino, è documentato assieme a Paolo al Belvedere di Praga negli anni 1540, 1548 e 1550 (Svoboda, 1978, p. 3; Kreyczi, 1887, doc. 4182). Paolo è ricordato per la prima volta a Padova il 26 aprile 1529 come collaboratore di Giammaria Mosca, il quale gli aveva affidato il completamento del Miracolo del bicchiere nella cappella del Santo in S. Antonio a Padova a seguito della precipitosa partenza di Mosca stesso per Cracovia; Stella dovette ultimare il rilievo entro il 13 giugno (Markham Schulz, 1998, pp. 202 s., docc. III, C e D, e p. 250).
Il Miracolo del bicchiere è uno dei nove grandi altorilievi narrativi in marmo di Carrara raffiguranti i miracoli postumi di s. Antonio, i quali rivestono le pareti della cappella su tre lati. L’opera di Mosca era stata commissionata il 28 aprile 1520; dai pagamenti erogati a lui e a Stella possiamo dedurre che nell’aprile del 1529 erano stati completati i cinque sesti del lavoro. Marcantonio Michiel (1521-1543, 1896), il quale scriveva poco tempo dopo, riferisce che il rilievo era stato finito nel 1529 da un «Paulo Stella milanese»; difatti, sul nastro dei capelli della donna inginocchiata al centro della composizione è recentemente riemerso il giocoso monogramma del maestro: P * P (Markham Schulz, 2018, p. 371).
Nella sua guida di Venezia del 1581, Francesco Sansovino attribuisce a Stella una delle due statue che adornavano l’altare Dolce in S. Giustina a Venezia. Secondo Sansovino, l’altra statua era opera di Antonio Lombardo. In conseguenza della sconsacrazione della chiesa nel periodo napoleonico, tra il 1815 e il 1819 le statue furono trasferite ai Ss. Giovanni e Paolo e allogate nella navata sinistra della basilica (Markham Schulz, 2013, pp. 192-195, n. 42). Esse rappresentano i Ss. Pietro Martire e Tommaso d’Aquino, i secondi santi dell’Ordine domenicano. Sebbene il S. Pietro Martire non possa spettare ad Antonio Lombardo in persona, esso potrebbe essere stato eseguito dalla sua bottega ‒ forse successivamente alla partenza del maestro per Ferrara nel 1506. Il S. Tommaso d’Aquino, d’altra parte, è chiaramente un’opera degli anni Venti del Cinquecento, ed è identificabile con buona verosimiglianza nella statua attribuita a Stella da Sansovino. Il suo stile grafico e l’esecuzione accurata suggeriscono che esso sia il primo lavoro noto del maestro.
Secondo un documento risalente al gennaio del 1531, Stella avrebbe affittato per un anno una bottega nella contrada di S. Marcellino a Genova (Archivio di Stato di Genova, Notai antichi 1897, doc. 56, ritrovato da Davide Gambino). Paolo risiedeva già (o ancora) in città quando accettò di costruire la villa Belvedere a Praga per Ferdinando I d’Asburgo (1503-64), sovrano di Boemia e Ungheria dal 1532, imperatore del Sacro Romano Impero dal 1558 e fratello dell’imperatore Carlo V. Il contratto con Stella fu concluso il 25 dicembre 1537 da Gómez Suárez de Figueroa, ambasciatore imperiale a Genova dal 1529 fino alla morte nel 1569 (Köpl, 1889, doc. 6000). Il 10 aprile 1538 Stella arrivò a Praga, presumibilmente portando con sé il modello del Belvedere che aveva realizzato a Genova. Quest’impresa ‒ obiettivo principale del mecenatismo di Ferdinando ‒ impegnò il maestro per il resto della sua vita.
