STOPPA, Paolo
– Nacque il 16 giugno 1906 in piazza del Pantheon a Roma da Luigi, funzionario ministeriale, e da Adriana De Antonis.
Ad avvicinarlo al mondo dello spettacolo fu l’eclettico zio Augusto Jandolo, rinomato antiquario ma anche poeta e commediografo con trascorsi da attore in compagnia di Eleonora Duse. Poco dopo l’iscrizione alla facoltà di giurisprudenza, nel 1925 entrò a far parte della Scuola d’arte drammatica ubicata all’interno dell’Accademia romana di S. Cecilia. Insieme ad altri allievi nell’aprile di quello stesso anno recitò come comparsa al teatro Odescalchi di Roma nell’atto unico Sagra del Signore della Nave con cui Luigi Pirandello inaugurava la compagnia del Teatro d’Arte. Con la compagna di studi Anna Magnani nel 1927 superò brillantemente il saggio finale recitando nella commedia Barberina di Alfred de Musset.
Da generico della formazione Capodaglio-Racca-Olivieri debuttò come professionista il 1° aprile 1927 al Quirino di Roma. Nel biennio teatrale successivo (1928-30) lavorò come secondo brillante con Antonio Gandusio che poi lo condusse con sé nelle ditte con Dina Galli (1930-31) e con Luigi Almirante (1931-32). La condivisione del palcoscenico con i più quotati interpreti del genere comico e umoristico aiutò il giovane Stoppa a forgiare i ferri del mestiere in direzione di una progressiva personalizzazione del repertorio e di una comicità sfumata con note di ironia e di amarezza. Tra i maestri di questo periodo vi fu l’amico di famiglia Ettore Petrolini, frequentato durante le pause lavorative, e l’attore e capocomico Renzo Ricci con cui iniziò a misurarsi in ruoli dai toni chiaroscurali e di rilievo drammatico, come quello di Bob Laroche della commedia Tempi difficili (1934, di Édouard Bourdet). Seguirono quindi scritture nelle formazioni di Lamberto Picasso (1935), del Teatro di Milano (1936) e di Dina Galli (1937): con quest’ultima ottenne la promozione al ruolo di brillante assoluto.
Nel 1938 l’approdo nella compagnia stabile dell’Eliseo di Roma capitanata dall’impresario Vincenzo Torraca gli schiuse le porte del teatro di regia e di un sistema produttivo che rispetto alle formazioni di giro ampliava sensibilmente i tempi per la preparazione delle messinscene. L’entusiasmo per la nuova avventura professionale lo convinse a prendere alloggio in un appartamento interno al teatro in cui abitò per quasi quarant’anni. Sulle scene, guidato da registi esperti come Pietro Sharoff, Guido Salvini ed Ettore Giannini, si dimostrò a suo agio con una recitazione di complesso basata sul dosato equilibrio delle parti e conobbe personaggi che esulavano dai suoi cliché scenici. Menzionato per l’interpretazione seria in Il caffè dei naviganti di Corrado Alvaro (1939), sperimentò la drammaturgia shakespeariana (La dodicesima notte nel 1938 e Le allegre comari di Windsor nel 1940) e le opere del medio artigianato teatrale di autori moderni come Gherardo Gherardi, Claude-André Puget e Keith Winter. I progressi dell’attore vennero certificati da due chiamate prestigiose: nel 1942 fu tra i protagonisti della Moscheta di Angelo Beolco, detto il Ruzzante, diretta da Renato Simoni nel parco di villa Corsini a Roma; nel 1943 affiancò attori del calibro di Annibale Betrone, Ruggero Ruggeri e Sergio Tofano per recitare all’Argentina di Roma Goldoni e le sue sedici commedie nuove di Paolo Ferrari.
Nella compagnia dell’Eliseo si legò sentimentalmente a Rina Morelli con cui formò uno dei sodalizi artistici che ebbero pochi eguali nel mondo dello spettacolo del XX secolo e che dal 1945, sotto la guida di Luchino Visconti, contribuì a rinnovare il sistema teatrale italiano dalle sue fondamenta.
Con Visconti Stoppa condivise l’idea delle lunghe sessioni di prove a tavolino, l’abbandono dell’uso del suggeritore, i propositi di educare il pubblico al silenzio durante lo svolgimento di ogni atto.
