ALESSANDRO VIII, papa
Appartenente a una famiglia originaria di Padova o della Dalmazia, iscritta da non molto tempo nel libro della nobiltà veneta, Pietro Ottoboni nacque a Venezia il 22 apr. 1610. Destinato alla carriera ecclesiastica, compì gli studi a Padova e, addottoratosi giovanissimo in utroque iure, si trasferì a Roma, dove, sotto la protezione del suo compatriota, il decano di Rota G. B. Cocchim, che gli ottenne la nomina a referendario delle Due Segnature, approfondì la sua preparazione giuridica e iniziò la carriera in prelatura. Governatore di Terni nel 1638, di Rieti nel 1640 e di Città di Castello nel 1641, il 13 nov. 1643 fu nominato da Urbano VIII uditore della Sacra Rota.
Nel quotidiano esercizio di questo ufficio, tenuto per circa dieci anni, l'Ottoboni rivelò un'autentica vocazione giuridica (le sue consulte, meritatamente famose, vennero raccolte e pubblicate: Decisiones Sacrae Rotae Romanae coram R.P.D. Petro Otthobono..., Romae 1657), maturando una larga e approfondita esperienza canonistica che restò poi sempre, sostanzialmente, a fondamento di tutta la sua attività di Curia e della stessa sua concezione della Chiesa, intesa, prima che come realtà spirituale, come organismo giuridico saldamente impiantato in un corpo di dottrine e di diritti da custodire e difendere inflessibilmente nella sua integrità.
L'attività svolta alla Rota e i frequenti contatti con le Congregazioni romane e i vari ambienti di Curia gli valsero il 19 febbr. 1652 la nomina a cardinale e, due anni dopo, il 7 dic. 1654, a vescovo di Brescia.
A Brescia l'Ottoboni restò dieci anni, reggendo la diocesi con impegno. Particolare interesse portò alla questione dei pelagini di Val Camonica un gruppo di quietisti che svolgeva intensa azione cli proselitismo nella diocesi bresciana. L'Ottoboni cominciò con le ammonizioni e le intimazioni a sciogliere gli oratori, quindi passò, in perfetta collaborazione con l'inquisizione bresciana, alla repressione diretta e, nel giro di due anni (1655-57), liquidò il gruppo quietista, i principali esponenti del quale furono arrestati, processati, costretti ad abiurare e quindi confinati in vari luoghi del territorio della Repubblica veneta. In questo primo contatto con ambienti e dottrine eterodosse, l'Ottoboni manifestò grande energia e decisa volontà di estirpare dal corpo della Chiesa ogni escrescenza ereticaleggiante che ne potesse minimamente incrinare l'organica solidità e compattezza. Si cominciò a delineare così chiaramente l'orientamento generale dell'Ottoboni in tutto ciò che concerneva la dottrina e la disciplina della Chiesa: estrema intransigenza nella difesa dei princip! che ne costituivano il fondamento, e in conseguenza lotta ad oltranza contro quietismo, regalismo, giansenismo.
Nel 1664 l'Ottoboni lasciò, con l'approvazione di Alessandro VII, il governo della diocesi e si trasferì definitivamente a Roma. In Curia aveva già acquistato un certo prestigio, legandosi agli influenti cardinali Azzolini e Chigi che dirigevano il cosiddetto "squadrone volante", un gruppo di cardinali che tendeva a sottrarre la politica della Chiesa all'eccessiva influenza delle grandi potenze cattoliche. Al suo ritorno a Roma, l'Ottoboni riannodò i vecchi legami, del resto mai del tutto interrotti, e nel conclave del 1667 fu posta addirittura la sua candidatura, anche se subordinatamente a quella di Giulio Rospigliosi che, divenuto papa (Clemente IX), lo creò datario.
L'influenza dell'Ottoboni divenne, però, veramente determinante solo nel corso del pontificato di Innocenzo XI. Elemento di punta della Congregazione del Sant'Offizio, della quale era anche segretario, intervenne autorevolmente in tutte le più importanti questioni dottrinali e disciplinari dibattute in quegli anni.
Partecipò così alla speciale congregazione cardinalizia convocata (marzo 1687) per giudicare il p. P. M. Romiti e i suoi compagni dell'Oratorio di Matelica, accusati di quietismo. Il giudizio fu di piena condanna. Parte ancora più rilevante ebbe nella congregazione incaricata (giugno 1687) di esaminare il caso del cardinale P. M. Petrucci, del quale il 5 febbr. 1688 mise all'Indice le opere. In seno alla congregazione l'Ottoboni mantenne sempre la posizione più rigida anche nei confronti dello stesso Innocenzo XI che chiedeva moderazione. E fu proprio per la sua insistenza che si arrivò alla ritrattazione del Petrucci alla presenza del pontefice e dello stesso Ottoboni, che intanto dal Sant'Offizio assestava altri formidabili colpi a tutto il movimento quietista, condannando numerosi altri suoi esponenti minori.
