ZACCHIA, Paolo
– Nacque a Roma nel 1584 (o 1585) da Tommaso e da Giacoma Boncompagni (Mandosio, 1682, p. 102; per la paternità, cfr. testamento, in Archivio di Stato di Roma, Trenta notai capitolini, Ufficio 32, 1659, notaio Simii). Fu fratello di Silvestro, affermato giurista, Lorenzo e Anna Maria, monaca a Viterbo. Non è nota la professione del padre ma alcune transazioni finanziarie con la famiglia Aldobrandini suggeriscono una posizione agiata e rapporti consolidati con le grandi famiglie romane (Roma, Archivio storico capitolino, Camera Capitolina, Credenzone II, t. V, cat. 52, c. 347r).
Diverse le ipotesi sulle origini della famiglia. La dedica al cardinale Laudivio Zacchia (v. la voce in questo Dizionario) contenuta nel primo libro delle Quaestiones medico-legales è stata interpretata come una prova della presunta parentela con la famiglia Zacchia di Vezzano Ligure (Zacchia Rondinini, 1942, p. 16). Altrettanto suggestiva la notizia di Giulio Bartolocci (1683, p. 891), scriptor hebraicus della Biblioteca Vaticana, secondo cui la famiglia di Zacchia sarebbe stata in realtà di origine ebraica, proveniente da Viterbo, poi convertitasi. L’assenza di prove documentarie non consente di confermare nessuna di queste ipotesi.
Difficile ricostruire gli anni di formazione: non trova al momento riscontro l’ipotesi di un’educazione presso la scuola degli scolopi e poi al Collegio romano (Capparoni, 1928, p. 134). Zacchia studiò medicina a Roma con Marsilio Cagnati, professore alla Sapienza, da lui definito «preceptor meus» nelle Quaestiones (Questionum medico-legalium, I-II, Lugduni 1661, I, p. 70). Lacune nella documentazione del Collegio medico non consentono tuttavia di stabilire la data di laurea, che sembra ancora non conseguita nel 1608, quando Zacchia pubblicò a Roma una traduzione del poema La Fenice di Lattanzio Firmiano con dedica al cardinale Montalto (Alessandro Peretti Damasceni), presentandosi sul frontespizio come «romano» ma non medico. La notizia che Zacchia avesse completato studi di diritto e teologia (cfr. Bibliografia romana, 1880, pp. 252 s.) rimane per ora priva di evidenze documentarie.
Nel 1621 apparve presso Mascardi il volume Quaestiones medico-legales. Liber primus, il cui titolo suggerisce, già a questa altezza, il progetto di un’opera più ampia, che in effetti prese forma gradualmente negli anni successivi. Rivoltosi al libraio stampatore Guglielmo Facciotti, noto per le pubblicazioni di carattere medico, con cui aveva stabilito buoni rapporti (M. Ceresa, Una stamperia nella Roma del primo Seicento..., Roma 2000, ad ind.), Zacchia fece uscire nel 1625 il secondo libro e, a seguire, il terzo e il quarto (1628) e il quinto (1630). Già nel 1630 apparve a Lipsia una riedizione dei primi quattro libri. Morto Facciotti, Zacchia pubblicò il sesto libro, nel 1634, con gli eredi, ricorrendo però l’anno seguente, per il settimo, a Manelfo Manelfi. Le successive edizioni uscirono tutte nei maggiori centri di stampa europei: nell’edizione di Amsterdam (1651) vennero aggiunti i libri ottavo e nono con 34 consilia, che salirono a 60 nell’edizione avignonese del 1655. L’edizione di Lione, uscita postuma nel 1661 a cura del nipote Lanfranco Zacchia (v. la voce in questo Dizionario), comprese 85 consilia e 100 decisiones della Rota. Ulteriori edizioni apparvero fino a tutto il Settecento: in particolare, quella completa veneziana del 1789. Risale al 1774 la pubblicazione a Cesena del compendio Novus Zacchias, a cura del teologo e medico gesuita spagnolo Facundo Lozano, a riprova dell’autorevolezza riconosciuta alle Quaestiones per lo sviluppo delle pratiche medico-legali.
