PAOLO V papa
Camillo Borghese nacque a Roma il 17 settembre 1552. Si diede alla carriera prelatizia dopo avere compiuto gli studî giuridici. Fu avvocato concistoriale, referendario dell'una e l'altra segnatura, nel 1588 vicelegato di Bologna; nel 1590 acquistò l'ufficio di uditore di camera tenuto già da suo fratello Orazio; nel 1593 fu mandato da Clemente VIII come inviato straordinario a Filippo II; il 15 giugno 1596 ebbe la porpora; nel 1603 fu nominato vicario di Roma. Alla morte di Leone XI, salì al pontificato.
Di statura maestosa, riflessivo, si era già dimostrato severo come membro dell'Inquisizione romana. Del mondo politico aveva una conoscenza tutt'altro che profonda. Parsimonioso e caritatevole, non seppe tuttavia evitare il nepotismo; conferivo la carica di segretario di stato al nipote Scipione Caffarelli, che a ventisette anni prese arma e nome dei Borghese, e lo colmò di benefici e di cariche che gli procurarono grandi ricchezze. Ricchezze e favori il papa elargì ai fratelli, specialmente a Giovanni Battista; sul figlio di costui Paolo V concentrò tutto il suo affetto, conferendogli a diciannove anni il generalato della Chiesa.
La sua politica fu influenzata dalla sua intransigenza religiosa. All'inizio del pontificato si trovò in conflitto con Venezia, che con due leggi aveva vietato agli ecclesiastici di fondare chiese, chiostri e ospedali, senza il permesso della Signoria, e ai laici di trasmettere beni immobili agli ecclesiastici senza il permesso dello stato. La citazione davanti al tribunale dei Dieci di due preti, accusati di reati comuni, provocò il conflitto fra Roma e Venezia. Paolo V dichiarò di essere deciso a difendere il foro ecclesiastico con tutte le forze. Il 10 dicembre 1605 il papa emise due brevi, con uno dei quali condannò le due leggi e con l'altro il procedimento penale contro i due chierici e minacciò estreme misure. La Signoria non si piegò; promulgò, anzi, una terza legge restrittiva in materia di proprietà ecclesiastica. Nel concistoro del 17 aprile 1606 il papa minacciò di scomunica il Senato e di lanciare l'interdetto su tutto il territorio della repubblica. Fu la rottura. Venezia scatenò una violenta lotta letteraria contro P. e prese come teologo di stato Paolo Sarpi. Il papa lanciò l'interdetto. L'atteggiamento del clero così a Venezia come nel resto del territorio della Signoria diede a P. un'amara delusione, perché la maggior parte del clero secolare e regolare tenne per il doge e non osservò l'interdetto, eccetto i cappuccini, i teatini, i minimi e i gesuiti, i quali tutti furono subito espulsi dal territorio veneto. La Signoria fece visitare da ufficiali chiese e monasteri per garantire la continuità delle funzioni sacre, pubblicò il Trattato dell'interdetto del Sarpi. Nonostante la mediazione di Francia e Spagna, la repubblica non intendeva sospendere le tre leggi. Finalmente l'accordo fu raggiunto su queste condizioni:1. i due preti sarebbero stati consegnati all'inviato francese; 2. il cardinale de Joyeuse avrebbe annunziato al Collegio dei savî che le censure erano state tolte e contemporaneamente il doge avrebbe revocato la protesta del 6 maggio 1606. I religiosi scacciati per avere osservato l'interdetto vennero riammessi nella repubblica, non però i gesuiti che rimasero esiliati cinquant'anni, sino al 1657; conclusione dell'interdetto fu che il prestigio della Chiesa rimanesse ferito. Anche negli altri stati la politica religiosa di P. s'ispirò all'intransigenza. In Francia tale politica fu molto energica sotto la reggenza di Maria de' Medici: il papa protestò per la condanna pubblicata dal parlamento di Parigi del De Rege di J. Mariana; ottenne che E. Richer, che aveva attaccato il potere monarchico del papa, fosse deposto da sindaco della Sorbona. Una vittoria notevole ottenne P. contro il Terzo Stato nel 1614, inducendo la regina madre a cancellare dal cahier di quello stato la proposta d'una legge mirante ad affermare che il re riceve la corona soltanto da Dio e che nessun potere ha facoltà di sciogliere i sudditi dall'obbligo di fedeltà. Il papa attese alla rigenerazione della chiesa francese, servendosi della nobiltà e dei gesuiti. Tutti gli ordini religiosi furono vivificati dalla riforma; sorse un nuovo ordine dell'Oratorio, fiorirono nuove comunità per l'educazione femminile, fra cui quella della Visitazione di Maria. In Inghilterra durante la persecuzione contro i cattolici P. non volle atti di violenza; nondimeno non poté evitare che membri del clero cattolico fossero coinvolti nell'accusa di essere stati promotori della "congiura delle polveri". Dopo vani tentativi di conciliazione, il 22 settembre 1606 P. con breve condannò il giuramento di fedeltà imposto da Giacomo I ai cattolici. La proposta del re disposto a riconoscere il papa come primo vescovo e capo della Chiesa nello spirituale, se rinunziava alla facoltà di deporre i re, trovò irremovibile P. Ma la diserzione dei cattolici si accentuò e a Paolo non restò che organizzare la diffusione degli ordini nell'Inghilterra, mentre anche Scozia e Irlanda invocavano aiuto. Non più fortunato fu P. in Russia, dove, dopo l'uccisione del falso Demetrio in cui aveva riposto grandi speranze per la riunione della Russia alla Chiesa latina, con l'avvento dei Romanov s'iniziò la persecuzione contro i cattolici. In Polonia il papa ottenne da Sigismondo l'allontanamento dei protestanti dagl'impieghi statali, la nomina di vescovi e di parroci adatti all'ufficio e l'attuazione dei decreti tridentini. Ma gli sforzi di P. per l'unione dei Ruteni con Roma fallirono. Anche nell'Asia P. V svolse un'attiva politica religiosa; in Cina, per favorire la diffusione del cattolicismo, autorizzò la traduzione della Sacra Scrittura in cinese e l'uso del cinese stesso nel breviario, nella messa e nei sacramenti; riordinò le diocesi dell'India; rese più stretti i rapporti con la Persia e sperò che lo scià abbracciasse il cattolicismo; curò i rapporti con gli armeni, con i nestoriani di Babilonia, con copti, con maroniti. Nell'Africa ottenne la conversione del negus d'Abissinia. Nelle Americhe riorganizzò il clero, dotò la chiesa di vescovi americani noti per zelo e virtù; in questo tempo fu fondata la colonia gesuitica del Paraguay.
