PAOLO Veneziano (o da Venezia)
Pittore veneziano, nato intorno al 1300 o anche prima, attivo in Italia settentrionale, in Istria e in Dalmazia, documentato dal 1333 al 1358; morto tra il 1358 e il 1362.
P. è il maggior pittore del primo Trecento veneziano e una delle personalità più significative del mondo gotico padano, nel cui contesto egli si propose con la peculiarità del suo linguaggio in sottile equilibrio tra tradizione bizantina ed eleganze modernissime, talvolta addirittura precocemente tese verso stilemi 'cortesi'. La ricostruzione della personalità di P. è abbastanza recente: ancora Cavalcaselle (Crowe, Cavalcaselle, 1887) gli attribuiva esclusivamente quattro opere; solo dagli anni Trenta gli vengono ascritti ca. trenta dipinti (Sandberg Vavalà, 1930). La critica più recente oscilla tra due posizioni ben distinte: una tende ad ampliarne il catalogo, assegnandogli alcuni dipinti che sono piuttosto della sua scuola (Pallucchini, 1945; 1956; 1964), l'altra invece tende a restringere il catalogo del pittore a poco più delle opere firmate (Lazarev, 1931; Muraro, 1969).
Di P. sono note solo poche notizie documentarie: nel 1341 (Cecchetti, 1887b, p. 410) il pittore risulta abitare nella parrocchia di S. Luca a Venezia; nel 1346 (Testi, 1909, p. 173) riceve un pagamento per un'ancona per la chiesa veneziana di S. Nicolò di Palazzo Ducale; nel 1352 (Muraro, 1969, p. 88) dal testamento di un certo Nicola Lukarič di Ragusa (od. Dubrovnik) l'artista risulta aver ricevuto un pagamento per un dipinto destinato alla tomba del testatore. Più abbondanti sono le notizie desumibili dalle sue opere, molte delle quali appunto recano la data: esse consentono così di scalare nel tempo, dal 1333 al 1358, il percorso stilistico del pittore.La formazione di P. dovette avvenire a Venezia a partire dagli inizi del secondo decennio del Trecento, se non addirittura prima: il clima artistico della città lagunare, vivissimo per la ricchezza e la varietà degli interventi architettonici e scultorei, che davano un volto nuovo e moderno alla città, era, dal punto di vista pittorico, ancorato alla tradizione bizantina, sia quella più aulica della capitale sia quella provinciale, con suggestioni in particolare dalla Serbia e dalla Macedonia, regioni con le quali Venezia aveva stretti contatti commerciali.
La prima opera di P. sicuramente datata è il polittico, lacunoso (Vicenza, Mus. Civ. d'Arte e Storia), proveniente dalla basilica francescana di S. Lorenzo a Vicenza; esso reca la scritta "MCCCXXXIII Paulus d(e) Veneciis pi(n)xit h(o)c opus". La maturità del dipinto e il fatto che si trovasse in una prestigiosa chiesa dell'entroterra veneziano fanno ipotizzare che in quegli anni P. fosse un artista già molto noto e nel pieno della sua attività. La critica nei tempi più recenti ha perciò cercato di ampliare il catalogo delle opere giovanili del maestro e di individuare le componenti della sua formazione. Delle numerose e non sempre univoche attribuzioni, alcune sono definitivamente da scartare: tra queste, gli offerenti dipinti sulla grande ancona lignea a bassorilievo con S. Donato nell'omonima chiesa di Murano, datata 1310; la bellissima Incoronazione della Vergine (Washington, Nat. Gall. of Art, Kress Coll.), datata 1324 e ora giustamente assegnata al Maestro dell'Incoronazione; infine, forse anche il dossale della chiesa di S. Pantaleone a Venezia, in cui domina la componente tradizionale bizantina e non vi è traccia di quell'interesse per moduli e stilemi moderni che caratterizzò i dipinti certi di Paolo.