Papa Francesco e la mistica popolare
La spiritualità di massa propugnata da papa Bergoglio segna un cambio di rotta della Chiesa, che per troppo tempo ha assunto un atteggiamento di superiorità e diffidenza verso di essa e le assegna, viceversa, un ruolo centrale nella «nuova evangelizzazione».
Tra pellegrinaggi dimessi e pellegrinaggi di massa, papa Francesco dimostra tutto il suo apprezzamento per la religiosità popolare che aveva elevato ai livelli della «mistica» sin dall’esortazione apostolica Evangelii gaudium, suo vero programma di pontificato.
Bergoglio continua a bacchettare quell’atteggiamento di superiorità e diffidenza con cui molti, anche dentro la Chiesa cattolica, hanno giudicato la devozione popolare e assegna a essa, viceversa, un ruolo centrale nella «nuova evangelizzazione». La sensibilità di papa Bergoglio per la pietà popolare si è dimostrata nel blitz compiuto nel pomeriggio del 4 gennaio 2016 al piccolo villaggio di Greccio, in provincia di Rieti, luogo in cui S. Francesco diede vita al presepe. La visita, organizzata in gran segreto e svolta in utilitaria, è stata definita «pellegrinaggio dimesso», ma è proprio la dimensione intima del gesto devoto del vescovo di Roma, rispecchiata e accresciuta dai tratti essenziali del luogo romito di Greccio, ad amplificare la forza del richiamo al rispetto e all’ascolto della pietà popolare.
Nel discorso rivolto ai partecipanti all’incontro internazionale degli operatori dei pellegrinaggi, che hanno celebrato a Roma il loro Giubileo il 21 gennaio, papa Francesco ha ricordato la «profonda spiritualità» vissuta dai fedeli nei santuari e l’ha accostata alla «pietà» che da secoli avrebbe plasmato la fede con devozioni semplici, ma molto significative. «È curioso – ha aggiunto poi a braccio il pontefice – che il beato Paolo VI nell’Evangelii nuntiandi parla di religiosità popolare, ma dice che è meglio dire pietà popolare. E poi l’episcopato latinoamericano nel documento di Aparecida fa un passo in più e parla di spiritualità popolare. I tre concetti sono validi, ma insieme». Sulla necessità di tenere insieme le dimensioni della pietà e della mistica popolare papa Francesco aveva molto insistito nella Evangelii gaudium, che si riallacciava esplicitamente al documento approvato il 31 maggio 2007 ad Aparecida dalla V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi, in cui Bergoglio, all’epoca arcivescovo di Buenos Aires e responsabile della redazione finale del testo, aveva svolto un ruolo di primo piano.
Sia il testo di Aparecida sia l’esortazione apostolica vincolano intimamente la «pietà popolare» e la «mistica popolare», ritenute spesso molto diverse: meramente esteriore e praticata dalla massa dei devoti la pietà popolare, essenzialmente interiore e riservata a una cerchia ristretta di eletti la mistica. Ebbene, nella prospettiva di papa Francesco, la «pietà popolare» possiede una profondità «mistica» che raggiunge l’intimo dei suoi fedeli, grazie all’azione primaria dello Spirito Santo. A sua volta la «mistica» non soltanto si radica con Dio nel cuore dell’uomo, ma lo conduce anche a trasformare il mondo in cui egli è inserito. Andare pellegrini ai santuari è dunque per papa Francesco una delle espressioni più eloquenti della fede del popolo di Dio e manifesta la pietà di generazioni di persone.
In questa prospettiva appare meno singolare che il pontefice gesuita abbia individuato in padre Pio da Pietrelcina, le cui spoglie sono giunte a Roma il 3 febbraio grazie a un piano di sicurezza che ha previsto le stesse misure di protezione assicurate ai capi di Stato di alto rango, la figura chiave dell’Anno Santo. La scelta, da parte di Bergoglio, del santo pugliese, il cui fenomeno religioso era stato definito dal papa del Concilio, Giovanni XXIII, «dolorosa e vastissima infatuazione religiosa», «disastro di anime, diabolicamente preparato», non ha mancato di stupire. Qualcuno l’ha ricondotta alla necessità di dare slancio, con un evento di sicuro successo mediatico, a un Anno Santo partito un po’ in sordina, tra il timore dei fedeli per la paura di attentati terroristici e la scelta di papa Francesco di un Giubileo decentrato, da celebrare in ogni cattedrale del mondo, a partire da quella di Bangui, nella Repubblica Centrafricana, dove il papa il 29 novembre 2015 ha aperto la porta santa del Giubileo della Misericordia della Chiesa universale in anticipo sulla data ufficiale dell’8 dicembre, che ha dato l’avvio all’anno giubilare nel mondo intero.