Per l’ampiezza e sistematicità della trattazione, le Quaestiones sono considerate uno dei testi fondanti della medicina legale. La struttura scolastica in quaestiones consente a Zacchia di esaminare in modo analitico una molteplicità di temi relativi al corpo e alla salute al tempo stesso giuridicamente rilevanti e teologicamente complessi, con riferimenti puntuali a una varietà straordinaria di fonti mediche, giuridiche e teologiche. Il primo libro approfondisce vari aspetti della generazione, dalla definizione del parto legittimo e vitale alla somiglianza della prole, fino a questioni più specifiche come l’identificazione delle cause di morti femminili in relazione a una forma di prestito comune a Roma e legata alla vita e alla morte dell’intestatario. Il secondo libro affronta da un lato la categoria delle malattie che indeboliscono la mente e dall’altro la complessa materia dei veleni. La generazione ritorna nel terzo libro con un’attenzione particolare all’impotenza. Parallelamente viene dato spazio al problema della simulazione delle malattie e alle implicazioni medico-legali della peste e del contagio. Il quarto libro raggruppa due temi distanti: la natura dei miracoli e le problematiche riguardanti la verginità e lo stupro. Nel quinto libro Zacchia affronta il digiuno quaresimale, la natura delle ferite, questione principe nella pratica medico-legale, e le mutilazioni corporee. Conclude il libro un’analisi della relazione tra ambiente e salute secondo il modello ippocratico. Il sesto libro ruota intorno a questioni di deontologia quali la molteplice natura degli errori del medico e la definizione di colpa, per poi affrontare il tema della tortura, sulla cui applicazione i medici erano spesso chiamati a dar giudizio. Il libro si chiude con una discussione sul primato tra medicina e legge che declina in modo nuovo la secolare disputa delle arti. Una varietà di argomenti molto diversi tra loro caratterizza il settimo libro: la natura dei «monstra», la salute del clero, il debito coniugale e le stimmate. L’ottavo libro riprende la discussione sulla vita religiosa, estendendola agli effetti della clausura sulla salute delle monache. È compresa anche una trattazione delle varie forme di terapia medica. Infine, il libro nono presenta brevi integrazioni su temi affrontati precedentemente, come, per esempio, la discussione sulla cioccolata e il tabacco in relazione al digiuno, non senza dare spazio a nuove problematiche, come la dissoluzione del matrimonio e la definizione del primogenito. I consilia illustrano con casi concreti la materia trattata nella parte teorica: numerosi quelli relativi al tema della generazione, ben rappresentati anche casi di presunto avvelenamento e di conflitti legati alla capacità di intendere e volere dei testatori. Prominenti anche i consilia richiesti nel corso dei processi di canonizzazione, come quelli per Lorenzo Giustinian (1381-1456), patriarca di Venezia, e per il papa Gregorio X (cfr. Ditchfield, 1995, p. 236).
L’ampiezza dei temi affrontati rende le Quaestiones una fonte fondamentale sia per la storia della medicina legale e della deontologia medica, sia per lo studio della società e della cultura di antico regime, dal controllo della sessualità al dibattito sulla demonologia e sulla natura dei miracoli, documentando il dialogo serrato tra medici, giuristi e teologi.
