BENEDETTO VII, papa
Fu eletto nella seconda metà del 974 in circostanze difficili e agitate. Un papa, Benedetto VI, era stato strangolato; il soglio papale era occupato da un usurpatore, Bonifacio VII, il quale era giunto al potere con l'aiuto di una delle fazioni in cui si divideva la famiglia dei Crescenzi, allora una tra le più potenti in Roma. Contro di lui era sceso in Roma il missus imperiale Siccone, a restaurare l'ordine e reprimere i tumulti, non privi di intenzioni anti-imperiali, che ne avevano accompagnato l'assunzione al soglio. Con l'appoggio dei rappresentante dell'imperatore, B. VII fu eletto, mentre ancora l'usurpatore, Bonifacio VII, era assediato in Castel S. Angelo dalle milizie della parte imperiale, e fu intronizzato, come si ricava dalla datazione delle bolle, tra il 2 e il 28 di ottobre. Nello stesso tempo, Bonifacio VII riusciva a fuggire dalla città (cfr. il cosidetto Frammento di Ivrea, pp. 69-72. Contrastanti in parte le notizie di Ermanno Augiense, Chronicon, a.974, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, V, Hannoverae 1844, p. 116, e del Catalogus paparum Farfensis, ibid., XI, ibid. 1854, p. 573).
Romano di nascita, figlio di un Davide (Liber pontificalis, II, p. 258), B. VII apparteneva probabilmente alla aristocrazia cittadina, se è attendibile la notizia posteriore secondo cui sarebbe stato "propinquus... Alberici Romanorum consulis" (Continuazione del Chronicon di Leone Ostiense, in Mon. Germ. Hist. Scriptores, VII, ibid. 1846, I, II, c. IV, p. 631), che può trovare conferma nella menzione, negli atti di un giudizio del 981, di un "Benedictus comes, nepto domni papae" (P. F. Kehr, Italia pontificia, I, Berolini 1906, p. 79, n. 1). Al momento dell'elezione era vescovo di Sutri. Come domnus de Suri è infatti indicato nei cataloghi dei pontefici.
Un fraintendimento di questa designazione fece sorgere l'ipotesi che fosse esistito un papa Dono, il quale avrebbe pontificato prima di B. VII per poche settimane. Ma questo Dono altro non era che il risultato di una cattiva lettura del domnus. In realtà B. VII fu l'immediato successore legittimo di Benedetto VI (Liber pontificalis, II, p. 256, nota 4).
Candidato della parte imperiale, il nuovo pontefice non era però inviso ai Crescenzi. Era stato partigiano di Giovanni XIII, papa di quella fazione (W. Kölmel, Rom und der Kirchenstaat im 10. und 11. Jahrhundert bis in die Anfänge der Reform, Berlin 1935, p. 30), ed in genere con quella famiglia. serberà sempre buoni rapporti. Può esserne testimonianza il fatto che Crescenzio di Teodora, principale sostenitore di Bonifacio VII, non fu da lui molestato, ma poté finire in pace i suoi giorni, prendendo l'abito monastico nel monastero di S. Alessio, probabilmente fondato proprio da B. VII (cfr. Liber pontificalis, II, p. 258). A buon diritto dunque lo Zimmermann lo ha considerato un papa di compromesso, gradito sia all'imperatore sia all'aristocrazia romana (Papstabsetzungen, p. 267)L'accordo restaurato fu sanzionato dalla condanna del fuggiasco Bonifacio VII in un sinodo solenne, di cui serbano notizia una lettera del vescovo Adalberone di Reims (J. Havet, Lettres de Gerbert, Paris 1889, p. 235) e Gerberto d'aurillac (Acta Concilii Remensis, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, III, Hannoverae 1839, c. 58, p. 672), che dovette essere tra i primi atti del nuovo pontefice.
Sembra che Bonifacio VII conservasse però sostenitori nel territorio circostante Roma, e che potesse creare difficoltà a B. VII, finché non fu costretto, in data imprecisabile, ad abbandonare l'Italia e rifugiarsi a Bisanzio, pur senza rinunciare alle sue aspirazioni al soglio pontificio, di cui tenterà più volte, e alla fine con successo, d'impadronirsi.