È possibile che invece siano da assegnare alla prima attività del pittore le seguenti opere: una tavoletta con Crocifisso e santi su fondo rosso (Ravenna, Mus. Naz.; Bettini, 1940), dalle forti suggestioni giottesche; il dossale con Storie del beato Leone Bembo della chiesa di S. Biagio a Dignano d'Istria, datato 1321; cinque tavolette, certo parti di una predella, con Storie della Vergine (Pesaro, Mus. Civ.). Infatti in queste opere è presente un nuovo accento più o meno continentale che indica nel loro autore un interesse nei confronti di un linguaggio spazioso e volumetrico, suggerito indirettamente o direttamente dalle novità portate in Romagna e a Padova da Giotto - come nelle tavolette con Storie della Vergine, copiate alla lettera dagli affreschi della cappella degli Scrovegni a Padova -, attestando una diversità e una pluralità di interessi ben diversi dalle posizioni strettamente tradizionali dell'ambiente veneziano, che avrebbero invece caratterizzato molta parte dell'attività matura di Paolo. Se dunque gli inizi dell'artista vanno letti in chiave continentale, con forti stacchi dalla tradizione bizantina, sono da assegnare alla giovinezza del maestro altri dipinti, quali il 'trittichino' (Parma, Gall. Naz.) e alcune tavolette con figure di santi (Worcester, MA, Art Mus.).Il frammentario polittico di Vicenza è costituito attualmente da tre tavole: la centrale con la Dormitio Virginis e le due laterali con S. Francesco e S. Antonio. Il dipinto può considerarsi una sorta di manifesto del linguaggio della prima maturità del pittore veneziano, in sottile equilibrio tra linguaggio tradizionale bizantino ed elementi ormai accentuatamente gotici e moderni. Ancora legati allo stile paleologo sono i due santi, dalla corposità affusolata; del tutto in linea con la tradizione è anche l'iconografia della tavola centrale. Tuttavia P. ne dà un'interpretazione nuova, in chiave gotica: la figura di Cristo nella mandorla è leggermente scartata sulla destra, così da interrompere la rigida simmetria compositiva e da imprimere un leggero movimento a tutta la composizione. La Vergine è avvolta in un morbido manto dall'orlo sottilmente ondulato e poggia su un panno ricamato tipicamente veneziano; gli angeli si affacciano sullo sfondo con un incrociarsi di sguardi, con la novità delle lunghe ali, che definiscono la composizione con un veloce ritmo decorativo e ornamentale.
Più matura, nella scelta sapientissima e preziosissima dei vivaci colori - gli angioletti azzurri paiono preludere ai pittori del Gotico fiorito -, è una piccola Crocifissione (Washington, Nat. Gall. of Art), ove le figure quasi prive di peso nel modulare continuo dei manti sono un'interpretazione nuovissima, in chiave del tutto gotica, della drammaticità giottesca. Forse ancora nel quarto decennio vanno collocate le due tavolette con Storie di s. Nicola (Firenze, Coll. Contini Bonacossi): le due scenette sono impaginate entro edifici spaziosi, ove a reminiscenze giottesche padovane si uniscono architetture colorate, e talvolta con elementi tipicamente veneziani, come la piccola altana; i personaggi sono resi in atti quotidiani, con vivacissimi colori e con una particolare, quasi cronachistica, attenzione alle fogge del tutto moderne degli abiti.Durante il quarto decennio il percorso figurativo di P. sembra svolgersi con sempre maggiori accentuazioni di gusto gotico: un goticismo fatto di eleganze formali, di una squisita linea di contorno e anche di osservazioni pungenti e vivaci della realtà della vita quotidiana. Una serie di tavole con la Madonna con il Bambino, che possono scalarsi entro questo decennio, lo rivela come pittore di straordinaria maturità figurativa e come uno dei grandi protagonisti del mondo gotico padano, proprio nell'invenzione di tali immagini squisite, allo stesso tempo ieratiche e umanissime, impreziosite di ori e di stoffe sontuose, modello certo per pittori di terraferma, quali Guariento di Arpo, ma anche per alcune soluzioni delle schöne Madonnen dei centri oltralpini, in particolare boemi e austriaci.