Non meno importante l'azione da lui svolta nell'ambito dell'altra congregazione speciale, istituita da Innocenzo XI nel 1678 per trattare la questione della régale. Anche in questa sede la posizione dell'Ortoboni fu quanto mai decisa: nell'assoluta opposizione al tentativo di Luigi XIV di estendere il diritto di regalia su tutte le Chiese di Francia. Una linea di condotta, questa, che sarà seguita da Roma, sostanzialmente, per tutto il corso della controversia.
Il costante atteggiamento intransigente dell'Ottoboni irritò fortemente Luigi XIV, che tentò, senza risultato, di ridurlo a più miti consigli, facendo pressioni su Venezia. L'intransigenza dell'Ottoboni non fu tuttavia quella del moralista o del dottrinario: la sua forma mentis restò sempre essenzialmente quella del giurista, geloso custode di un prezioso patrimonio giuridico, ma al tempo stesso quanto mai attento a cogliere tutte le sollecitazioni che gli venivano dalla realtà delle particolari situazioni in cui fu chiamato a operare. L'intransigenza sui principt si accompagnò così sempre in lui a duttilità ed elasticità nella ricerca dei modi e dei mezzi più adatti alla loro concreta attuazione.
Alla morte di Innocenzo XI, la grande dottrina canonistica, la profonda esperienza della vita della Chiesa in generale, la consumata abilità nel risolvere le più spinose questioni dottrinali e disciplinari con energia e tempestività mettevano l'Ottoboni in una posizione assolutamente preminente rispetto a tutto il collegio cardinalizio. La sua candidatura in conclave apparve perciò ben presto la sola possibile al forte raggruppamento degli "zelanti" guidato dal Chigi. Questo stato di fatto preoccupò Luigi XIV, che al suo inviato speciale al conclave duca di Chaulnes (le relazioni diplomatiche tra Roma e Parigi erano allora ufficialmente interrotte) raccomandò più volte di fare il possibile per evitare l'elezione del principale collaboratore di Innocenzo XI, che nell'azione politica aveva mostrato così tenaci tendenze antifrancesi.
Di diverso parere furono invece il duca di Chaulnes e l'autorevole cardinale de Bouillon che, resisi conto della consistenza della candidatura dell'Ottoboni, iniziarono trattative allo scopo di condizionarne in qualche modo la futura politica. L'Ottoboni si prestò abilmente al gioco, mostrandosi, pur senza fare alcuna specifica promessa, molto conciliante e ben disposto verso Luigi XIV. Fu così assicurato l'appoggio dei cardinali francesi malgrado l'opposizione iniziale di Luigi e le sue successive esitazioni, mentre venivano contemporaneamente vinte anche le perplessità degli imperiali, che avrebbero preferito, puntare su altro candidato. Cosicché, il 6 ott. 1689, l'Ottoboni ottenne in conclave i voti di tutti i cardinali presenti.
Assunto il nome di A. VIII, si preoccupò subito d'intavolare trattative per risolvere l'annosa questione francese. I suoi passi gli valsero un primo felice risultato: Luigi XIV rinunciò spontaneamente alle immunità dell'ambasciata francese in Roma, la cui difesa a oltranza aveva portato poco prima all'interruzione delle relazioni diplomatiche, e procedette alla restituzione di Avignone e del Contado venassino occupati al tempo della rottura con Innocenzo XI. Era un gesto di buona volontà che doveva aprire la strada alla soluzione di problemi ben più scottanti. Le trattative tra A. e Luigi vennero infittendosi, senza però che nessuno dei due si mostrasse disposto a cedere sulle questioni di fondo. A. comunque replicò al gesto conciliante di Luigi con l'elevazione alla porpora di un uomo di stretta fiducia del re, il vescovo di Beauvais, Forbin-Janson, la cui nomina era stata in passato inutilmente sollecitata da Luigi. Tale atto, tuttavia, non bastò a stabilire un'atmosfera diversa tra i due antagonisti: Luigi XIV, anzi, irritato per il mancato invio da parte di A. delle bolle di conferma dei vescovi designati per le diocesi francesi vacanti, assunse di nuovo un atteggiamento ostile, accusando il pontefice di parteggiare per l'imperatore, alleato in quel momento con l'eretica Inghilterra contro la Francia. A., dopo aver tentato in tutti i modi, anche facendo ricorso alla mediazione di Madame de Maintenon, di ottenere da Luigi l'abrogazione dei quattro articoli dell'assemblea del 1682, si orientò verso un atto unilaterale ma risolutivo. Sul letto di morte dispose così per la pubblicazione della costituzione Inter multiplices (31 genn. 1691), già da tempo discussa e approntata, con cui cassava e annullava gli atti dell'assemblea del 1682, l'editto reale che ne prescriveva l'insegnamento, e le disposizioni del Parlamento che ne ordinavano l'esecuzione.
