GIOVANNI VII, papa
La data della sua nascita è sconosciuta, ma sappiamo che era originario della Grecia e che il nome di suo padre era Platone e sua madre si chiamava Blatta. Giovanni, prima di diventare papa, dedicò ai suoi genitori un epitaffio - suo padre morì il 7 nov. 686, la madre l'anno successivo - che si conservò nella chiesa romana di S. Anastasia fino al XV secolo. Questa testimonianza è preziosa, perché ci rivela che Platone era un funzionario dell'amministrazione bizantina; era infatti addetto alla "cura Palatii urbis Romae", ossia presiedeva al restauro dell'antico palazzo imperiale sul Palatino, diventato la residenza del luogotenente dell'esarca, opera per la quale G. glorificò il padre e che rappresentò l'incarico più prestigioso di Platone, il quale doveva essere specializzato in tale tipo di lavoro, poiché si afferma che in precedenza egli aveva diretto i restauri di altri palazzi.
L'epitaffio inoltre indica che G. nel 687 aveva avuto l'incarico di rettore del patrimonio della via Appia; egli è quindi un altro papa di origine orientale del quale abbiamo la prova che, prima di essere eletto papa, prestò a lungo servizio presso la Chiesa di Roma. Anche nel suo caso non si può perciò affermare che egli fu uno dei pontefici del periodo che è stato definito della "cattività bizantina" del Papato, durante il quale una lunga serie di papi di provenienza orientale sarebbero stati eletti su pressione degli imperatori bizantini per assecondare la loro politica religiosa.
G. fu eletto papa il 1º marzo 705.
A differenza di quanto era avvenuto durante il pontificato del suo predecessore - quando il duca longobardo di Benevento Gisulfo si era impadronito di varie località del Lazio meridionale ed era arrivato con le sue truppe fino quasi a Roma - i Longobardi ebbero con lui buoni rapporti. Il duca di Spoleto Faroaldo (II) chiese al pontefice di accettare le sue donazioni al monastero di S. Maria di Farfa - fondato dal franco Tommaso col beneplacito di Faroaldo -, segno evidente di quanta importanza avesse per il duca di Spoleto l'assenso del papa. L'evento che però evidenzia meglio di tutti il buono stato dei rapporti tra Roma e i Longobardi è senza dubbio costituito dalla concessione da parte del re dei Longobardi Ariperto II di un diploma che riconosceva alla Chiesa di Roma la proprietà del patrimonio delle Alpi Cozie, del quale si era impadronito Rotari circa sessant'anni prima in occasione della sua conquista della Liguria. Significativo è il fatto che il diploma, anche se aveva la forma di una donazione di re Ariperto II, decretava in realtà il ripristino dei diritti del precedente proprietario e quindi riconosceva implicitamente che questi territori erano stati sottratti dai Longobardi.
Non altrettanto sereni furono invece i rapporti con Costantinopoli, dove nel 705 l'imperatore Giustiniano II si era reimpadronito del potere perso dieci anni prima. Il sovrano si vendicò duramente dei suoi avversari, tra i quali il patriarca di Costantinopoli Callinico, che aveva appoggiato l'usurpatore Leonzio. Callinico fu deposto, accecato e mandato a Roma, probabilmente per dimostrare quale era la fine di quelli che osavano opporsi all'imperatore. Il messaggio era rivolto sia al pontefice sia alle truppe dell'Italia bizantina che in più occasioni si erano opposte con le armi agli inviati dell'imperatore.
All'arrivo di Callinico seguì quello di due vescovi, mandati dall'imperatore, che avevano con loro gli atti del concilio conosciuto come Quinisesto o "in Trullo", tenutosi nel 691-692, nel quale erano stati promulgati una serie di canoni che si basavano sulle tradizioni della cristianità orientale e che avrebbero dovuto essere validi per tutti i cristiani. Papa Sergio (687-701) si era fermamente opposto alle decisioni prese da quel concilio e l'imperatore non era riuscito a farlo punire a causa di una sommossa delle truppe di Ravenna e della Pentapoli e della sua successiva deposizione. Ora Giustiniano II tornava nuovamente alla carica e chiedeva che G. riunisse un concilio per indicare quali canoni la Chiesa di Roma accettava e quali respingeva.
Non conosciamo i risultati di questo sinodo, ma la risposta del papa dovette essere abbastanza in linea con le richieste imperiali, poiché il suo biografo nel Liber pontificalis osserva criticamente che il papa, spaventato a causa della sua umana debolezza, rimandò gli stessi atti senza alcuna correzione. Ciò ha indotto molti storici ad annoverare G. tra i papi che non seppero resistere alle richieste degli imperatori in materia di religione.
