LEONE VII, papa
Di origine romana, L. VII venne eletto nei primi giorni del gennaio 936, poco dopo la morte di Giovanni XI. Era allora cardinale prete di S. Sisto e di lui si dice, secondo un topos ben collaudato, che accettò la carica con riluttanza. La consacrazione avvenne in ogni caso prima del 9 gennaio.
Fu un papa diverso dai suoi immediati predecessori, descritto dalle fonti come uomo pio, dedito alla preghiera e al bene della Chiesa, attento ai segni della riforma monastica che solo un quarto di secolo prima aveva preso avvio dall'abbazia borgognona di Cluny. La sua elezione si dovette alla volontà di Alberico, il figlio di Marozia e di Alberico marchese di Spoleto, che nel 932 aveva guidato una rivolta contro la madre, pochi mesi dopo il suo matrimonio con il re d'Italia Ugo di Provenza; risultati della sommossa furono la fuga di Ugo da Roma, l'imprigionamento e l'esautoramento di Marozia e di papa Giovanni XI, suo figlio illegittimo e, dunque, fratellastro di Alberico, e l'assunzione del potere da parte di quest'ultimo, che governò la città fino alla morte nel 954.
Dopo la precipitosa fuga da Roma, Ugo di Provenza aveva ripetutamente e invano cercato di riprendere il controllo della città. La situazione di permanente conflittualità non poteva che danneggiare entrambi i contendenti e si ripercuoteva negativamente anche sulla vita ecclesiastica e sui rapporti fra le diocesi italiane e Roma. Forse anche per questo, e certamente con l'avallo del princeps Alberico, fin dall'inizio del suo pontificato L. VII si occupò della questione. Venne invitato a Roma Oddone abate di Cluny, il cui prestigio di riformatore, di sant'uomo e di pacificatore aveva già raggiunto l'Italia; questi, sollecitato da L. VII, riuscì a negoziare un accordo tra Alberico e Ugo, più tardi rivelatosi precario e insufficiente, ma che al momento sembrò risolutivo. Oddone fu anche incaricato di porre ordine in alcuni monasteri romani e la sua azione venne congiuntamente appoggiata dal papa e da Alberico, che le fonti vogliono sinceramente interessato al monachesimo e alla sua riforma. Anche l'abbazia di S. Paolo fuori le Mura fu indotta ad accogliere nuovi statuti riformati secondo lo stile cluniacense.
Nel corso del 936 Flodoardo di Reims ebbe modo di conoscere L. VII e in alcuni versi del De Christi triumphis apud Italiam narrò di quell'incontro personale e di un pranzo con il papa, ricordato come uomo intelligente e dedito alla preghiera, e riportò una positiva impressione della sua saggezza e della cordialità del suo carattere; lo stesso cronista, negli Annales (ad a. 936), definì il pontefice un vero servitore di Dio.
Libero dalle preoccupazioni del governo di Roma, saldamente nelle mani di Alberico, che d'altronde non gli avrebbe consentito alcuna intromissione, L. VII si occupò prevalentemente di questioni ecclesiastiche, con interventi significativi in Italia e Oltralpe, mantenendo sempre buoni rapporti con il signore di Roma, che in un documento definisce "dilectus spiritualis filius Albericus, gloriosus princeps et senator" (Papsturkunden, p. 147).
L'attenzione al mondo monastico, che insieme con altri elementi fa ritenere probabile la sua condizione di ex benedettino, fu costante nella sua attività. Particolare cura riservò all'abbazia di Subiaco, da poco restaurata dopo i danni provocati dai Saraceni nel IX secolo, culla del monachesimo benedettino e situata in un luogo particolarmente carico di significativi ricordi, posta com'era in prossimità della grotta nella quale aveva per anni dimorato lo stesso s. Benedetto: già nel 936 ne confermò possessi e privilegi e, negli anni successivi, le sottopose anche il castrum di Subiaco, donato da Alberico, il monastero di S. Erasmo al Celio e altre proprietà a Tivoli, senza mai perdere l'occasione per riconfermarne diritti e privilegi.
