GIOVANNI XVII, papa
Il suo nome era Giovanni ed era soprannominato Sicco. Non si conosce quasi nulla delle sue origini e della sua vita prima dell'ascesa al soglio pontificio nel 1003, anche se un catalogo della fine dell'XI secolo lo dichiara figlio di un non meglio identificato Giovanni (Liber pontificalis, p. 265, testo corrispondente all'abbreviazione Est.). Si sa solo che era romano, probabilmente della Biberatica, l'area della città compresa tra la colonna di Traiano e la basilica dei Ss. Apostoli.
Riguardo alla regio di provenienza va tuttavia segnalata un'informazione diversa, contenuta nel Martirologio di S. Maria in Trastevere (Londra, British Library, Add. Mss. 14801). Un catalogo di pontefici inserito, negli anni immediatamente precedenti il 1120, alle cc. 208v-211r attesta come area di residenza di G. prima del pontificato una "regio Sancti Clementis" (cfr. Catalogus pontificum, p. 84), cioè, presumibilmente, in quanto una regio di tale denominazione non risulta altrimenti attestata, l'area circostante l'omonima basilica alle pendici del Celio. Si deve però aggiungere che il catalogo, altrove molto dettagliato, risulta qui scarsamente attendibile perché, in disaccordo con ogni altra fonte, indica per il pontificato di G. una durata di soli trenta giorni.
Con ogni probabilità G. dovette la sua elezione, avvenuta verosimilmente il 16 maggio 1003, pochi giorni dopo la scomparsa di Silvestro II (12 maggio) a Giovanni di Crescenzio, figlio di Crescenzio Nomentano, che dopo la morte (1002) senza eredi dell'imperatore Ottone III esercitava, con il titolo di patricius Romanorum, grande influenza sulle vicende romane.
A Roma, a partire almeno dagli anni Sessanta del X secolo, aveva cominciato a delinearsi un sistema di potere basato sulla strettissima comunanza di interessi tra la potente consorteria familiare dei Crescenzi e il Papato, che sarebbe sopravvissuto per un cinquantennio. Da un lato, l'esercizio di questa autorità si fondava sul controllo della Sede apostolica, visto che i Crescenzi riuscirono spesso a destinarvi un proprio candidato. Dall'altro, forti del sostegno di ampi settori dell'aristocrazia e della burocrazia cittadine, i personaggi che si succedettero alla guida della famiglia attinsero al repertorio politico e ideologico dei secoli precedenti, titolandosi di volta in volta senator, praefectus, patricius. Tuttavia essi, almeno inizialmente, non rispolverarono quella tradizione per dare consistenza a una supremazia alternativa al Papato. La politica dei Crescenzi non sembra cioè essere stata quella di controllare la Sede apostolica per soffocarne le ambizioni e piegarle alle proprie mire di dominio. Piuttosto, essi tentarono di coordinare le loro strategie con le attitudini, e la legittimità, del Papato, nell'ambito di una complessiva azione di governo sulla città e sul territorio a essa circostante. Naturalmente la coesistenza, nello scenario politico-sociale di Roma, di un potere apostolico vitale, e per questo ambìto, e di una robusta dinastia laica avvenne non senza contrasti e incertezze.
Anche se è difficile dire se G. fosse legato da vincoli familiari con i Crescenzi, egli doveva comunque provenire dal ceto eminente cittadino. Nella chiesa di S. Agata, ancora nei primi anni del XVI secolo, sopravviveva una lunga epigrafe dedicatoria, fatta eseguire nel 1040 da tre fratelli e oggi scomparsa. I personaggi in questione dovevano essere tutti di alto livello sociale: si trattava infatti di Giovanni vescovo di Palestrina, Pietro diacono e Andrea "secundicerius" (cioè un alto funzionario del Laterano). Nell'epigrafe essi enfatizzarono orgogliosamente il loro legame famigliare con G., definendosi "avi cretos Siconis sanguine papae" (cfr. de Rossi).