Pochi documenti informano sull'attività di B. VII in Roma. Nel 977 presiedette il dibattito sulla lite che opponeva Teofilatto, abbate di S. Lorenzo fuori le mura a Costanza, abbadessa di S. Maria in Tempulo, inducendo Teofilatto a cedere i terreni contesi (P. F. Kehr, Italia pontificia, I, Berolini 1906, p. 122, n. 1). Nel 981 delegò il giudizio su un'analoga questione patrimoniale al primicerio Stefano (ibid., p. 79). Più volte si interessò della comunità monastica di Subiaco. consacrando il monastero di S. Benedetto (Chronicon Sublacense, XXV, 6, in Rerum Italic. Script., 2 ediz., XXIV, a c. di R. Morghen, Bologna 1927, p. 34), dedicando la chiesa di S. Scolastica (a. 979, P. F. Kehr, Italia pontificia, II, Berolini 19073 p. 90, n. 21), confermando i beni del monastero (ibid.), e giudicando, in una contesa patrimoniale tra la chiesa dei SS. Cosma e Damiano di Vicovaro e il monastero sublacense, in favore di quest'ultimo, cui riconosceva il possesso di Anticoli, Arsoli e Rubiano (a. 983; ibid., p. 90, n. 22).
Per quel che riguarda l'aristocrazía romana, la nuova sistemazione dei rapporti è testimoniata aache dal titolo, attestato dal 975, di "patricius domni Apostolici s, attribuito a un Benedetto, forse un Crescenzi, col quale risorgeva in Roma, dopo duecento anni, l'antico patriziato, divenuto magistratura papale e attribuita a un membro dell'aristocrazia, quasi a legittimazione delle pretese aristocratiche alla partecipazione al governo papale (Kölmel, pp. 30 s.).
Ma gli orizzonti di B. VII non si limitarono allo Stato romano: la massima parte della documentazione che di lui resta si riferisce a rapporti col clero e con le comunità monastiche d'Oltralpe e, dopo il 981, a legami stretti con l'impero. Fin dal momento dell'elezione B. VII si era trovato a contatto con i principali esponenti ecclesiastici della Germania, in favore dei quali aveva emanato le prime disposizioni del suo pontificato, riprendendo provvedimenti di papi precedenti. Agli inizi del 975 rinnovò infatti a Wilgiso, arcivescovo di Magonza, la concessione della primazia sui vescovi di Gallia e Germania (Jaffé-Löwenfeld, 3784), già conferita agli arcivescovi magontini da Leone VII, Marino II e Agapito II (ibid., 3610, 3631, 3668). Contemporaneamente confermò la particolare posizione di Teodorico, arcivescovo di Treviri, già fondata da Giovanni XIII (ibid., 3737) e da Benedetto VI (ibid., 3768), accordandogli il privilegio di cavalcare nelle grandi solennità con la gualdrappa, preceduto da una croce d'argento, come, per antica consuetudine, faceva l'arcivescovo di Ravenna, cui veniva equiparato il presule tedesco (ibid., 3783); inoltre, in favore della sua opera di restauratore di "multa monasteria quae usque ad sua tempora manserunt deserta" (ibid., 3779), concesse e confermò privilegi e possessi (ibid., 3780, 3781, 3782). L'interesse per il clero d'Oltralpe e i rapporti con esso furono costanti per tutto il pontificato di Benedetto VII. Sebbene non costituiscano novità, giacché essi si erano sviluppati almeno dal tempo di Giovanni XIII, in conseguenza dei legami stretti tra papato e impero sotto Ottone I, tuttavia i più numerosi documenti di B. VII permettono di seguire meglio l'azione papale, soprattutto nei confronti del movimento di riforma monastica che si diffondeva in Europa. Concessioni di beni come quella al monastero cassinese (ibid., 3790); conferme di possessi e privilegi, come quelle per Metz (ibid., 3807), per St. Pierre di Mont Blandin (ibid., 3809), per S. Vincenzo al Volturno (ibid., 3810; è da riferire