Nel campo della riforma interna della Chiesa bisogna ricordare che agli ecclesiastici Paolo V impose l'obbligo della residenza; convocò la commissione riformatrice per l'attuazione dei decreti tridentini, pubblicò il nuovo Rituale Romanum, innalzò all'onore degli altari Carlo Borromeo, vigilò sulla disciplina degli ordini religiosi, approvò l'unione dei basiliani, protesse gli oratoriani, concesse ai barnabiti l'autorizzazione di fondare collegi, favorì la fondazione di scuole per i poveri. Sotto Paolo V l'Inquisizione condannò gli scritti del Galilei e vietò al grande scienziato d'insegnare e di diffondere la sua teoria del moto della terra, ma il papa gli garantì l'incolumità personale.
Per l'attuazione della riforma cattolica, P. propugnò l'unione dei principi cattolici; ma gli mancarono audacia e profondità di senso politico: Credette di poter conservare la pace fra Spagna e Francia con una politica matrimoniale. Nella questione della successione di Jülich-Cleve, P., mirando a evitare che il territorio cadesse nelle mani dei protestanti, si schierò per gli Asburgo e tardi si accorse che la Francia non avrebbe mai permesso che quel territorio fosse occupato dagli Asburgo o da un loro protetto. Quando la guerra parve imminente, accettò un'occupazione temporanea del ducato da parte dei protestanti. La sua politica di pace stava per avere la più grave delusione, quando Enrico IV fu ucciso. Allora la politica matrimoniale di P. ebbe successo: il 30 aprile 1611 fu concluso l'accordo per il matrimonio tra Luigi XIII e l'infante Anna Maria e una lega difensiva tra Spagna e Francia.
In Germania P. identificò gl'interessi della religione con quelli degli Asburgo. Ma il trattato di pace di Vienna (23 giugno 1606) con cui Rodolfo II concesse il libero esercizio della religione agli stati ungheresi e revocò i provvedimenti emessi dai predecessori a favore della Chiesa, sbarrò la via alla restaurazione cattolica nel paese. L'azione della Chiesa subì una limitazione anche nella dieta, alla quale P., per volontà di Rodolfo II, non poté mandare un suo rappresentante. Nella lotta tra Mattia e Rodolfo II, il papa fece da mediatore per evitare che Mattia fosse prigioniero dei calvinisti che l'appoggiavano; ma non poté evitare che Mattia facesse gravi concessioni agli eretici e che Rodolfo lo imitasse. Di fronte ai progressi dei protestanti, P. non osò schierarsi a favore della lega cattolica, della quale era pure stato fautore all'inizio del suo pontificato, per timore di disgustare la Francia. La morte di Enrico IV e il pericolo d'uno scontro tra la lega cattolica e i protestanti spinsero finalmente il papa ad aiutare la lega. Scoppiata la guerra dei Trent'anni, P. si propose di trattenere Luigi XIII dall'intervenire nell'impero. Ma non intuì la gravità della situazione; perciò fece cattiva impressione quando si dimostrò sordo alla richiesta d'un aiuto finanziario più notevole; soltanto al principio del 1620 prescrisse una decima, per tre anni, di circa 200 mila scudi su tutte le prebende del clero italiano ed elevò al doppio il sussidio mensile di diecimila scudi, e mandò istruzioni ai nunzî per una lega generale. La vittoria della Montagna Bianca gli diede l'illusione che la sottomissione dei Boemi avrebbe fatto capitolare gli altri ribelli. Con questa illusione P. morì, il 28 gennaio 1621.
Bibl.: Cfr. L. von Pastor, Storia dei papi, trad. it., XII, Roma 1930.