La Madonna con il Bambino (Venezia, Ist. Pie Suore Canossiane), proveniente dalla chiesa di S. Alvise a Venezia, datata tra il 1335 e il 1340 (Moschini Marconi, 1955), costituisce, rispetto al polittico di Vicenza, un'evoluzione verso una più consapevole conquista di elementi gotici: nell'orlo modulato del manto, che stempera la severità della posa ancora bizantina della Vergine, e nello sciorinarsi di stoffe preziose.Ancora più accentuato appare il grafismo gotico in una dolce Madonna con il Bambino (Padova, Casa del Clero), mentre nella straordinaria Madonna di Venezia (Gall. dell'Accademia) la Vergine, con la corona regale sul capo, si volge con un leggero movimento rotatorio, elemento già chiaramente gotico, accogliendo sotto il mantello i due offerenti: la tavola presenta un'ulteriore accentuazione di elementi ornamentali, nella bellissima stoffa a grandi fiori e nell'attenzione ai gioielli.Databile intorno al 1339 è la grande lunetta sopra la tomba del doge Francesco Dandolo (m. nel 1339) a S. Maria dei Frari a Venezia, la prima commissione ufficiale di Paolo. La composizione è assai semplice: s. Francesco e s. Elisabetta, che presentano alla Vergine il doge e la dogaressa, ripetono con la curva della figura quella della tavola; la Madonna, seduta contro un drappo aranciato, dai grandi fiori colorati, è appena mossa verso destra, con una leggera inclinazione del capo; all'affettuosità dei gesti e degli atteggiamenti domestici e quotidiani dei protagonisti si accompagna una tavolozza accesa, dai timbri solari.Una Madonna in trono (Milano, Coll. Crespi-Morbio) è firmata e datata 1340: su un trono architettonico, coperto di una sontuosa stoffa, siede solenne la Vergine; l'imponenza dell'immagine è sottolineata dai due angioletti, come finte statuette a monocromo chiaro, poggiate sui braccioli del trono: essi si accompagnano agli altri quattro angioletti che spuntano dietro il drappo, a circondare la Celeste Regina.Forse ancora al quarto decennio va datato il delicatissimo Crocifisso proveniente dalla chiesa di S. Samuele, oggi in S. Stefano a Venezia: un dipinto di intenso lirismo, nella delicatezza del corpo sottile, modulato da una leggera ombra, nell'intensità del volto, nella dolcezza della linea che si fa rivolo trasparente nel perizoma: l'opera è molto importante, perché porta tra le lagune una tipologia della croce aggiornata sul linguaggio di terraferma.Il sempre maggiore goticismo che percorre le opere di P. a partire dal quarto decennio va visto in stretta connessione con le novità di linguaggio che la cultura figurativa veneziana proponeva, proprio negli anni centrali del secolo, quando la città era nel pieno fervore della ricostruzione del Palazzo Ducale, a partire dal 1340: architettura nuovissima arricchita dei modernissimi capitelli, eseguiti da Filippo Calendario, in un linguaggio talvolta già preludente al Gotico internazionale.Sul versante delle arti suntuarie non meno interessante fu la ricostruzione, voluta dal doge Andrea Dandolo e terminata nel 1345, della Pala d'oro in S. Marco, impreziosita di oreficerie e di gioielli di foggia alla francese. In questo clima si situa la seconda commissione ufficiale di P., ovvero la coperta della medesima opera, che l'artista firmò insieme ai figli Luca e Giovanni, i quali quindi dovevano avere almeno vent'anni. Essa si compone di quattordici tavole, sette nel registro superiore, con il Cristo Passo insieme alla Vergine e a santi, in mezze figure, e sette in quello inferiore con Storie di s. Marco. Le figure del registro superiore sono ancora legate alla tradizione bizantina, specie nei volti bruniti: eppure il leggero scarto di tre quarti dei corpi, il gestire elegante delle mani sottilissime, le falcature morbide dei manti e soprattutto le accensioni e gli accostamenti preziosi di colore sono chiari indici di un'interpretazione pienamente gotica di tematiche tradizionali. Le Storie marciane invece sono impaginate con una carica cronachistica vivacissima, contro fondali architettonici spaziosi, arricchiti di colori estremamente brillanti.Del 1347 è la Madonna della Pera (Cesena, palazzo Vescovile), proveniente dalla parrocchiale di Carpineta (prov. Forlì): il trono ligneo mostra un'accentuata ricerca spaziale volumetrica; la Vergine, di moduli molto allungati e mossi, presenta abiti e gioielli sfarzosi, mentre i colori, specie negli incarnati, sono schiariti. Lo stesso schiarirsi della tavolozza si può osservare nelle tavole del polittico della chiesa di S. Martino di Chioggia, datato 1349, che mostra nel segno di contorno un arrovellarsi della linea, già chiaro preludio a elementi del Gotico internazionale.