Diretto dal regista milanese affinò una recitazione priva di enfasi e retorica, il più vicino possibile alla naturalezza e alla dimensione psicologica dei personaggi, che divenne la chiave di volta delle strepitose interpretazioni dei vinti contemporanei ai quali l’attore trasmise il suo temperamento caustico e umbratile.
A suo perfetto agio con la drammaturgia russa di Fëdor Dostoevskij (Delitto e castigo, 1946) e Anton Čechov (Tre sorelle, 1952; Zio Vanja, 1955), nel quindicennio trascorso all’Eliseo a fianco del ‘conte rosso’ impresse il suo volto agli antieroi delle prime italiane di Jean-Paul Sartre, Jean Anouilh, Tennessee Williams, Diego Fabbri, Giovanni Testori, eccellendo nei personaggi milleriani di Willy Loman (Morte di un commesso viaggiatore, 1951) ed Eddie Carbone (Uno sguardo dal ponte, 1958). La piena padronanza dell’espressione mimica gli consentiva di mostrare la faccia interna del personaggio, la smorfia grottesca dietro lo sguardo tragico e viceversa. Le sue doti da caratterista con una predisposizione al trasformismo scenico vennero esaltate da Visconti soprattutto nelle messinscene goldoniane della Locandiera (1952) e dell’Impresario delle Smirne (1957). Stimato nell’ambiente teatrale come attento manager capace di ‘fiutare’ le novità drammaturgiche, in questo periodo l’attore ebbe tra i suoi fans il potente uomo politico Giulio Andreotti.
A consacrarlo invece nelle simpatie popolari fu la sua presenza nelle cronache della vita mondana romana e soprattutto l’impiego sul grande schermo dove l’attore aveva debuttato nel 1932 nell’Armata azzurra di Gennaro Righelli. In oltre mezzo secolo di carriera partecipò a quasi duecento pellicole, raramente da protagonista, specializzandosi anche nel doppiaggio per la CDC (Cooperativa Doppiatori Cinematografici) di cui nel 1944 figurava tra i soci fondatori. Recitò per tutti i più autorevoli maestri del cinema italiano, da Alessandro Blasetti a Dino Risi, da Roberto Rossellini a Mauro Bolognini. Nel 1952 ricevette un Nastro d’argento alla carriera che premiava le sue numerose parti da rivale ingenuo sconfitto in amore e di spalla comica, spesso dei fratelli De Filippo (A che servono questi quattrini?, 1942, regia di Esodo Pratelli; Non ti pago!, 1942, regia di Carlo Ludovico Bragaglia; Ti conosco, mascherina!, 1943, regia di Eduardo De Filippo) e di Gino Cervi (Don Cesare di Bazan, 1942, regia di Riccardo Freda; Gente dell’aria, 1943, regia di Pratelli), ma che teneva conto anche del misantropo Rappi di Miracolo a Milano (1951, regia di Vittorio De Sica) con cui Stoppa aprì idealmente una galleria di nuove figure, ora dimesse e malinconiche, ora ambigue e corrotte dai più ricorrenti vizi umani. Restano indelebili nella storia del cinema il vedovo don Peppino in L’oro di Napoli (1954, di Vittorio De Sica), interpretazione che gli valse un secondo Nastro d’argento, i numerosi prepotenti che Totò doveva fronteggiare nel film Siamo uomini o caporali? (1956, regia di Camillo Mastrocinque), l’equivoco manager di Rocco e i suoi fratelli (1960, di Luchino Visconti) e il grossolano don Calogero Sedara del Gattopardo (1963, regia di Visconti). Legò inoltre il suo nome ad altre importanti produzioni, anche internazionali, tra cui Che gioia vivere (1961, regia di Réne Clément), Beckett e il suo re (1964, regia di Peter Glenville), C’era una volta il West (1968, regia di Sergio Leone) dove appare in un cammeo accanto a Claudia Cardinale.