Di padre Pio, le cui spoglie hanno effettivamente richiamato a Roma migliaia di pellegrini, Bergoglio ha messo in luce le caratteristiche centrali nella visione che il papa ha della Chiesa: la «pietà popolare» e il fatto che fosse un «confessore infaticabile», testimone di quella «misericordia» al centro dell’Anno Santo e, per Francesco, della vita cristiana.
Altro elemento rilevante della pietà popolare omaggiata e promossa da papa Francesco è rappresentato dalla devozione mariana. La messa celebrata il 13 febbraio nel santuario della Madonna di Guadalupe, il più grande santuario mariano al mondo, visitato ogni anno da 20 milioni di pellegrini, è stata, a detta dello stesso Bergoglio, «il baricentro spirituale» del viaggio apostolico in Messico (12-18 febbraio 2016). Primo vescovo di Roma nato in America Latina, Francesco ha pregato laddove, secondo la tradizione, si ritiene che la Virgen Morenita sia apparsa nel dicembre 1531 all’indio veggente Juan Diego, proclamato santo da Giovanni Paolo II nel 2002. La devozione mariana ha collegato idealmente il viaggio in Messico ai pellegrinaggi fatti da papa Francesco nei mesi immediatamente precedenti a Cuba e negli Stati Uniti: la Madonna del Cobre a Cuba, l’Immacolata Concezione a Washington, la Madonna di Guadalupe patrona e regina di tutti i popoli di lingua spagnola e del continente americano in particolare. La cosa importante – ha affermato il direttore di Civiltà cattolica padre Antonio Spadaro – «è il modo in cui il papa vede la Madonna di Guadalupe: è che in lei, anzi, nei suoi occhi, vede riflesso il popolo.
Cioè, il popolo si riflette negli occhi della Madonna».
Tale visione trova la propria base teoretica nella cosiddetta ‘teologia del popolo’, messa a punto, tra gli altri, da Rafael Tello, consulente dei vescovi argentini tra il 1966 e il 1973 e consigliere del Movimiento de sacerdotes para el Tercer mundo e dei sacerdoti delle baraccopoli di Buenos Aires, sulla cui riflessione teologica è uscita di recente in Italia una importante monografia del teologo argentino Ciro Enrique Bianchi (Introduzione alla teologia del popolo. Profilo spirituale e teologico di Rafael Tello) con la prefazione di Jorge Mario Bergoglio. Era stato infatti Bergoglio a riabilitare Tello, in precedenza sospeso a divinis e privato dell’insegnamento da uno dei vescovi suoi predecessori.
Ebbene, nella prefazione Bergoglio afferma che la pietà popolare «non è la Cenerentola della casa». Non sono quelli che non capiscono, quelli che non sanno. Il papa punta il dito contro chi dice: «Quelli dobbiamo educarli». È, secondo Bergoglio, il fantasma dell’Illuminismo, del riduzionismo ideologico-nominalista che allontanerebbe i pastori dalla realtà concreta. La Chiesa, secondo Francesco, è invece chiamata a compiere una «opzione preferenziale per i poveri», che deve spingere a conoscere e ad apprezzare «le loro maniere culturali di vivere il Vangelo».
In quest’ottica la devozione popolare ha una portata anti borghese, ma rappresenta anche un invito, rivolto ai cattolici e in primis ai chierici, a mettersi nei panni e a disposizione di chi è ai margini della società, e a svestire quelli dei funzionari di Stato. Quest’anno, in particolare, l’attenzione del papa è stata rivolta all’emergenza dei profughi, tema su cui ha voluto richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale recandosi a Lesbo. Nel discorso al porto di Mitilene, Francesco ha incardinato il dovere dell’accoglienza al rispetto dei diritti umani partorito dalla «Patria Europa». Un’Europa – ha affermato nell’intervista al quotidiano cattolico francese La Croix il 16 maggio – che ha «radici al plurale»: dunque un’Europa laica e multiculturale, ma, pena la sua decadenza, un’Europa «dei popoli».
Il pellegrinaggio alle sue origini
La pratica devozionale del pellegrinaggio, consistente nel recarsi, da soli o in gruppo, in un luogo sacro, prevalentemente a scopo votivo o penitenziale, è tipica del cristianesimo occidentale, anche se si tratta di un orientamento dello spirito religioso comune a una maggioranza di culture, sia per quel che concerne le sue motivazioni sia per quanto attiene alle sue manifestazioni. Le destinazioni finali di questi viaggi religiosi si ricollegavano a 3 tipologie principali: luoghi segnati da una presenza sovrannaturale, luoghi storici di carattere sacro e, infine, luoghi consacrati al culto dei corpi santi, che racchiudevano particole di eternità, e dove si operavano miracoli. La storia, consacrando i luoghi dove si è svolta la vicenda terrena di Gesù Cristo, e il pellegrinaggio in Terra Santa, in particolare a Gerusalemme, cominciò a costituire un fenomeno organizzato già ai tempi del trionfo del cristianesimo nell’Impero romano.
