GIOVANNI IV, papa
Non conosciamo la sua data di nascita, ma sappiamo che era originario della Dalmazia. Nel Liber pontificalis suo padre Venanzio è ricordato come "scholasticus", ossia un funzionario che aiutava l'esarca soprattutto in materia di diritto.
G. fu eletto papa nell'agosto 640 (come successore di Severino morto da poco) e consacrato il successivo 24 dicembre. L'appartenenza di suo padre all'amministrazione bizantina fa ipotizzare che l'esarca Isacio avesse influenzato l'elezione pontificia, confidando che il figlio di un funzionario bizantino si sarebbe dimostrato malleabile di fronte alla spinosa questione riguardante il monotelismo.
Nel 638 l'imperatore Eraclio, cercando di ristabilire l'unità religiosa dell'Impero bizantino, aveva infatti pubblicato l'Ekthesis, un editto nel quale si sosteneva la dottrina monotelita e che provocò un'accesa opposizione in Occidente e in particolar modo da parte del papa.
G. però non si dimostrò compiacente su questo tema e nel 641 convocò un concilio nel quale si stabilì che il monotelismo era contro l'ortodossia. L'assenza di una chiara condanna dei fautori di questa dottrina tuttavia fece sì che non si giungesse alla rottura aperta con Costantinopoli.
G. fu indotto a rimanere fermo nel suo atteggiamento dal fatto che l'imperatore Eraclio, il quale aveva promulgato l'Ekthesis più per motivi politici che per sue convinzioni religiose, gli aveva scritto una lettera nella quale il sovrano affermava che l'Ekthesis non era sua, né egli l'aveva mai fatta pubblicare, ma che era stata scritta dal patriarca Sergio cinque anni prima del ritorno dall'Anatolia dell'imperatore il quale, su richiesta del patriarca, la aveva firmata; ora, però, avendo constatato che essa era oggetto di dispute, ribadiva che non era opera sua. Di questa lettera rimane solamente un frammento citato negli atti del processo di s. Massimo il Confessore, il quale aggiunge che si tratta dell'editto che Eraclio inviò al papa per condannare l'Ekthesis.
Non abbiamo il testo dell'editto e non si è sicuri che l'imperatore Eraclio l'avesse realmente inviato, però recentemente è stato trovato in un manoscritto del IX-X secolo un frammento che afferma di essere una copia dell'editto di Eraclio inviato a G. nel quale l'imperatore, per sottolineare la sua ortodossia, faceva riferimento a un'iscrizione che alcuni anni prima aveva posto sotto un'icona di Cristo. Il tono del frammento tuttavia indica chiaramente che il sovrano si era pentito del suo provvedimento; solamente la sua morte (11 febbr. 641) impedì che si giungesse a una completa soluzione del problema. La grave crisi che stava attraversando l'Impero bizantino, scosso dalla lotta tra gli eredi di Eraclio e dalla definitiva perdita a opera dei musulmani di gran parte delle province orientali dell'Impero, spinse G. a non retrocedere dalle sue convinzioni.
In occasione della presa di posizione del patriarca di Costantinopoli Pirro (638-641), il quale, per fare approvare l'editto in Occidente, sostenne che papa Onorio (625-638) l'aveva accettato, G. scrisse una lunga lettera all'imperatore nella quale sottolineava che tutto l'Occidente era rimasto scandalizzato e turbato dall'interpretazione che il patriarca Pirro aveva fatto degli scritti di Onorio, il quale non aveva mai sostenuto tesi che potessero giustificare il monotelismo. G., rimarcando la sua disapprovazione per il fatto che un suo predecessore fosse stato accostato a simili posizioni, affermò che se Onorio aveva menzionato l'esistenza di un'unica volontà presente in Cristo, l'aveva fatto riferendosi solamente alla sua volontà umana, che credeva non fosse preda dei conflitti di solito presenti negli uomini a causa del peccato originale. Il pontefice inoltre chiese che l'Ekthesis fosse tolta da tutti i luoghi nei quali era stata esposta e che venisse distrutta. La risposta conciliante che ricevette - in linea con le posizioni del nuovo patriarca di Costantinopoli, Paolo II (641-653), che aveva sostituito l'intransigente Pirro, costretto ad abbandonare la sua carica e a fuggire nell'Africa settentrionale - fa rilevare che, ormai, alla corte imperiale si era indirizzati verso il dialogo.
L'intransigenza di G. di fronte alle questioni dottrinali sembra potersi rilevare anche da una lettera inviata al clero irlandese durante il periodo di interregno precedente alla sua elezione, alla cui composizione egli - allora arcidiacono - partecipò quasi sicuramente. In essa si rispondeva ad alcuni quesiti indirizzati a papa Severino, che nel frattempo era morto. Gli ecclesiastici irlandesi erano severamente ammoniti - nella lettera il vocabolo eresia è utilizzato numerose volte - a non celebrare più la Pasqua nel medesimo giorno di quella ebraica e quindi ad attenersi all'uso romano; venivano inoltre invitati ad abbandonare alcune posizioni vicine al pelagianesimo, dottrina condannata dalla Chiesa da oltre 200 anni; in particolar modo si faceva loro osservare che era blasfemo e stolto sostenere che gli uomini erano nati senza il peccato originale.
G. non dimenticò mai la sua terra d'origine e inviò in Dalmazia e in Istria l'abate Martino con una grossa somma di denaro destinata alla liberazione dei suoi compatrioti fatti prigionieri dagli Slavi e dagli Avari. Fece inoltre portare dalla Dalmazia e dall'Istria le reliquie dei ss. Venanzio, Anastasio, Mauro e di molti altri che fece porre in una cappella fatta da lui erigere nei pressi del battistero di S. Giovanni in Fonte e dell'oratorio di S. Giovanni Evangelista, dedicata a S. Venanzio - santo probabilmente a lui caro anche perché aveva lo stesso nome di suo padre - che fece decorare con un mosaico e arricchire con molti oggetti preziosi. Durante il suo pontificato ordinò diciotto vescovi, diciannove preti e cinque diaconi.
G. morì il 12 ott. 642 e fu sepolto in S. Pietro a Roma.
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