Dopo la fine del sodalizio con Visconti nel 1961, la coppia Stoppa-Morelli uscì gradualmente dal ruolo di faro del teatro italiano, pur continuando a recitare in spettacoli di ottimo livello diretti da registi d’esperienza tra cui Franco Zeffirelli (Un equilibrio delicato, 1977, di Edward Albee). Successivamente Stoppa formò compagnia con Renzo Ricci (Il sottoscala, 1969, di Charles Dyer, testo italiano di Masolino D’Amico), poi con Enrico Maria Salerno (Giochi da ragazzi, 1970, di Robert Marasco) e nel 1971-73 lavorò insieme alla compagnia dei Giovani guidata da Giorgio De Lullo (La bugiarda di Fabbri, Così è (se vi pare) di Pirandello, La mamma buonanima della signora e Pupo prende il purgante di Georges Feydeau).
Deluso dal disinteresse della politica italiana per le vicende del teatro nazionale, dalla metà degli anni Sessanta aveva intanto incrementato il suo impegno all’interno del mondo radiotelevisivo per il quale registrò alcuni suoi cavalli di battaglia e incise una selezione di letture dei più noti poeti dialettali romani dell’Otto e Novecento, da Gioacchino Belli a Trilussa. Per il programma Gran varietà contribuì alla nascita della fortunata rubrica radiofonica Eleuterio e Sempre tua (in onda dal 1966 al 1974) i cui dialoghi leggeri a due con Rina Morelli si rifacevano a un collaudato schema scenico – lei sfumata e docile, lui ironico e ruvido – messo a punto un ventennio prima a teatro nella commedia Vita col padre (1947, regia di Gerardo Guerrieri) e poi riproposto con successo in Caro bugiardo (1962, regia di Jerome Kilty) e in alcuni caroselli pubblicitari. Sul piccolo schermo si impose spesso come attore principale in sceneggiati e film a puntate che spaziavano dall’ambientazione letteraria (I Buddenbrook, 1961, regia di Edmo Fenoglio) alla ricostruzione storico-biografica (Questa sera parla Mark Twain, 1965, e Antonio Meucci cittadino toscano contro il monopolio Bell, 1970, entrambi regia di Daniele D’Anza), dal filone del paranormale (ESP, 1972, regia di D’Anza) a quello poliziesco (Demetrio Pianelli, 1963, regia di Sandro Bolchi; Il giudice e il suo boia e Il sospetto, entrambi del 1972, regia di D’Anza; Il commissario De Vincenzi, 1973, regia di Mario Ferrero), dal genere di inchiesta (Accadde a Lisbona, 1974, regia di D’Anza) al primo teleromanzo ‘gotico’ (La Baronessa di Carini, 1975, regia di D’Anza). Per la sua attività artistica nel 1975 l’attore fu insignito della onorificenza di cavaliere di Gran Croce della Repubblica italiana.
Dopo il dolore patito per l’improvvisa scomparsa di Rina Morelli nel 1976, tornò a calcare il palcoscenico accanto a Franca Valeri, nella commedia Gin Game (1978, di Donald Lee Coburn, regia di Giorgio De Lullo) e fece poi coppia artistica con Pupella Maggio in Lontano dalla città (1980, di Jean Paul Wenzel, regia di Giuseppe Patroni Griffi). Nell’ultimo scorcio di carriera virò sui grandi caratteri della tradizione e si ritagliò un repertorio da protagonista maschile assoluto ergendosi a monumento del teatro italiano e a maestro di giovani interpreti: recitò Shylock del Mercante di Venezia (1980, regia di Memè Perlini), Arpagone dell’Avaro di Molière (1981, regia di Patroni Griffi), Ciampa del pirandelliano Berretto a sonagli (1984, regia di Luigi Squarzina). Durante la tournée di quest’ultimo spettacolo nel marzo del 1985 fu ricevuto in Campidoglio dal presidente della Repubblica Sandro Pertini per ritirare il premio De Gasperi. Lo stile recitativo prosciugato all’eccesso e rimodulato da un senile, ma sempre lucido disincanto contraddistinse le sue ultime apparizioni cinematografiche in cui, sotto la guida di Mario Monicelli, spiccò come papa Pio VII nel film Il marchese del Grillo (1981), parte che gli valse un terzo Nastro d’argento, e come il cinico strozzino Savino Capogreco in Amici miei atto II (1982).
Accudito negli ultimi anni di vita dall’attrice Lauretta Torchio, morì a Roma il 1° maggio 1988.
Fu affiliato alla loggia massonica Gustavo Modena di Roma.