Forse agli inizi del sesto decennio va datato il grandioso polittico, mutilo della tavola centrale, della chiesa di S. Giacomo di Bologna: si tratta di un'opera grandiosa nella cornice monumentale e architettonica, a tre ordini di figure, con i santi della zona centrale costruiti con moduli allungati e avvolti in vesti dalle cadenze morbide. Un sapore particolarmente ellenico hanno, nella cimasa, le figure di S. Raffaele e di S. Giorgio e uno stupendo cavallo classico. Tra gli esempi più interessanti di un linguaggio gotico fatto di figure allungate, avvolte in panni che ricadono mollemente, e illuminato di colori schiariti è il polittico a San Severino Marche (Mus. e Pinacoteca Com.), anche questo di imponenza architettonica nella complessità della carpenteria: S. Caterina e il gruppo di S. Orsola con le compagne evidenziano una ricchezza cromatica e una modernità nel ductus lineare da leggersi ormai in chiave di Gotico fiorito.
Ancora in chiave di sfarzo cortese e mondano è da interpretare il polittico (Venezia, Gall. dell'Accademia) proveniente dalla chiesa di S. Chiara a Venezia, con al centro l'Incoronazione della Vergine, lateralmente otto piccole storie della Vita di Cristo e, ancora, storiette e santi nella cimasa. Mentre queste ultime e le piccole figure dei santi, forse della bottega di P., mostrano talvolta una certa rigidezza di fattura e moduli compositivi del tutto tradizionali, la tavola centrale è opera di fascino straordinario, nello splendore delle stoffe a trame d'oro, nella fluidità melodica del ductus lineare che avvolge le figure di Cristo e della Vergine.Ancora un'Incoronazione della Vergine (New York, Frick Coll.) è la tavola che chiude il percorso documentato di P.: eseguita nel 1358 insieme al figlio Giovanni, l'opera è caratterizzata da una maggiore sobrietà, nel rosato trono architettonico, nelle vesti semplificate che avvolgono corpi sottili e privi di spessore, nei colori schiariti.Tra le molte opere che vengono attribuite a P. sulle due sponde del mare Adriatico, sono probabilmente da assegnare alla sua mano il polittico del convento di S. Eufemia di Arbe in Croazia, un'immagine acheropita (Firenze, Coll. PopeHennessy) e probabilmente un polittico frammentario (Brescia, Pinacoteca Civ. Tosio-Martinengo). Molto legati al linguaggio del maestro, ma con alcune durezze che postulano quanto meno la presenza della scuola, sono il polittico Campana, datato 1354, la cui tavola centrale con la Madonna in trono con il Bambino si trova a Parigi (Louvre), e il polittico di S. Giorgio di Pirano in Slovenia, del 1355. Fortemente influenzati dai modi di P. sono del resto moltissimi dipinti, numerosi anche in Istria e in Dalmazia, segnati spesso tuttavia da una certa durezza nel segno di contorno e, comunque, da una scarsa attenzione alle novità gotiche che caratterizzano il linguaggio dell'artista. Numerose crocifissioni, tra le quali molto alte qualitativamente quella ad Atene (Benaki Mus.) e quella, estremamente complessa e articolata, della chiesa dei Domenicani di Dubrovnik, nonché alcuni polittici o dossali con storiette di santi, fra cui per es. il vivace polittico di S. Lucia (Veglia, Vescovado) e il paliotto di S. Orsola (Firenze, coll. privata), sono da assegnare piuttosto alla scuola di Paolo.
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