La villa corona l’ampio giardino, che rappresenta il maggiore contributo di Ferdinando all’architettura del castello di Praga. I documenti non citano il nome dell’architetto della villa, ma l’impiego costante di Stella nella costruzione e decorazione dell’edificio fin dai primi tempi fa concludere che egli ne sia il più probabile autore; inoltre, esso è stato progettato in braccia veneziane (le basi delle colonne misurano 68 cm; Kalina, 2011, pp. 70 s.). Il modello è andato perduto, ma doveva essere assai particolareggiato e in scala. Nell’aprile del 1538 Ferdinando approvò il progetto, e, non appena i lavori ebbero inizio, Stella tornò in Italia per reclutare, tra i propri conterranei, scalpellini in grado di assisterlo. Nominato inizialmente maestro scultore, nel settembre del 1538 fu incaricato dal re della supervisione del cantiere (Köpl, 1889, doc. 6012). L’anno 1549 è iscritto sulla balaustra del terrazzo superiore. Nel 1550 il primo piano del Belvedere era terminato e la scultura in altorilievo installata; a quel punto, secondo i documenti, tutto il lavoro di pietra si arrestò (Kreyczi, 1887, doc. 4182). Nel gennaio del 1551, Stella, citato come «fabricate nostrae Pragensis magister», fu inviato in Italia alla ricerca di scalpellini da reclutare per il servizio reale (Voltellini, 1894, doc. 11820).
Paolo morì tra il 5 e il 21 ottobre 1552 (Köpl, 1889, docc. 6145-6146). I documenti d’archivio riferiscono inoltre della direzione dei lavori da lui svolta nella residenza reale e nella cattedrale di S. Vito entro il complesso del castello di Praga, e nei castelli di Poděbrady e di Brandýs nad Labem; si è ipotizzato un suo contributo anche ai castelli di Kostelec nad Černými Lesy e di Nelahozeves (Vlček, 2004).
Il pianterreno del Belvedere rappresenta uno dei primi esempi di architettura rinascimentale italiana nell’Europa transalpina (Bažant, 2014, pp. 35-63). La sua pianta è costituita da un rettangolo di 54,5×21,5 m, circondato da un porticato con 6 colonne sui lati corti e 14 colonne sui lati lunghi; i due ingressi si trovano a nord e a ovest. Sui lati sud ed est le arcate sormontano una massiccia sottostruttura con cantina a volta. Gli archi, rinforzati da tiranti, poggiano su colonne con alti plinti, i quali sono collegati da una balaustrata. Le basi delle colonne sono ioniche, con due tori e scozie. La trabeazione, derivata dall’architettura imperiale romana, possiede una cornice con modiglioni di acanto alternati a rosette. La facciata del Belvedere rivela l’influenza del quarto libro di Sebastiano Serlio sull’architettura, pubblicato nel 1537 (Bažant, 2006, pp. 41, 47).
La decorazione scultorea del Belvedere fu eseguita nell’officina di Paolo, adoperando arenaria grigia del posto.
Nel pianterreno essa comprende 40 rilievi narrativi oblunghi nei pennacchi delle arcate, 40 rilievi figurativi verticali nelle basi delle colonne e 34 rilievi verticali con putti nella balaustrata. Sui lati nord e ovest, tutti i putti sono rivolti nella direzione della campata d’ingresso principale, situata nel mezzo della facciata occidentale. Un rilievo contiene il monogramma (FA) di re Ferdinando e della regina Anna (morta nel 1547). Gli emblemi in rilievo nei pennacchi angolari si riferiscono alle terre sotto il dominio di Ferdinando. A nord, ovest e sud, i piedistalli angolari sono decorati con le Gesta di Ercole. Nella facciata est, i rilievi sui pennacchi celebrano la Vittoria di Carlo V sui Turchi in Tunisia. Sulle porte della sala grande nella facciata occidentale è rappresentato il rilievo con l’Incontro di Giacobbe ed Esaù. Tutti gli altri illustrano scene di storia antica e miti tratti dalle Metamorfosi di Ovidio, dall’Eneide di Virgilio e dai testi, tra gli altri, di Livio e di Plutarco. In tal modo, Ferdinando, quale portatore di pace e prosperità nel mondo, è paragonato a Giove, Apollo, Perseo, Meleagro, Alessandro Magno ed Enea. Le composizioni, in altorilievo d’impianto centralizzato, s’ispirano alla scultura classica romana: esse raffigurano generalmente una o due figure pari all’altezza del campo e all’interno di un paesaggio poco profondo, costituito da una linea di fondo bassa e da alberi nani ai bordi. Infatti, svariati altorilievi includono copie di sculture antiche, come lo Spinario Capitolino, l’Apollo e il Torso del Belvedere (entrambi ai Musei Vaticani) e il Marsia degli Uffizi (Bažant, 2006, pp. 199-218; Id., 2007, e 2014, pp. 74-79) – opere di cui Stella probabilmente non aveva una conoscenza di prima mano. La derivazione della testa del S. Tommaso d’Aquino ai Ss. Giovanni e Paolo dal busto del cosiddetto Vitellio nel Museo archeologico di Venezia (città in cui il pezzo era accessibile sin dal settembre del 1525) rivela l’interesse di Stella per la scultura classica già nella fase iniziale della sua carriera (Markham Schulz, 1985, pp. 88-93).
