VERGANI, Paolo
VERGANI, Paolo. – Nacque nel Milanese nel 1750. Poco si conosce della sua famiglia (i nomi dei genitori sono ignoti), dei primi anni della sua vita e della sua adolescenza.
Approfondì gli studi in storia e diritto canonico divenendo prelato. Si formò nell’ambiente intellettuale e culturale milanese dei fratelli Pietro e Alessandro Verri, oltre che di Cesare Beccaria, dal quale successivamente in parte prese le distanze.
Il legame con la Lombardia e con l’influenza delle riforme settecentesche realizzate dai sovrani illuminati, quali in primis Maria Teresa d’Austria, fu al centro della sua prima produzione scientifica. D’impronta moderata e illuminista, nel 1776 diede alle stampe Dell’enormezza del duello, in cui, ricostruendo storicamente l’origine del duello, si concentrò sul Medioevo come momento centrale della sua diffusione, fino ad arrivare ai tempi moderni e sostenendo la necessità della sua completa abolizione. L’opera fu accolta con vivi apprezzamenti da Voltaire e da Joseph Sperges, al quale Vergani, nel dicembre del 1776, chiese, senza successo, un incarico per insegnare diritto naturale. L’anno dopo pubblicò a Milano con l’editore Malatesta Della pena di morte, in cui si poneva l’obiettivo di elaborare una sorta di difesa del sistema criminale allora vigente, nella convinzione dell’ineluttabilità della pena di morte.
La sua posizione oscillava, tuttavia, tra la necessità che la pena di morte venisse inflitta esclusivamente nei casi di maggiore gravità, in presenza di prove certe, e l’effetto intimidatorio insito nella stessa per la repressione dei reati.
Anche per Vergani le leggi penali dovevano avere come fine l’utilità sociale ma, diversamente da Beccaria, sosteneva quanto le disuguaglianze delle condizioni sociali potessero giustificarne l’inflizione. Egli, ripercorrendo l’analisi di Claude-Adrien Helvétius sull’origine sociale del furto, identificò in esso una delle ipotesi cui la pena di morte avrebbe dovuto essere applicata.
Ricevette anche per quest’opera i complimenti di Sperges, dell’avvocato francese Michel Cousin e il plauso su riviste come il Journal encyclopédique. La seconda edizione, accresciuta e rivista, apparve a Milano nel 1779 e venne tradotta in francese proprio da Cousin nel 1782, con l’inserimento in appendice del Discorso sulla giustizia criminale a completamento della trilogia dei suoi scritti dedicati a temi di diritto penale. L’anno dopo Cousin tradusse in francese anche il precedente saggio di Vergani sul duello.
Probabilmente sfruttando la sua notorietà, Vergani cercò in quegli anni, ma senza riuscirci, di ottenere un impiego fisso presso la corte di Carlo III di Spagna. A partire dal 1780 fu a Roma come canonico presso la chiesa di San Giovanni in Laterano, nel 1786 fu coadiutore con futura successione dell’abate Giacinto Belli, sottosegretario della congregazione del Buon Governo.
Partecipò alle riforme economiche e fiscali promosse da Pio VI spostando radicalmente l’oggetto delle sue ricerche: approfondì ed elaborò teorie economiche e finanziarie nella veste di riformatore, in un momento cruciale per lo Stato pontificio. Papa Pio VI volle circondarsi di particolari figure di uomini con le quali instaurare una proficua collaborazione. Accanto al papa e al suo tesoriere Fabrizio Ruffo vi fu non solo Vergani, ma anche Giovanni Cristiano de Miller, prima al servizio di Pietro Leopoldo di Toscana e poi di Caterina di Russia. Ruffo istituì l’ufficio di sopraintendente alle Dogane, facendo nominare nel 1787 dieci sopraintendenti per le diverse zone dello Stato pontificio, e modificò anche l’assetto dell’organizzazione centrale: de Miller venne nominato ispettore generale delle Finanze e Vergani fu suo coadiutore. Due anni dopo, il 4 dicembre 1789, Vergani divenne ispettore dell’Agricoltura e delle Arti e assessore generale delle Finanze e del Commercio, e fu pertanto uno dei più fidati collaboratori di Ruffo.
Nel 1794 a Roma, Vergani diede alle stampe Dell’importanza e dei pregi del nuovo sistema delle finanze dello Stato pontificio, opera considerata rilevante sia per la capacità di illustrare la riforma finanziaria promossa da Pio VI, sia per il suo commento.
Il piano di riforma dello Stato pontificio ebbe le sue basi nella filosofia di David Hume e nell’utilitarismo unito al relativismo dell’esperienza, nella polemica antifisiocratica e in opposizione alle teorie rousseauiane dell’egualitarismo, che Vergani criticò aspramente insieme all’idea del contratto sociale. Venne altresì privilegiata, in un’ottica smithiana, l’applicazione di tariffe finanziarie che fossero semplici, e prive di eccessive formalità, esattamente come un sistema di dazi ad valorem anziché specifici, adottati solo in determinate circostanze.
Vergani elaborò e chiarì le sue posizioni a sostegno di una politica doganale tesa verso il protezionismo dell’industria nazionale. Per lui una riforma doganale era indispensabile per lo Stato pontificio e per l’incremento economico, pertanto apprezzò tutte le disposizioni che distinguevano il grado di lavorazione dei prodotti per la corretta determinazione dell’aliquota, per l’importazione e l’esportazione. Sostenne, inoltre, l’importanza del motuproprio di Pio VI del 9 aprile 1777, con cui si abolì l’imposta sui pedaggi e sui transiti.