I pellegrinaggi al monte Gargano e a Mont Saint-Michel erano in relazione con apparizioni dell’arcangelo Michele. Tuttavia, la maggior parte dei pellegrinaggi era legata a tombe di santi, alla presenza di reliquie e ai miracoli che da esse ci si attendeva: a Gerusalemme si venerava la tomba di Cristo, a Roma quelle degli apostoli Pietro e Paolo; la scoperta del corpo dell’apostolo Giacomo attrasse verso la Galizia folle immense.
Fenomeno religioso nella sua essenza, e come tale riconosciuto, il pellegrinaggio ebbe implicazioni economiche, politiche e sociali, ma anche artistiche, in particolare allorché esso divenne un fenomeno di massa. La comparsa dei pellegrinaggi di massa nell’Europa occidentale dei secoli 11° e 12° trasse origine dall’estrema mobilità che caratterizzò in quest’epoca la società nel suo insieme. L’espansione demografica comportò un movimento di colonizzazione verso l’interno e un processo di espansione verso l’esterno, di cui le crociate furono solo uno degli aspetti più spettacolari. Il potere civile e le istituzioni religiose congiunsero i propri sforzi per facilitare le comunicazioni attraverso la manutenzione delle strade e lo sviluppo di un sistema di punti di sosta. Ancora più importante, per i viaggiatori in generale e per i pellegrini in particolare, si rivelò l’adozione in loro favore di specifiche misure di protezione, di carattere giuridico e di portata internazionale.
Nostra Signora di Guadalupe
Tra il 9 e il 12 dicembre del 1531, sulla collina del Tepeyac a nord di Città del Messico, la Vergine Maria, secondo la tradizione, sarebbe apparsa più volte a un azteco convertito al cristianesimo. Nel luogo fu subito eretta una cappella, sostituita nel 1557 da una più capiente, e nel 1622 fu costruito un grande santuario. Nel 1976 è stata inaugurata l’attuale basilica di Nostra Signora di Guadalupe.
Nel santuario è conservato il mantello di Juan Diego, l’atzeco, sul quale è raffigurata l’immagine di Maria: esso è costituito da 2 teli di ayate – un rozzo tessuto di fibre d’agave, usato in Messico dagli indios poveri per fabbricare abiti – cuciti insieme con filo sottile. L’immagine di Maria è di 143 centimetri e per la carnagione un po’ scura viene definita Virgen Morena o Morenita. Dal 1666 a oggi decine sono stati gli studi sulla immagine e sul tessuto, ma solo ai nostri giorni, grazie alle tecniche digitali, è stato possibile accertare una caratteristica sorprendente: negli occhi della Vergine, che non hanno più di 8 millimetri di diametro, sono presenti altre microscopiche scene che ricondurrebbero alla stessa apparizione, come se la Madonna le avesse viste e impresse nei propri occhi. Appaiono dunque valide le considerazioni fatte dal pittore Miguel Cabrera e dai suoi colleghi che per primi nel 1666 studiarono l’immagine: non è un dipinto, apparendo i colori come ‘incorporati’ alla trama della tela, e non soltanto una pittura, visto che lo stesso tessuto dell’ayate avrebbe dovuto disgregarsi in breve tempo nelle condizioni climatiche della radura ai piedi del Tepeyac.
Greccio
Il santuario del Presepe, a circa 2 km dal borgo di Greccio e a 15 da Rieti, è il luogo nel quale S. Francesco, nella notte del Natale del 1223, rappresentò con personaggi viventi per la prima volta la Natività di Gesù. Si tratta di un complesso di costruzioni il cui nucleo primitivo risale agli anni in cui vi dimorò il ‘poverello di Assisi’ e che ha cuore e centro nella grotta in cui fu realizzato l’evento: lì furono in seguito costruiti una cappella dedicata a S. Luca e, sul masso che servì da mangiatoia, un piccolo altare. Sopra di esso è presente un affresco del Quattrocento di scuola tardo giottesca che rappresenta, a destra, la Natività di Betlemme e, a sinistra, il Presepe di Greccio. Questo santuario è uno dei 4 eretti da S. Francesco nella cosiddetta Valle Santa, insieme al santuario di Fonte Colombo, al santuario della Foresta e al santuario di Poggio Bustone.