È inoltre molto probabile che, pur nella brevità del suo regno, il pontefice abbia sempre agito in buona armonia con Giovanni di Crescenzio. L'affermazione di Thietmar di Merseburg, secondo il quale i pontefici di questi anni sarebbero stati costretti dai Crescenzi a mostrare nei confronti dei sovrani tedeschi un'animosità che essi non sentivano realmente, è troppo generica per poter essere riferita anche a G., anche se è stata ancora recepita dalla recente letteratura storica (cfr. Kelley). In ogni modo, della sua attività alla guida della Chiesa di Roma non rimangono praticamente tracce. Anche riguardo al sostegno che egli avrebbe accordato alla missione in Polonia e all'evangelizzazione degli Slavi la situazione documentaria induce a una certa cautela. L'autorizzazione che il pontefice avrebbe accordato al missionario polacco Benedetto e ai suoi compagni sarebbe attestata, infatti, dal racconto di Bruno di Querfurt. Tuttavia l'identificazione di Giovanni con il papa in questione è del tutto congetturale, e basata su una cronologia degli eventi affatto ipotetica.
G. morì il 6 nov. 1003 e fu probabilmente sepolto in Laterano.
Intorno al 1170, Giovanni diacono segnalò infatti l'esistenza della sua tomba tra i due portali della facciata principale, riportando inoltre i primi due versi dell'epigrafe funeraria: "Cernitur hic tumulus qui praesul dicitur esse / summi Iohannis, sic quoque [da correggere probabilmente in Sicquoque con allusione all'appellativo di G.] dictus erat" (col. 1552). La notizia che egli sarebbe stato avvelenato, vittima quindi di intrighi di Curia, non pare molto credibile, visto che è contenuta unicamente in un libello di età gregoriana, caratterizzato da toni di accesa polemica antipapale (cfr. Benonis epistolae duae, p. 377).
Fonti e Bibl.: Catalogus pontificum Romanorum et imperatorum, a cura di G. Waitz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XXIV, Hannoverae 1879, pp. 81-85; Bruno Querfurtensis, Vita quinque fratrum eremitarum martyrum in Polonia, a cura di R. Kade, ibid., XV, 2, ibid. 1888, ad indicem; Thietmarus episcopus Merserburgensis, Chronicon, a cura di F. Kurze, Ibid., Scriptores rer. Germanicarum in usum scholarum, CIV, ibid. 1889, ad indicem; Beno, Epistolae duae, in Benonis aliorumque cardinaliumschismaticorum contra Gregorium VII et Urbanum II scripta, a cura di K. Francke, Ibid., Libelli de lite imperatorum et pontificum saec. XI et XII conscripti, II, ibid. 1892, p. 377; Iohannes diaconus Romanus, Liber de sanctis sanctorum, in J.-P. Migne, Patr. Lat., CXCIV, col. 1552; Ph. Jaffé, Regesta pontificum Romanorum, a cura di S. Löwenfeld, I, Lipsiae 1885, p. 501; Inscriptiones Christianae urbis Romae septimo saeculo antiquiores, a cura di G.B. de Rossi, II, 1, Romae 1888, p. 439; Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, II, Paris 1892, p. 265; J.F. Böhmer, Regesta Imperii, II, 5, Papstregesten 911-1024, a cura di H. Zimmermann, Wien-Köln-Graz 1969, nn. 975-979; R. Poupardin, Note sur la chronologie du pontificat de Jean XVII, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, XXI (1901), pp. 387-390; W. Kölmel, Rom und der Kirchenstaat im 10. und 11. Jahrhundert bis in die Anfänge der Reform, Berlin 1935, pp. 43 s.; P. Brezzi, Roma e l'Impero medioevale, Bologna 1947, p. 185; H. Zimmermann, Papstabsetzungen des Mittelalters, Graz-Wien-Köln 1968, pp. 115-117; P. Toubert, Les structures du Latium médiéval. Le Latium méridional et la Sabine du IXesiècle à la fin du XIIe siècle, Roma 1973, p. 911 n. 2; J.N.D. Kelly, The Oxford Dictionary of popes, sub voce.