Vedi Papa Francesco e le periferie del mondo dell'anno: 2015 - 2016
La sera della sua elezione, il 13 marzo 2013, il cardinale argentino Jorge Bergoglio si presentò alla folla come un Papa ‘periferico’, scelto «quasi alla fine del mondo». Il tema delle ‘periferie’ è poi effettivamente divenuto uno dei motivi conduttori del suo Pontificato. Si tratta tuttavia di una metafora che va ben oltre una banale accezione geopolitica, vale a dire un riferimento, generico e impreciso, al ‘Sud del mondo’. Ben più profondamente, secondo il Papa, la Chiesa deve «uscire da se stessa» e «andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali»; altrimenti essa rischia una strutturale sconnessione dai processi, ambivalenti e contraddittori, che caratterizzano l’età globale.
Questa ‘uscita’ dal centro ha delle implicazioni ermeneutiche fondamentali, poiché permette di re-interpretare la stessa globalizzazione da una prospettiva non egemonica. Dietro le quinte della storia ufficiale della modernizzazione c’è una narrazione alternativa ed esperienziale delle vicende umane e sociali, che consente di comprendere la fenomenologia e le cause della marginalità. La Chiesa, come comunità di credenti, deve avere «la capacità di curare le ferite», in una dimensione di vicinanza, di prossimità.
Sarebbe tuttavia superficiale voler rintracciare le radici del discorso di Francesco sulle periferie in alcuni antecedenti tipicamente latino-americani, e in particolare nella teoria della dependencia elaborata, negli anni Settanta e Ottanta del Novecento, da intellettuali come Andre Gunder Frank, Samir Amin, Fernando Henrique Cardoso. Per tali autori, il sottosviluppo è causato da una divisione del lavoro globale governata dai paesi industrializzati, che assegna al ‘terzo mondo’ il ruolo di riserva di prodotti di base (agricoli, forestali, estrattivi), tagliandolo fuori dal circuito dell’innovazione e della diversificazione.
Analogamente, solo apparente è la risonanza del concetto di periferia in Papa Francesco con la teoria di Immanuel Wallerstein dell’‘economia-mondo’, che suddivide il globo in aree centrali, semi-periferiche e periferiche; le crescenti tensioni che ne derivano producono instabilità politica e sociale, causando una crisi globale e un cambiamento rivoluzionario.
La visione delle periferie di Francesco è più ampia e forse più realistica. Da una parte, la periferia non è solo una realtà economica e storica, assumendo anche momento che essa implica anche una caratterizzazione simbolica nella distribuzione del potere mondiale; dall’altra, essa è un’anomalia strutturale nella prospettiva integrativa del mondo, che non viene riassorbita dal processo globale, rischiando anzi di solidificarsi e di rendere permanenti le condizioni di esclusione e di marginalizzazione di buona parte della popolazione mondiale.
Più vicina alla concettualizzazione di Bergoglio è la categoria dell’espulsione, così come articolata da Saskia Sassen. Si tratta di una pluralità di situazioni quali l’impoverimento della classe media nei paesi ricchi, lo sfratto di milioni di piccoli agricoltori nei paesi poveri a causa dell’acquisto massiccio di terra da parte di investitori stranieri, le pratiche industriali distruttive della biosfera, l’aumento della popolazione carceraria nei paesi occidentali come metodo di gestione del ‘surplus sociale’, il moltiplicarsi di campi profughi. Per Sassen, l’espulsione di massa che è in atto su vasta scala segnala una trasformazione sistemica del capitalismo globale.
Ciò posto, va precisato che la visione di Papa Francesco non è dicotomica o dialettizzante, come nelle concezioni neo-marxiste delle contraddizioni del capitalismo globale; e non è nemmeno omologante come nella globalizzazione liberale. Bergoglio concepisce il mondo nei termini di quello che potrebbe essere definito come pluralismo connettivo: «Il modello – si legge nella ‘Evangelii Gaudium’ - non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità».
Da questo punto di vista, si potrebbe dire che Bergoglio ha ‘de-colonizzato’ il concetto di periferia.