Zacchia sembra essersi direttamente interessato della diffusione della sua opera come è testimoniato dalla lettera del 1628 in cui il medico milanese Ludovico Settala lo ringraziò per l’invio di un volume delle Quaestiones (Allacci, 1633, pp. 215 s.), che ebbero infatti subito una grande risonanza. Anche il medico danese Thomas Bartholin, in visita a Roma nel 1643, commentò con particolare favore l’opera di Zacchia (Epistolarum medicinalium [...] centuria, I, Hafniae 1663, p. 191). Il carteggio Allacci documenta le trattative per la pubblicazione dell’edizione di Amsterdam presso il tipografo Blaeu (Roma, Biblioteca Vallicelliana, Carteggio Allacci, vol. 148, cc. 342v-352), confermando non solo il diffuso interesse per le Quaestiones, ma anche le reti europee in cui Zacchia era inserito. Ulteriore prova di una strategia volta a consolidare estesi rapporti sociali e intellettuali sono le numerose dediche disseminate nei consilia, tra i cui destinatari si annoverano il francese René Moreau e il cattolico inglese James Alban Gibbes. Documentati anche gli scambi con l’erudito francese Gabriel Naudé e con il medico ebreo portoghese Abraham Zacutus Lusitanus: alcune loro lettere, risalenti rispettivamente al 1635 (da Rieti) e al 1635 e 1639 (da Amsterdam) vennero incluse nell’edizione del 1651 (per i rapporti con Naudé, cfr. Lavenia, 2004).
A servizio tra il 1626 e il 1629 presso la famiglia Borghese come medico e «medico della parrocchia», probabilmente di S. Lorenzo in Lucina, con un salario modesto (Archivio apostolico Vaticano, Archivio Borghese, bb. 6045, f. 53, 6063, f. 311), il 25 novembre 1629 Zacchia entrò nel Collegio medico (Archivio di Stato di Roma, Università, b. 50, c. 178v). In questa istituzione ricoprì vari incarichi: nominato visitatore delle ostetriche, spagirici e stufaroli nel gennaio del 1630 (c. 179v), a dicembre dello stesso anno Zacchia fu uno dei due membri del Collegio chiamati a dibattere le tesi sostenute dal medico Baldo Baldi sulla natura e le cause del contagio (De contagione pestifera, praelectio habita in almae urbis gymnasio..., Romae 1631, p. 47); nel 1631 entrò a far parte di una commissione deputata a rivedere gli statuti (Archivio di Stato di Roma, Università, b. 50, c. 136v) e, insieme a Giovanni Manelfi, fu incaricato di riesaminare l’antidotario a cui stava lavorando Pietro Castelli (c. 139, 25 maggio 1631). Nel 1632 Zacchia fu nominato promotore (c. 142v). Ricoprì invece la carica di protomedico nel 1638, nel 1653 e ancora nel 1659 (Statuta collegii DD. almae Urbis medicorum..., Romae 1676, p. 114). Come consiliarius del Collegio medico approvò il balsamo al centro della lunga diatriba che divise i medici romani tra il 1639 e il 1644 (B. Baldi, Opobalsami orientalis [...] propugnationes, Romae 1640, p. 5). Una lettera sulla materia a lui attribuita apparve nell’Opobalsamum examinatum di Castelli (Venetiis 1640, pp. 126-131). Dal gennaio 1648 all’aprile 1659 Zacchia risulta nei mandati di pagamento dell’ospedale di S. Spirito (cfr. P. Savio, Ricerche sui medici e chirurghi dell’ospedale di Santo Spirito in Sassia. Sec. XVI-XVII, in Archivio della Società romana di storia patria, s. 3, XXV (1971), p. 156).
Un tratto cruciale della biografia professionale di Zacchia è l’intensa attività di perito su richiesta di diversi tribunali romani, come il tribunale del governatore, l’Auditor Camerae, la congregazione dei Riti e il tribunale della Rota romana. Suo anche il coinvolgimento nel controverso processo di canonizzazione del cardinale Roberto Bellarmino, con il suo parere favorevole alla natura miracolosa di una guarigione riportata da Daniello Bartoli (Della vita di Roberto cardinal Bellarmino, Roma 1678, pp. 522-524). Sull’episodio Zacchia tornò anche nelle Quaestiones (Questionum medico-legalium, cit., I, p. 277).
