ONORIO I, papa
Di nobile famiglia campana, innalzato al pontificato alla morte di Bonifacio V, il 27 ottobre 625. Energico, saggio, dotto, pieno di zelo religioso, egli si mantenne nelle scia dell'azione del grande Gregorio, al quale si può per alcuni tratti paragonare. Amministratore abilissimo, abbellì notevolmente Roma con costruzioni e lavori di pubblica utilità, dette grande incremento al patrimonio della Chiesa, proseguì l'opera di conversione degli Anglosassoni e dei Longobardi, già iniziata da Gregorio Magno, stringendo relazioni col re di Northumbria Edwin, e appoggiando in Italia la candidatura di Adalvaldo, favorevole ai cattolici, contro il cognato Ariovaldo, ariano. Con l'aiuto dell'imperatore bizantino Eraclio e con grande abilità riuscì a liquidare definitivamente lo scisma d'Aquileia, scoppiato circa 70 anni prima per la questione dei Tre capitoli. Nella Spagna visigotica, già convertita ormai al cattolicismo, riorganizzò la gerarchia. In Italia e fuori difese con energia le prerogative del seggio apostolico su tutta la gerarchia ecclesiastica.
Il nome di Onorio è rimasto celebre nella storia ecclesiastica per le conseguenze che ebbero due sue lettere del 633 e 634 al patriarca di Costantinopoli, Sergio, scaltro sostenitore dei monoteliti. Ignaro o al tutto inesperto della fine astuzia di Sergio, che lo pregava di rimuovere dall'uso alcune terminologie intorno alla duplice volontà e operazione dell'Uomo-Dio, O. gli rispose che in Cristo mediatore di Dio e degli uomini si doveva confessare "non unam vel duas operationes", ma "utrasque naturas cum alterius comunione operantes atque operatrices", aggiungendo tuttavia "Non nos oportet unam vel duas operationes definientes praedicare". Non si può negare che il tenore di questa risposta, che evitava di definire alcuna cosa in proposito nella questione fra i nestoriani e i monoteliti, venisse a favorire l'eresia di questi ultimi; perciò papa Giovanni IV succeduto a O. dopo il brevissimo pontificato di Severino, si affrettò a scrivere nel 641 all'imperatore Costantino II che il suo antecessore O. nella lettera a Sergio aveva inteso soltanto di negare in Cristo le "mentis et carnis contrarias voluntates", ma in niun modo di attribuire una sola volontà alla divinità e all'umanità.
Trascorsi otto lustri, il terzo Concilio ecumenico costantinopolitano condannò O. e la sua lettera a Sergio; Leone II, confermando il concilio, anatematizzò bensì insieme con i vescovi Teodoro, Ciro, Sergio, Pirro, Paolo, Pietro, inventori della nuova eresia, anche il pontefice romano Onorio, non però come eretico, ma come colui "qui apostolicam Ecclesiam non apostolicae traditionis doctrina lustravit, sed prophana proditione immaculatam fidem maculari permisit", o secondo la lezione di un codice del sec. VIII (Vat. Reg. lat., 1040, fo. 84), "prophana pro traditione immaculatam fidem dari permittendo conatus est". Il senso genuino di queste non oscure parole risulta ancora più chiaramente dai termini usati dal medesimo Leone sopra lo stesso argomento, nella lettera ai vescovi della Spagna, nella quale scrisse che O. "flammam haeretici dogmatis non, ut decuit apostolicam auctoritatem, incipientem exstinxit, sed negligendo confovit".
Del caso di O. si valsero protestanti, giansenisti, fautori della superiorità conciliare e gallicani per combattere l'infallibilità pontificia. La questione fu anche riproposta e dibattuta con profondità e calore al tempo del Concilio Vaticano (1869-70); ma il Sinodo nel definire il dogma dell'infallibilità del papa ammise come provata verità storica non avere O. pronunziato definizione dogmatica alcuna che fosse contraria alla futura definizione delle due volontà in Cristo; e che il suo errore fu quindi non dogmatico, ma puramente "disciplinare", commesso per non avere sostenuto l'esatta terminologia, voluta sopprimere a torto dall'eretico Sergio.
Bibl.: Per le fonti v. Mansi, XI, 579-82; Migne, Patr. Lat., LXXX, col. 474 seg.; Kirch, Enchiridion, nn. 949-980. Una ricca classificata bibliografia degli scritti sopra la controversia, cui rimandiamo, compilò E. Amann, in Dict. de théol. cath., VII, vii, 1ª ed., coll. 130-132.