A. è necessario sottolinearlo ancora si sforzò durante il breve corso del suo pontilicato di salvaguardare le posizioni di Roma in Francia, senza arrivare a una rottura con Luigi XIV. Lo stesso atteggiamento possibilista ostentato alla vigilia della sua elezione non costituì solo una mossa tattica per assicurarsi l'appoggio dei cardinali francesi: in realtà A. tese a una rapida composizione del conflitto con Luigi XIV, in considerazione della particolare situazione religiosa della Francia, come della generale situazione politica europea. In Francia, perdurando difficile la situazione ecclesiastica per il differimento della conferma papale alle nomine vescovili compiute dal re, le dottrine gallicane trovavano sempre più diffusione, e una rottura con Parigi non sembrava il modo migliore per arginarle. D'altra parte, la guerra che infieriva in tutta Europa non poteva non preoccupare A., per l'alleanza tra l'Impero e la protestante Inghilterra contro il re cristianissimo: motivo questo costantemente e non senza efficacia agitato da Luigi XIV; come ancora preoccupava il pontefice, la scarsa energia opposta contro il Turco da parte di Vienna, distolta dal settore balcanico per il conflitto con la Francia. A questo duplice ordine di motivi, politici e religiosi, A. riferì l'accordo con Luigi, nia, impegnato nel realizzarlo, finì col guastarsi anche l'imperatore che si sentiva troppo sacrificato alla politica francese della S. Sede. Se l'elevazione al cardinalato del Forbin-Janson aveva irritato Leopoldo, al quale A., fra l'altro, lesinava gli aiuti finanziari promessi dal suo predecessore per la guerra contro il Turco, la concessione della porpora, nel concistoro del 13 nov. 1690, ad altri due ecclesiastici ben noti per la loro tendenza filofrancese portò alla rottura diplomatica tra Vienna e Roma.
L'azione di A. in difesa dell'ortodossia non si limitò alla sola questione gallicana, ma investì anche le altre tre grandi controversie religiose e teologiche del secolo: quietismo, lassismo e giansenismo.
Così, tolse al Petrucci il governo della sua diocesi, concludendo con quest'ultimo atto un quarantennio circa di energica e implacabile azione di repressione del movimento quietista. Il 24 ag. 1690 condannò due proposizioni lassiste, delle quali una negava la necessità dell'atto esplicito di amore di Dio e l'altra ammetteva la possibilità del cosiddetto peccato filosofico, e il 7 dic. 1690 trentuno proposizioni rigoriste, sostenute da teologi di Lovanio, relative alla penitenza, alla giustificazione, alla Vergine, al battesimo, all'autorità della Chiesa. S'interessò anche al caso del teologo lovaniense Gommaire Huygens, cercando, attraverso il nunzio nei Paesi Bassi, di ottenere una ritrattazione delle sue tesi gianseniste, e in ogni caso di tenerlo lontano dalla facoltà teologica di Lovanio dalla quale era stato precedentemente estromesso.
Il pontificato di A. vide una rigogliosa rinascita del nepotismo: A., che nel 1678 si era opposto tenacemente e con successo a un tentativo di Innocenzo XI di emanare una bolla contro il nepotismo, appena eletto papa nominò segretario di stato il nipote Giambattista Rubini, cardinal nepote, vicecancelliere di Santa Romana Chiesa, legato di Avignone, ecc., Pietro Ottoboni, generale della Chiesa e comandante delle truppe pontificie Antonio Ottoboni, soprintendente alle fortezze marittime e alle galee pontificie Marco Ottoboni.