a Benedetto VIII quella per S. Pietro di Perugia: ibid., 3792; cfr. P. F. Kehr, Italia pontificia, IV, Berolini 1909, p. 67, n. 7), non esaurirono l'attività di B. VII in questo campo. Molti privilegi furono dettati dalla necessità di risolvere il problema dei rapporti tra i monasteri riformati e l'episcopato. L'esenzione dall'ordinario diocesano rappresentava ancora un'eccezione, limitata ai monasteri "iure sancti Petri", donati cioè dai fondatori o dai vescovi alla sede romana, e dotati perciò di un particolare stato giuridico. Per essi, sia che fossero già in possesso di S. Pietro, sia che venissero donati durante il pontificato di B. VII, come i due monasteri spagnoli di S. Pietro di Besalù (donato alla sede romana da Mirone, vescovo di Gerona, nel 979: Jaffé-Löwenfeld, 3800) e S. Pietro di Rodas (donato dal vescovo Ildesino nel 979: ibid., 3798), il papa sanzionò la libera elezione dell'abbate, il divieto di intrusioni vescovili, la soggezione diretta al pontefice, indicata da un censo annuo di cinque soldi pagato dai monasteri a Roma. In alcuni casi giunse a vietare ai vescovi perfino la residenza nei monasteri (privilegio per Vézelay, a. 975: ibid., 3786). A Cluny, che può essere fatta rientrare nella categoria dei monasteri "iure sancti Petri", B. VII concesse, nella persona dell'abbate Maiolo, allora nel pieno dell'attività anche in Italia, l'isola di Lerins con il monastero di Arluc, dietro corresponsione del censo di cinque soldi (a. 978: ibid., 3796). Ma contemporaneamente B. VII appoggiò la opera dei vescovi che, soprattutto in Germania, dove nel sec. X l'influsso cluniacense fu meno avvertito, presero l'iniziativa della riforma monastica, dando origine a forme nelle quali le libertà monastiche dovevano conciliarsi con il patronato vescovile (Ph. Schmitz, Histoire de l'Ordre de Saint Benoît, I, Maredsous 1948, pp. 198 s.). L'appoggio dato a Teodorico di Treviri nella sua attività di restauratore di monasteri, che conservava sempre diritti sulle comunità rinnovate, ne è una testimonianza. Anche fuori di Germania, diritti di tutela vescovile sulle comunità monastiche vennero riconosciuti, almeno indirettamente, per esempio con l'informare Giselberto, arcivescovo di Vienne, dei privilegi concessi a S. Salvatore di Charroux (Jaffé-Löwenfeld, 3815). L'azione papale si adeguava dunque alle situazioni locali, estremamente varie nelle diverse zone dell'Europa cristiana, ma tutte animate dalla volontà di favorire la vita monastica.
D'altronde B. VII non agiva solo per proprio impulso. Il papato, che anche nei periodi più oscuri del X sec. era stato considerato dall'episcopato tedesco centro della Chiesa e massima istanza della cristianità (A. Hauck, Kirchengeschichte Deutschlands, II, Leipzig-Berlin 1954, pp. 203-211), inserito ora nell'impero degli Ottoni, diventava tanto più vicino al clero transalpino, e perciò spesso il suo intervento era desiderato e richiesto, anche solo per assicurare la continuità della tutela papale su enti ecclesiastici. Pertanto molte disposizioni di B. VII furono soltanto replica o conferma di disposizioni di suoi predecessori richieste dalle parti interessate (Jaffé-Löwenfeld, 3783 replica di 3736, 3794 replica di 3746 entrambi di Giovanni XIII; 3803 replica di 3606 di Leone VII; ecc.), e non soltanto dal clero, ma anche dall'imperatore, i cui rapporti col papa divennero assai stretti a partire dal 981. In quell'anno, sistemata la situazione politica della Germania, Ottone II scese in Italia e, incontratosi con B. VII a Ravenna, lo riportò a Roma (Annales