Anche Cluny fu al centro dell'attenzione di L. VII e molti dei suoi documenti sono indirizzati all'abate Oddone, con il quale non erano venuti meno i rapporti di collaborazione iniziati in occasione delle trattative tra il princeps di Roma e il re d'Italia. All'abbazia borgognona vennero assegnati diversi possedimenti e frequenti furono i riconoscimenti dei nuovi statuti di antiche fondazioni, riformate da Oddone e in differenti modi aggregate a Cluny. Di particolare importanza una lettera del gennaio 938, nella quale non solo L. VII confermò a Cluny privilegi e possessi concessi da Giovanni XI e alcune nuove proprietà, ma ribadì anche la garanzia della libera elezione dell'abate e soprattutto dichiarò il monastero "liberum et absolutum" dal dominio di qualsivoglia persona e "Romanae tantum sedi […] subiectum" (ibid., pp. 137 s.). Si trattava di un fatto di per sé non inedito ma che, nell'accorta politica degli abati cluniacensi, costituì una tappa importante nel processo che avrebbe condotto l'abbazia di Cluny allo statuto dell'esenzione che caratterizzò in seguito l'Ordine cluniacense.
Significativo è poi un documento del giugno 938, con cui il pontefice conferma le proprietà e concede alcuni privilegi al monastero di Gorze, capofila di un movimento riformatore, per alcuni versi paragonabile a quello cluniacense ma con sue precise peculiarità, che stava sviluppandosi in Lotaringia; nella stessa lettera il papa ringrazia vivamente Adalberone vescovo di Metz, che si era adoperato perché a Gorze venisse restaurata l'osservanza monastica. Fra le altre fondazioni monastiche che ricevettero da L. VII la conferma o la concessione di privilegi o possedimenti si devono poi ricordare i monasteri di Fulda, Déols, Ripoll, Fleury e S. Gregorio in Campo Marzio, a Roma. Da ricordare, infine, l'invito, in un documento del gennaio 938, indirizzato a Ugo il Grande, duca dei Franchi, a non consentire che nel monastero di S. Martino a Tours, di cui era abate laico, le donne entrassero per motivi diversi dalla preghiera.
L'azione riformatrice di L. VII è testimoniata anche da altri interventi, volti particolarmente al mondo germanico. Nominò l'arcivescovo Federico di Magonza vicario apostolico e legato per l'intera Germania, con vasti compiti che comprendevano anche interventi di riforma ("ad viam veritatis reducere non omittatis", ibid., p. 134) nella vita del clero e dell'episcopato della regione. Nel documento venivano richiamati e riproposti un incarico e una dignità che due secoli prima erano stati affidati a Wynfrith (s. Bonifacio) dai papi Gregorio II, Gregorio III, Zaccaria e Stefano II, e probabilmente con parole riprese da quei documenti, oggi perduti ma allora conservati nell'archivio papale ("in scrinio sanctae aecclesiae nostrae", ibid.). Il papa dava al suo legato il consiglio di allontanare dalla città quegli ebrei che non avessero liberamente voluto convertirsi al cristianesimo, accompagnato dal divieto di battezzare con la forza coloro che si fossero rifiutati. Probabilmente falsa è la notizia dell'invio del pallio all'arcivescovo Gerardo di Lorch nel Norico danubiano, oggi Austria, mentre è certo che la giurisdizione metropolita venne conferita ad Adaltag di Brema-Amburgo, dando così ulteriore impulso all'organizzazione ecclesiastica delle regioni europee centrorientali e settentrionali.
L. VII morì il 13 luglio 939 e venne sepolto in S. Pietro.
Una fonte del XIII secolo attribuisce a L. VII la canonizzazione di Villibaldo di Eichstätt, ma la notizia non ha fondamento; fortemente sospetto è anche il documento con cui sono attribuite a L. VII varie norme di carattere pastorale, liturgico e disciplinare, come quelle relative ai matrimoni tra consanguinei, alla scomunica di maghi e indovini e ad alcune preghiere da recitare nella messa, che sarebbero state emanate a seguito delle richieste di Gerardo di Lorch.
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