Fu anche un aperto ammiratore del sistema finanziario inglese, addirittura assimilò la situazione finanziaria dello Stato pontificio a quella dell’Inghilterra, affermando che fosse necessario progressivamente avvicinarsi a essa. In particolare Vergani, per il commercio marittimo, fu l’ispiratore della notificazione pontificia del 3 gennaio 1788, che paragonò all’importanza del Navigation act di Oliver Cromwell promulgato nel 1651.
Nel provvedimento pontificio, che fu soggetto ad aspre critiche, le merci importate con navi nazionali avrebbero beneficiato della sesta parte della gabella d’introduzione che venne stabilita nella tariffa proporzionale delle gabelle ai confini, e lo stesso beneficio venne concesso, alle medesime condizioni, alle merci esportate e soggette a dazio di esportazione. I punti più deboli del programma verganiano consistevano però nella mancata immissione di capitali per dare impulso all’opera di cambiamento, nella presenza di territori dello Stato pontificio marcatamente diversi come la Maremma e la Ciociaria, ma soprattutto nella non previsione di forme che potessero limitare se non modificare il sistema dei privilegi, le esenzioni fiscali delle mani morte, le giurisdizioni speciali e le annone municipali. Come afferma Franco Venturi (1965), il programma di Vergani «pur lucido e significativo, restava senz’anima e senza interna capacità di sviluppo e d’affermazione» (p. 637).
Attorno a lui ruotava anche un gruppo di gesuiti spagnoli espulsi, tra cui l’andaluso Gonzalo Adorno Hinojosa, sostenitore della necessità di una riscoperta del mercantilismo spagnolo. Questo facilitò l’avvicinamento di Vergani alla produzione scientifica economica spagnola di autori come Jerónimo de Uztáriz, Bernardo de Ulloa e Pedro Rodríguez Campomanes.
La pubblicazione Dell’importanza e dei pregi del nuovo sistema delle finanze dello Stato pontificio coincise anche con il fallimento del disegno riformatore di papa Pio VI e Ruffo fu sollevato dall’incarico. Durante la fase rivoluzionaria Vergani ricevette protezione dal cardinale Giuseppe Doria a seguito della proclamazione nel 1798 della Repubblica Romana, per poi successivamente manifestare le sue idee controrivoluzionarie. Nel 1800 fu a Venezia, dove venne pubblicato presso l’editore Giacomo Storti, in forma anonima anche se gli fu attribuita la paternità, La democrazia combattuta coll’esperienza di tutti i secoli. In aperto scontro con i repubblicani e i patrioti filofrancesi, Vergani ripercorreva le origini storiche che avevano caratterizzato l’epoca a lui contemporanea e le violenti guerre civili scoppiate all’interno delle repubbliche, per sostenere, invece, le radici solide della forma di governo monarchica. Dal 1801 al 1808 fu «prelato domestico» del pontefice, nonché assessore generale delle Finanze e del Commercio nel tribunale della Camera. Nel 1803 divenne segretario della Congregazione economica e diede alle stampe nello stesso anno Voto economico sopra la servitù dei pascoli alla quale soggiace una gran parte dei terreni de’ particolari nelle provincie suburbane, mentre nel 1804 Osservazioni [...] al memoriale presentato [...] dagli affittuari delle tenute dell’Agro romano per ottenere la rescissione degli attuali loro contratti d’affitto, dove si fece portavoce di una progressiva ridistribuzione del territorio intorno a Roma. Tra il 1802 e il 1808 fu assessore dell’Annona. Nel 1808, con l’arrivo di Napoleone a Roma, Vergani seppe ritagliarsi un incarico, grazie alla sua esperienza per la risoluzione di problemi legislativi ed economici, e nel 1811 venne nominato membro del Corpo legislativo e si trasferì a Parigi. Nel 1813 pubblicò presso Colas La législation de Napoléon-le-Grand considérée dans ses rapports avec l’agricolture.
In quest’opera Vergani fece trasparire il suo cambiamento e l’elaborazione di nuove teorie economiche, concentrandosi sulla proprietà, sull’interesse individualistico e privato. Al centro della disamina vi è l’importanza della promulgazione del codice civile napoleonico per l’abolizione, ad esempio, degli usi civici e dell’istituto del fedecommesso.
Con la caduta di Napoleone, egli dovette nuovamente rivedere le sue posizioni: fu l’autore di uno scritto di taglio reazionario edito a Parigi nel 1814 con il titolo Essai historique sur la dernière persécution de l’Église, e nello stesso anno scrisse Discussion historique sur un point intéressant de la vie de Henri IV, identificando il sovrano Enrico IV come un vero e proprio ideale della Restaurazione. In seguito, Vergani si spostò a Genova dal marchese Giambattista Carrega, dove ritornò ad affrontare temi a lui cari riguardanti sia il periodo romano sia quello milanese, tornando ad attaccare i monarcomachi e a sostenere i mercantilisti: nel 1815 diede alle stampe Discorso storico-politico sull’autorità del romano pontefice e nel 1816 Le idee liberali ultimo rifugio dei nemici della religione e del trono, saggio che ebbe diverse ristampe sia a Torino (1821) sia a Napoli (1850). Nel 1818 pubblicò l’Analisi ragionata del Congresso di Vienna, in due volumi edita a Genova da Pagani, dove difese energicamente il nuovo ordine internazionale creato con la Restaurazione. Nel gennaio del 1820 il papa gli assegnò una pensione pari a seicento scudi.
Morì a Pesaro il 23 ottobre 1821 all’età di settantuno anni.
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