Colonienses, a. 981, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, I, Hannoverae 1826, p. 98). Sembra che alla fine del 980 l'usurpatore Bonifacio avesse tentato un colpo di mano su Roma, che avrebbe costretto B. VII alla fuga e a chiedere l'intervento dell'imperatore. Tanto pare si debba ricacavare da un accenno, in una lettera del papa, ad una nuova "infestatio" dell'"invasor huiusce Apostolicae sedis" (H. Weinrich, Urkundenbuch der Reichsabtei Hersfeld, 1936, p. 126), e dal ricordo, in Richiero di Reims, di tumulti romani nel 980 (Historiae, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, III, I. III, c. 81, p. 624; cfr. Zimmermann, p. 268). Che il papa cercasse riparo a Ravenna sembra provato dal fatto che colà egli emanò documenti nell'anno 980 (Jaffé-Löwenfeld, 3802) e che colà Ottone II celebrò, quell'anno, il Natale. Già prima di queste vicende B. VII aveva emanato, "ob amorem imperatoris et petitionem imperatricis", privilegi per sanzionare disposizioni di politica ecclesiastica di Ottone II (per esempio, ibid., 3788 del 976 per S. Pantaleone di Colonia, o ibid., 3789 dello stesso anno per S. Maria di Waulsort). Dopo il 981 tali disposizioni si fecero più frequenti. Dei 14 privilegi di B. VII per chiese e monasteri tedeschi, 6 sono repliche di privilegi imperiali (cfr. l'elenco in L. Santifaller, Zur Geschichte des Ottonisch - Salischen Reichskirchensystem, in Österreichische Akademie der Wissenschaften, Phil.-Hist. Klasse, Sitzungsberichte, CCXXIX, 1, Wien 1964, p. 71) e testimoniano l'appoggio a un altro aspetto della riforma monastica: quello che poneva i monasteri direttamente in relazione con l'imperatore, il cui mundiburdium liassicurava da ingerenze vescovili o laiche.
L'affiancamento di impero e papato si espresse anche in questioni di maggior peso. Appena rientrati in Roma, nel marzo del 981, B. VII e Ottone II presiedettero insieme due sinodi: uno in Laterano, nel quale furono regolate questioni minori di possedimenti ecclesiastici (G. D. Mansi, Sacrorum concil. nova et ampliss. collectio, XIX, Venetiis 1774, col. 73); l'altro, più importante, in S. Pietro, in cui vennero rinnovate le disposizioni contro la simonia inaugurate, sotto Ottone I, da Benedetto VI; a testimoniare la comune volontà di purificare la Chiesa non soltanto nelle istituzioni monastiche, ma anche in quelle del clero secolare (Jaffé-Löwenfeld. 3804). Partito Ottone II da Roma per scendere nell'Italia meridionale a combattere Greci e Saraceni, le sue volontà rimasero operanti in Curia, manifestandosi nel sinodo lateranense dei 9 e 10 sett. 981, nel quale B. VII, aderendo alle richieste imperiali, soppresse il vescovato di Merseburg, dividendone il territorio tra le diocesi di Halberstadt, Zeitz e Meissen per permettere al vescovo di quella sede, Gisilher, cancelliere imperiale, di essere trasferito alla sede di Magdeburgo (ibid., 3808; cfr. Thietmari Chronicon, in Mon. Germ. Hist., Scriptores rerum Germanicarum, LIV, Hannoverae 1889, l. III, cc. 14., 15, pp. 55 ss.). Allo stesso Gisilher concesse più tardi il diritto dí nominare l'abbate nel monastero di Merseburg (Jaffé-Löwerifeld, 3820). Anche la politica meridionale di Ottone II ebbe appoggio da Benedetto VII. Sembra che a lui si debba ricondurre infatti la fondazione del vescovato di Trani, destinato ad essere un caposaldo contro i Bizantini, intaccando l'autorità dell'arcivescovo di Bari. loro sostenitore (P. F. Kehr, Italia pontificia, IX, Berolini 1962, p. 290. n. 1, con riferimenti alle discussioni sull'autenticità del breve).