Nell'amministrazione dello Stato della Chiesa A. cercò di andare incontro, più del suo predecessore, ai bisogni delle popolazioni. Ordinò importanti sgravi fiscali, liberalizzò il commercio dei grani, aboli la gabella della carne e quella del grano macinato in Roma, provvide alla salute dei cittadini e al decoro di Roma con alcune ordinanze sulla peste e sulla pulizia delle strade. Non vanno poi sottaciute le benemerenze acquisite dal pontefice in campo culturale: si pensi alla sua passione di collezionista di manoscritti e libri rari (acquistò nel maggio 1690 la biblioteca di Cristina di Svezia, che versò nella Vaticana, ed ebbe in dono la biblioteca altempsiana, che passò invece nelle mani del cardinal nepote) e alla sua adesione alla nuova accademia, l'Arcadia, sorta appunto durante il suo pontificato.
A. morì il 10 febbr. 1691, per una risipola alla gamba presto degenerata in cancrena. Lo sfarzoso monumento funebre che si ammira nella navata sinistra della basilica di S. Pietro gli fu eretto dal cardinai nepote.
Fonti e Bibl.: Relazione di Roma di G. Lando..., in Relazioni degli Stati europei lette al Senato dagli ambasciatori veneti nel secolo decimosettimo, a cura di N. Barozzi e G. Berchet, s. 3, Italia. Relazioni di Roma, II, Venezia 1879, pp. 405-428; Diciotto documenti inediti su A. Ottavo (Pietro Ottoboni), a cura di P. D. Pasolini, Imola 1888; Recueil des instructions données aux ambassadeurs et ministres de France depuis les traités de Westphalie..., Rome, a cura di G. Hanotaux, I (1648-1687), Paris 1888, p. 349; II (1688-1723), ibid. 1911, passim; Documents relatifs àla juridiction des nonces et des internonces des Pays-Bas pendant le régime espagnol (1596-1706), a cura di J. Lefèvre, in Analecta vaticano-belgica, 2 s., Nonciature de Fiandre, VIII, Bruxelles-Rome 1943, pp. 436-440.
Per la lotta contro il Quietismo, cfr.: P. Guerrini, Quietisti e pelagini in Valle Camonica ed a Brescia, in Brixia sacra, III (1912), pp. 30-48; P. Dudon, Le quiétiste espagnol Michel Molinos (1628-1696), Paris 1921, passim; P. Guerrini, I Pelagini di Lombardia, in La scuola cattolica, s. 5, XXIII (1922), pp. 364-365, 368; A. Battistella, Un processo di eresia presso il S. Officio di Brescia, in Arch. stor. lombardo, s. 6, LII (1925), pp. 362-368; M. Petrocchi, Il Quietismo italiano del Seicento, Roma 1948, passim; F. Nicolini, Su Miguel de. Molinos e taluni quietisti italiani, in Bollett. d. Arch. stor. d. Banco di Napoli, 1959, n. 13, pp. 237-242.
Per la sua partecipazione alle congregazioni sulla régale, cfr. M. Dubruel, Innocent XI et l'extension de la régale d'après la correspondance confidentielle du cardinal Pio avec Leopold Ier, in Revue des questions historiques, n.s., XXXVII (1907), pp. 101-137; Id., Les congrégations des affaires de France sous le pape Innocent XI, in Revue d'hist. ecclés., XXII (1926), pp. 273-310; XXIII (1927), pp. 44-64,502-522.
Per la collaborazione con Innocenzo XI in generale, cfr.: F. De Bojani, Innocent XI, sa correspondance avec ses nonces, II, Rome 1910, pp. 467-479; III, 1, ibid. 1912, passim. Per il conclave e il pontificato, G. Gerin, A. VIII et Louis XIV, in Revue des questions historiques, XXII (1877), pp. 135-210; E. Michaud, La politique de compromis avec Rome. Le pape A. VIII et le duc de Chaulnes, Bertie 1888; L. Wahrmund, Das Ausschliessungsrecht (Jus exclusivae) der katholischen Staaten Österreich, Frankreich und Spanien bei den Papstwahlen, Wien 1888, pp. 158-166; S. v. Bischoffshausen, Papst A. VIII. und der Wiener Hof (1689-1691), Stuttgart und Wien 1900; M. Dubruel, Le pape A. VIII et les affaires de France. Le conclave de 1689, in Revue d'hist. ecclés., XV (1914), pp. 282-302, 495-514; M. Langlois, Madame de Maintenon et le Saint-Siège, ibid., XXV (1929), pp. 56-63.
Per le condanne delle proposizioni lassiste e rigoriste, cfr. Dict. de théol. cathol., I, coll. 747-763.
Per la figura complessiva, L. v. Pastor, Storia dei Papi, XIV, 1-2, Roma 1932. passim; R. Ritzler-P.- Sefrin, Hierarchia catholica...,V, Patavii 1952, p. 15; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., II coll. 244-251; Encicl. Catt., I, coll. 803-805.