Fonti e Bibl.: L’archivio privato dell’attore è conservato a Genova, presso il Civico Museo biblioteca dell’attore, Fondo Paolo Stoppa (1906-1988).
Tra i numerosi profili biografici si segnalano quelli di: A. Casella, P. S., in Teatro. Rassegna quindicinale degli spettacoli, II (1950), 2, pp. 19-21; G. Calendoli, P. S. attore, in Il Dramma, XXXVIII (1962), 305, pp. 47-49; U. Tani, S. P., in Enciclopedia dello spettacolo, IX, Roma 1962, coll. 394-396; L. Ridenti, P. S., in Il Dramma, XLIII (1967), 369-370, pp. 77-82; R. Di Giammarco, Disciplina in palcoscenico, in La Repubblica, 3 maggio 1988; F. Quadri, E Visconti lo scoprì, ibid.; L. Squarzina, Se n’è andato come Willy Loman, in Hystrio, I (1988), 3, pp. 34-36; R. Tessari, S. P., in Grande dizionario enciclopedico, XIX, Torino 1991, pp. 419 s.; E. Lancia, S. P., in Dizionario del cinema italiano. Gli attori, a cura di R. Chiti et al., Roma 1998, pp. 476-478; D. Rigotti, S. P., in Dizionario dello spettacolo del ’900, a cura di F. Cappa - P. Gelli, Milano 1998, p. 1040; G. Geron, P. S.. Firmato Visconti, in Sipario, 2001, n. 624-625, pp. 22-24; N. Fano, S. P., in Enciclopedia del cinema, V, Roma 2004, pp. 99 s.; L. Spinelli, S. P., 2012, in Archivio multimediale attori italiani, http://memoria-attori. amati.fupress.net/ S100?idattore=528 (11 marzo 2019). Della vasta bibliografia viscontiana, all’interno della quale Stoppa occupa un posto di rilievo, ci limitiamo a selezionare: Venti spettacoli di Luchino Visconti con Rina Morelli e P. S., a cura di M. Ramous, Bologna 1958; L. Visconti, Il mio teatro, a cura di C. d’Amico de Carvalho - R. Renzi, I-II, Bologna 1979, passim; S. Ferrone, “La Locandiera” di Goldoni secondo Visconti, in Carlo Goldoni 1793-1993. Atti del Convegno... 1994, a cura di C. Alberti - G. Pizzamiglio, Venezia 1995, pp. 357-367; A. Tinterri, Un teatro contro: il caso dell’“Arialda”, in Drammaturgia, 2000, n. 7, pp. 96-112; F. Mazzocchi, «La locandiera» di Goldoni per Luchino Visconti, Pisa 2003; Il teatro di Visconti. Scritti di Gerardo Guerrieri, a cura di S. Geraci, Roma 2006, pp. 94-114; Luchino Visconti e il suo teatro. Atti del Convegno..., Milano... 2006, a cura di N. Palazzo, Roma 2008 (in partic. M. Cambiaghi, La scuderia teatrale del conte: Visconti maestro d’attori, pp. 131-154; A. Bentoglio, La prima edizione di “Un tram che si chiama desiderio” di Tennessee Williams, pp. 155-198); F. Mazzocchi, Le regie teatrali di Luchino Visconti. Dagli esordi a Morte di un commesso viaggiatore, Roma 2010; A Tinterri, Miller, Visconti e “Uno sguardo dal ponte”, in Biblioteca teatrale, 2010, n. 93-94, pp. 183-206; Id., Visconti incontra Miller: “Morte di un commesso viaggiatore”, in Studi di storia dello spettacolo. Omaggio a Siro Ferrone, a cura di S. Mazzoni, Firenze 2011, pp. 528-536; F. Mazzocchi, Giovanni Testori e Luchino Visconti: L’Arialda 1960, Milano 2015. Per il periodo successivo al sodalizio con Visconti si veda: G. Guerrieri, Stavolta Stoppa ce l’ha fatta, in Id., Il teatro in contropiede. Cronache e scritti teatrali: 1974-1981, a cura di S. Chinzari, Roma 1993, pp. 494-496; A. Barsotti, Grandi vecchi e giovani attori nei Molière del nostro tempo (da Stoppa a Servillo), in Ariel, XVIII (2004), 55, pp. 71 s.