Sulla base delle caratteristiche stilistiche del S. Tommaso d’Aquino, come pure di quelle parti del Miracolo del bicchiere non attribuibili a Giammaria Mosca, è stato riferito a Stella anche il monumento funebre dedicato al senatore e capitano di Rovigo Giovanni Battista Bonzio nella basilica dei Ss. Giovanni e Paolo a Venezia (ibid., pp. 93-104). Sebbene Bonzio fosse morto nel 1508, l’area da destinare al suo sepolcro (che non corrisponde al sito attuale) fu concessa solo nel 1525; i pagamenti risalgono a quell’anno e al successivo.
Il sepolcro consiste di un sarcofago con l’effigie incastonata sotto un arco sporgente. L’arco poggia su una base composta da piccole colonne, le quali incorniciano quattro nicchie che ospitano le personificazioni femminili della Prudenza, della Speranza, della Fede e della Carità. Sul coronamento è collocata la Giustizia, originariamente affiancata dalla Fortezza e dalla Temperanza, ora situate nella parte posteriore dell’altare nella cappella del Rosario. A Venezia, il motivo tipicamente fiorentino del sarcofago contenuto all’interno di un arcosolio si era visto in precedenza nella tomba di Vittore Cappello, realizzata da Niccolò di Giovanni Fiorentino nella chiesa di S. Elena. L’incrostazione della tomba del Bonzio, invece, proviene dal monumento sepolcrale dei dogi Barbarigo, realizzato da Giovanni Buora e collocato inizialmente nella chiesa di S. Maria della Carità, mentre l’articolazione della base del sarcofago deriva dalla tomba del doge Antonio Venier ai Ss. Giovanni e Paolo. Tipica di tutte le Virtù è la loro enfatica tridimensionalità: le figure a sé stanti sono tanto profonde quanto larghe, e totalmente svincolate dalle loro nicchie ‒ non abbastanza profonde per contenerle. I movimenti a spirale si svolgono nello spazio in modo così libero che è stato necessario commettere il braccio sollevato della Giustizia. Sebbene priva dei segni lasciati dagli attrezzi, la superficie non è rifinita; le superfici, quindi, appaiono opache, i contorni sono approssimativi, i capelli appena abbozzati e le pieghe così uniformi da sembrare del medesimo tessuto. È probabile che Stella stesse cercando di imitare l’effetto di spontaneità e improvvisazione che Giorgione e Tiziano introdussero intorno al 1510 nella pittura veneziana grazie alla rapida applicazione dell’impasto sulla tela leggermente preparata. In effetti, la brusca serie di sporgenze e rientranze visibile nelle larghe e generiche pieghe degli abiti delle Virtù del sepolcro del Bonzio sono paragonabili alle ampie pennellate di Tiziano, che non si fondono l’una nell’altra se non da lontano. Pare che questa tecnica stilistica fosse stata messa a punto intorno al 1524 da Bartolomeo Terrandi da Bergamo, con il quale Stella collaborò alla tomba del condottiero Ludovico Euffreducci (morto nel 1520) in S. Francesco a Fermo. La tomba reca iscritto l’anno 1527. Mentre l’effigie funeraria è opera del Terrandi, le due Virtù (Speranza e Fede?) collocate nelle nicchie scavate nella parete posteriore si accordano a quelle del sepolcro del Bonzio (Loffredo, 2013). La morte di Terrandi, avvenuta tra l’aprile e il giugno del 1528, ha suggerito che Stella subentrasse alla commissione affidata al primo. Nondimeno, il fatto che il Cristo Bambino nel tondo della parete posteriore è pienamente di Stella, mentre la Madonna appare non meno interamente opera di Terrandi, dimostra che la tomba fu sin dall’inizio un lavoro di collaborazione. A ogni modo, lo stile pittorico di Stella non ha influenzato la sua opera scultorea a Praga, e sembra essere stato un fenomeno di breve durata, confinato alla sua esperienza veneziana.
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