L'atteggiamento remissivo del papa ha fatto sospettare che alcuni affreschi della chiesa romana di S. Maria Antiqua da lui commissionati rappresentassero un suo ulteriore adeguamento alla politica religiosa dell'imperatore. La grande composizione posta nella parte superiore del muro absidale raffigura una grandissima crocifissione ai cui lati si trovano una folla di persone, un'iscrizione con frasi bibliche, angeli e serafini. È stato ipotizzato che ciò raffigurerebbe una trasposizione dell'Adorazione dell'Agnello motivata dal canone 82 del concilio Quinisesto, che vietava la rappresentazione di Cristo sotto la forma di un agnello.
Questa interpretazione è stata in seguito contestata da Sansterre, il quale ha invece fatto notare che al di sotto di questa composizione si possono vedere dipinti quattro papi - a sinistra G. e Leone I, a destra un papa del quale non si conosce il nome e Martino I -, quattro Padri della Chiesa - a sinistra s. Agostino e una figura distrutta, a destra s. Gregorio Nazianzeno e s. Basilio - che tengono un rotolo contenente una parte delle loro opere citata negli atti del concilio del Laterano (649) nel quale si condannò il monotelismo. Un riferimento all'opposizione alle ingerenze imperiali in materia di religione è evidenziato anche dalla presenza di papa Martino; questi, infatti, fu arrestato, giudicato a Costantinopoli e inviato in esilio in Crimea con l'accusa di avere avuto un ruolo importante nella rivolta contro l'esarca Olimpio, ma il vero motivo consisteva nella sua decisa condanna della politica religiosa dell'imperatore favorevole al monotelismo. Sansterre inoltre ipotizza che il pontefice vicino a Martino I fosse Agatone, papa durante il VI sinodo ecumenico che vide la vittoria delle posizioni romane e il ritorno della concordia tra Roma e Costantinopoli.
Un'altra rivendicazione del primato di Roma sembra essere attestata da alcuni mosaici, i quali decoravano la cappella dedicata a Maria che G. fece costruire in S. Pietro e dove fece porre la propria tomba; di essi si possiedono solamente alcuni frammenti, ma disegni risalenti al XVII secolo mostrano l'esistenza di due cicli, uno dedicato a Cristo, l'altro a s. Pietro. Quest'ultimo raffigura la sua predicazione a Gerusalemme, Antiochia e Roma, la sua lotta con Simon Mago e il suo martirio; nelle immagini in cui predica, l'apostolo è insolitamente molto più grande rispetto a coloro che lo ascoltano in ginocchio. Tutto ciò induce a ritenere che si desiderasse magnificare il primato di Pietro, e quindi del papa, visto che l'apostolo era stato il primo vescovo di Roma, sia in Oriente, sia in Occidente.
G. morì a Roma il 18 ott. 707.
Fin dalla fine del V secolo i pontefici, imitando l'esempio di papa Leone I, si erano fatti seppellire nella basilica di S. Pietro, però G., a differenza dei suoi predecessori che si erano accontentati di una modesta tomba, fu il primo a farsi inumare in un oratorio costruito appositamente, sottolineando così fortemente la continuità apostolica e il suo legame con Leone I che era considerato allora come il modello perfetto del primato papale e che G. aveva fatto ritrarre nella chiesa di S. Maria Antiqua. Non è inoltre da escludere che anche la sua decisione di fare costruire un nuovo palazzo sul Palatino, dove una volta si trovava il palazzo imperiale, riflettesse il medesimo intento.
Il pontefice, temendo probabilmente che il clima di buoni rapporti con i Longobardi potesse cambiare se fosse avvenuta una brusca rottura tra Roma e Costantinopoli, decise di acconsentire esteriormente alle richieste dell'autoritario imperatore Giustiniano II, dimostrando però in varie maniere quale era la sua vera posizione.
Oltre alle suddette costruzioni, G. ordinò di restaurare la semidistrutta chiesa di S. Eugenia e di riparare i cimiteri dei ss. Marcelliano e Marco e di papa Damaso. La sua attenzione per l'arte è testimoniata anche dagli affreschi che fece eseguire in numerose chiese, nei quali, come osserva un po' ironicamente il suo biografo, molto spesso era ritratta anche la sua effigie.
Una prova del suo attivismo è rappresentata anche dal fatto che nel suo breve pontificato ordinò diciotto vescovi.
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