Zacchia fu, come altri suoi colleghi, lettore di alcune pubblicazioni di medicina per conto del maestro di Sacro Palazzo: in questa veste approvò nel 1624 l’Epistola apologetica di Giulio Filippelli, nel 1637 la Disquisitio iatrophysica ad textum 23 libri Hippocratis di Baldo Baldi, nel 1639 l’Antidotario Romano e nel 1647 la Polycarpoponia di Domenico Panaroli. Diversa invece la questione della sua nomina ad archiatra di Innocenzo X, che Prospero Mandosio (1696, p. 181), inizialmente incerto, confermò sulla base del medico bolognese Giovanfrancesco Bonomi. Il dato resta in effetti problematico, perché non si fa menzione del suo nome nell’elenco dei ruoli di Innocenzo X per il 1654 (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Chigiani, I.II.46). Analogamente, nei frontespizi delle edizioni delle Quaestiones, Zacchia non si identifica mai come archiatra ma come medico romano e protomedico generale dello Stato ecclesiastico. La notizia che fosse medico di Palazzo all’epoca di Alessandro VII (Franck von Frankenau, 1688, ripresa da G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, XLIV, Venezia 1847, p. 136) non è al momento verificata; nel dedicare al papa l’edizione postuma del 1661 delle Quaestiones, il nipote Lanfranco non fece alcun cenno a incarichi in Curia di Zacchia. Tuttavia, un suo consulto probabilmente indirizzato al papa è conservato nella Biblioteca apostolica Vaticana (Chigiani, E.VI.205, cc. 548-557).
Ben inserito nelle reti mediche romane, Zacchia intrattenne relazioni con colleghi dai profili professionali diversi, da Pietro Castelli ad Angelo Colio, al chirurgo francese Nicholas Larche, al napoletano Marco Aurelio Severino. Nel settembre del 1623, ben prima della nomina di Zacchia a protomedico, Castelli gli indirizzò la terza e più lunga lettera delle Epistolae medicinales (Romae 1626, pp. 34-119), opera cardine per la ricezione della medicina chimica a Roma. Gli stretti rapporti tra i due vennero costruiti attorno al patronage del cardinale Lelio Biscia (cfr. Questionum medico-legalium, cit., II, p. 171) e alla condivisione di scritti e osservazioni (I, p. 292, per il riferimento all’opera inedita di Castelli, De insectis; II, pp. 171 s., per la comunicazione di Castelli su una nascita mostruosa a Messina). La fede con cui Zacchia validò la descrizione di un caso inviata da Larche al collega Severino (Roma, Biblioteca Lancisiana, Ms. 13, c. 371) testimonia intensi scambi con entrambi, attestati anche dalle conversazioni tra Zacchia e Larche su casi di malformazioni anatomiche (Questionum medico-legalium, cit., I, p. 580). Anche con Colio, medico all’ospedale S. Giacomo, Zacchia scambiò osservazioni sull’anatomia degli ermafroditi (p. 502). Da parte sua, nel 1634, Colio lesse e approvò per il maestro di Sacro Palazzo il sesto e il settimo libro delle Quaestiones. A riprova della sua reputazione nell’ambiente dei medici romani, Zacchia venne annoverato da Gregorio Rossi, nel De postrema pestilentia (Romae 1665, p. 100), tra i medici più attivi a Roma all’epoca della peste del 1656. Nel più ampio contesto dei letterati ed eruditi romani fece parte dell’Accademia degli Umoristi (cfr. Quaestiones medico-legales, Amstelaedami 1651, dedica del libro settimo, p. 464).
Zacchia pubblicò altre due opere a stampa, entrambe in italiano. Nel 1636 uscì a Roma Il vitto quaresimale, esplicitamente rivolto a un pubblico ampio, a cui si offriva una guida pratica di comportamento per l’osservazione del precetto quaresimale, tenendo in considerazione le preoccupazioni diffuse per le possibili conseguenze mediche del digiuno. L’opera, che descrive in dettaglio le caratteristiche di diverse tipologie di alimenti, ebbe due successive edizioni. Nel 1639, sempre a Roma, apparve il De’ mali hipochondriaci che discute le origini, i sintomi, le cause e la terapia dei mali affini alla malinconia. Molte le edizioni successive, anche una traduzione in latino pubblicata nel 1671 ad Augusta.