Questi stretti legami con l'Impero furono rimproverati a B. VII da studiosi moderni (Baix), come ispirati da eccessiva condiscendenza. Ma anche a non parlare della inevitabilità di tale stretto legame, della volontà imperiale di controllare l'operato del papa (nel giudicato del 983, P. F. Kehr, Italia pontificia, II, p. 90, compaiono, ad esempio, Giriberto vescovo di Tortona e Pietro vescovo di Pavia "iussione imperatoria cura audiendi veritatem eo missi", in una questione di stretto interesse romano, quasi a riportare in auge le istituzioni della Constitutio lotariana dell'824), il risultato finale fu un innalzamento della sede romana nella considerazione di tutta l'Europa cristiana. Sotto B. VII divennero più frequenti le visite ad limina. Di Teodorico di Treviri si sa che era solito compiere frequenti viaggi a Roma e ne era lodato dal papa (Jaffé-Löwenfeld, 3779, 3780). Ma anche Milone, abbate di Flavigny, si recò a Roma per chiedere privilegi per il suo monastero (Series abbatum Flaviniacensium, in Mon. Gertn. Hist., Scriptores, VIII, Hannoverae 1848, p. 503); Elisiardo, vescovo di Parigi, ad limina Apostolorum ebbe da B. un diploma per i beni della sua Chiesa (Jaffé-Löwenfeld, 3809). Anche i laici si recavano più frequentemente a Roma con pie intenzioni: Rodgarius comes con la moglie chiesero al pontefice privilegi per S. Ilario di Carcassona (ibid., 3812); Teodaldus comes per la chiesa di S. Apollonio a Canossa (ibid., 3787). E molti altri, pur senza recarsi personalmente a Roma, sollecitarono dal pontefice la sistemazione dei loro interessi: così Gerardo vescovo di Autun (ibid., 3786), così Giovanni, abbate di S. Vincenzo al Volturno (ibid., 3810), così Arnoldo vescovo di Orléans (Neues Archiv, XI, p. 386); così, tra i laici, il conte Ugo Capeto (Jaffé-Löwenfeld, 3805). Manifestazioni di ossequio per la Sede apostolica giunsero, sotto B. VII, anche dalle chiese orientali. A Roma cercò rifugio Sergio, patriarca di Damasco, cacciato dalla sua sede dai Saraceni, e poté fondare un monastero e condurvi vita religiosa (cfr. l'epitaffio in C. Baronio, Annales Ecclesiastici, a. 977, XVI, Barri-Ducis 1869, p. 238);e Giacomo, prete di Cartagine, eletto nelle difficili condizioni in cui versavano i Cristiani d'africa, andò a Roma per ricevere la consacrazione dal papa. Episodio quest'ultimo, che sarà sfruttato, come testimonianza dell'universale considerazione in cui era tenuta Roma, contro gli attacchi di parte del clero francese al papato (cfr. Mon. Germ. Hist., Scriptores, III, Hannoverae 1839, p. 689).Gli stretti rapporti con l'impero non impedivano dunque al papa di riacquistare dignità e prestigio. Il pontificato di B. VII segnò, in questa ripresa, una tappa importante, anche se non caratterizzata da originalità inequivocabile.
Pontificò nove anni, quanti gliene sono assegnati concordemente dai cataloghi, morendo probabilmente il 10 luglio 983, pochi mesi dopo Ottone II (Liber pontificalis, II, p. LXX). Fusepolto nella chiesa di S. Croce in Gerusalemme, dove si conserva ancora un epitaffio di lui, la cui autenticità, sebbene contestata, non sembra negabile.
Fonti e Bibl.: Liber pontificalis, ac. di L. Duchesne, II, Paris 1895, pp. LXX, 256, 258; P. Jaffé-S. Löwenfeld, Regesta Pontif. Rom., I, Lipsiae 1885; Frammento di Ivrea, in L. Weiland, Zur Papstgeschichte des 10. Jahrunderts, in Nachrichten von der Akademie der Wissenschaften zu Göttingen, Phil. Hist. Klasse, 1885, pp. 69-72; F. Gregorovius, Storia della città di Roma nel Medio Evo, V, Roma 1940, pp. 253-258; A. Silvagni, Sull'autenticità dell'epitafio di B. VII, in Arch. della Soc. rom. di Storia Patria, XXXII (1909), pp. 449-460; H. K. Mann. The Lives of the Popes in the early middle ages, IV, London 1910, pp. 315-327; F. Baix, Benoît VII, in Dict. d'Hist. et de Géogr. Eccl., VIII, Paris 1934, coll. 43-61; F. X. Seppelt, Geschichte des Papsttums II. Das Papsttum im Frühmittelalter, Leipzig 1934, pp. 370 ss.; E. Amann-A. Dumas, L'Eglise au pouvoir des laiques (888-1057), in A. Fliche-V. Martin, Histoire do l'Eglise, VII, Paris 1934, pp. 61 s.; H. Zimmermann, Papstabsetzungen des Mittelalters. II. Die Zeit der Ottonen, in Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung, LXIX (1961), pp. 241-291.