Numerose le opere manoscritte elencate da Leone Allacci (1633, p. 214) e poi segnalate da Mandosio (1696, p. 183), che però ne denunciava la perdita per incuria degli eredi: tra gli altri titoli, si menzionano, per esempio, il De maculis in utero a foetu contractis, il De subitis et insperatis mortis eventibus, il De quiete servanda in curandis morbis. Sono giunti invece fino a oggi il poema in ottave Degl’Innocenti canti cinque e il Della birra o cervosa, discorso medico. Una copia del poema, forse autografa, si trova nella Biblioteca apostolica Vaticana (Ferrajoli, 703). Altra copia è conservata nella Biblioteca Estense di Modena (Fondo Campori, g.H.7.15, Campori 724). Copia del discorso sulla birra è invece a Londra, British Library (Ms. Add 8310), con data 27 marzo 1631.
Zacchia è ricordato brevemente nei dizionari settecenteschi di storia della medicina, tra i quali si segnala quello di Nicolas Eloy che osserva l’utilità delle Quaestiones sia per i medici sia per i teologi interessati ai casi di coscienza (Dictionnaire historique de la médecine..., IV, Mons 1778, pp. 606 s.).
Sposato con Terrenzia Cossi, morta prima di lui forse nel 1636 (cfr. testamento della moglie: Roma, Archivio storico capitolino, Archivio Urbano, sez. 1, notaio Franciscus De Berrettariis, vol. 114, c. 219r), Zacchia non lasciò figli.
Morì nel marzo del 1659, forse il giorno 21, secondo quanto si desume dalla relazione del curato allegata al testamento, che altresì informa sull’abitazione di Zacchia in via del Gesù, all’interno della parrocchia di S. Lucia alle Botteghe Oscure. Il dato è confermato in una lista di medici attivi a Roma all’epoca della peste del 1656 (cfr. Archivio apostolico Vaticano, Misc. Armadi IV-V, 61, cc. 26-27v). Dopo una cerimonia funebre cui parteciparono i membri del Collegio medico, il corpo di Zacchia venne tumulato nella chiesa di S. Maria in Vallicella, dove erano già stati sepolti altri componenti della famiglia (cfr. testamento).
Molto stretto il legame con i nipoti, in particolare con Giovanni Tommaso, a cui Zacchia lasciò in eredità la sua biblioteca medica: alcuni suoi libri, con nota di possesso, sono stati rintracciati a Parigi, Bibliothèque interuniversitaire de Santé (5862; 6136); a Roma, Biblioteca Angelica (cfr. E. Celani, Dediche, postille, dichiarazioni di proprietà..., in La Bibliofilia, VIII (1906), 4-5, p. 163); a Londra, British Library (1167.G.15).
Un ritratto di Zacchia nel sessantaseiesimo anno d’età, disegnato da Gian Domenico Cerrini e inciso da Giovanni Battista Bonacina, fu incluso nell’edizione delle Quaestiones di Avignone (1655).
Fonti e Bibl.: Per il testamento: Archivio di Stato di Roma, Trenta notai capitolini, Ufficio 32, 1659 (notaio Antonio Francesco Maria Simii), cc. 662r-665v, 683r. Per ruoli e incarichi: ibid., Università, b. 50; Città del Vaticano, Archivio apostolico Vaticano, Archivio Borghese, bb. 6045, f. 53, 6063, f. 311; Misc. Armadi IV-V, 61. Corrispondenza: Biblioteca apostolica Vaticana, Urb. lat., 1624, c. 73r (a Paganino Gaudenzi); Barb. lat., 2958, cc. 61, 92, 96, 105 (da Lelio Guidiccioni).
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