PAOLO I, papa
PAOLO I, papa. – Appartenente a una famiglia della nobiltà romana che aveva le sue case nella regione della via Lata (odierna via del Corso), venne allevato ed educato nelle scuole del patriarchio lateranense insieme con il fratello Stefano.
Fu consacrato diacono da papa Zaccaria; fu poi tra i principali collaboratori del fratello quando questi divenne papa (Stefano II). Per suo incarico svolse importanti missioni diplomatiche presso i Longobardi. Nel giugno del 752 trattò una pace quarantennale tra Roma e il re longobardo Astolfo che aveva poco prima occupato Ravenna con l’Esarcato e la Pentapoli, sottraendole all’impero bizantino. Quando Astolfo, violando l’accordo, cercò di imporre la sua autorità anche su Roma e sul suo territorio, fu inviato insieme a un ambasciatore bizantino a Ravenna, dove risiedeva il re longobardo, per chiedere la fine delle violenze e la restituzione dei territori invasi. Fallite le iniziative diplomatiche, Stefano II chiese al re dei Franchi Pipino di intervenire militarmente per liberare dalla occupazione longobarda le popolazioni delle province bizantine, sulle quali, nella latitanza dell’impero, il papa aveva assunto una sorta di protettorato spirituale e politico. Due successive campagne militari franche negli anni 754 e 756 costrinsero Astolfo a cedere i territori occupati, che però furono consegnati da Pipino non all’impero bizantino, ma al papa, dando origine al dominio temporale del Papato. Non si sa quale ruolo Paolo avesse in queste vicende, ma agli inizi del 757, dopo la morte di Astolfo, fu lui a trattare con il duca longobardo Desiderio che aspirava a succedergli e offriva al Papato la garanzia di rispettare il nuovo assetto istituzionale creato nell’Italia centrale dall’intervento franco, aggiungendo anzi altre cessioni territoriali, in cambio dell’appoggio presso Pipino.
Tra marzo e aprile 757, ammalatosi gravemente Stefano II, Paolo si insediò in Laterano con un gruppo di sostenitori per assistere il papa morente, ma soprattutto per presidiare la sede del governo papale in vista della successione. Aspirava infatti al papato l’arcidiacono Teofilatto, favorito dalla prassi che faceva dell’arcidiacono in carica il naturale candidato all’elezione; sembra che invece Paolo fosse sostenuto da una fazione di cui facevano parte, oltre agli stretti collaboratori di Stefano II, anche esponenti della nobiltà laica romana. L’elezione di Paolo avvenne dunque in un contesto conflittuale. Lo stesso biografo ammette che riuscì a prevalere sull’arcidiacono, perché la sua parte era «più valida e più forte». Fu consacrato papa il 29 maggio 757 e subito si preoccupò di rassicurare Pipino sulla continuazione della politica di stretta alleanza con i Franchi inaugurata dal fratello, assicurando che essa era condivisa dalla nobiltà e dal popolo di Roma. A tal fine venne redatta, probabilmente dalla stessa cancelleria lateranense, una lettera con cui il Senato e l’intero popolo di Roma, assicuravano Pipino della loro unanime devozione al papa appena eletto e gli chiedevano di completare la consegna dei territori tolti ai Longobardi.
Il ricordo dell’antico Senato, che aveva cessato di esistere da più di un secolo, venne riesumato allora per accreditare una identità ideale e giuridica alla popolazione romana, che sembrava utile come riferimento costituzionale per la nascente dominazione temporale del papato. Il compito assunto da Paolo era assai difficile. L’eredità di Stefano II imponeva di consolidare una situazione istituzionale e politica ancora precaria: si doveva dare consistenza e struttura al governo delle province già bizantine consegnate da Pipino al papato, fronteggiando contemporaneamente l’aspirazione dell’impero a recuperarle e l’infida acquiescenza longobarda; si doveva tener conto dell’ostilità dei ravennati, che già si era espressa nelle rivendicazioni di autonomia del loro arcivescovo; bisognava inoltre controllare la inquieta situazione interna di Roma. In quest’ultimo campo, il governo di Paolo dovette essere duro e oppressivo. Lo lascia intravvedere lo stesso biografo papale, che fa riferimento alla persecuzione di avversari politici e a carcerazioni; forti opposizioni interne dovettero proseguire durante tutto il pontificato, come rivelano i torbidi che accompagnarono i suoi ultimi giorni.
Direttiva fondamentale della politica estera di Paolo fu il consolidamento dei rapporti con il re dei Franchi Pipino, che erano del resto basati sul reciproco interesse. Da un lato il papato aveva ancora bisogno della protezione politica, e all’occorrenza militare, del re dei Franchi; ma questi, che doveva ai predecessori di Paolo la legittimazione morale e religiosa della sua presa di potere, avvenuta deponendo l’ultimo re della stirpe merovingia, trovava nel legame politico e spirituale con la Sede apostolica qualificazione ideologica nonché consenso alla trasmissione della dignità regia ai figli.
Pipino aveva ricevuto da Stefano II il titolo di patricius Romanorum, legato al suo ruolo in difesa di Roma e del Papato. Questo titolo venne confermato da Paolo, e la collaborazione politica venne rafforzata da un legame di parentela spirituale, giacché il papa si propose come padrino di battesimo, sia pure a distanza, di due figli di Pipino, divenendo così compater del re. Poiché Pipino e la sua famiglia nutrivano una speciale devozione per s. Pietro, Paolo organizzò la traslazione delle reliquie di s. Petronilla, supposta figlia del santo, dal cimitero in cui erano state rinvenute alla chiesa che già Stefano II le aveva dedicato accanto alla basilica di S. Pietro. Donò inoltre al re il monastero di S. Andrea presso il Monte Soratte con i monasteri a esso collegati di S. Stefano e S. Silvestro, perché servissero come luogo di sosta e di ritiro spirituale per i pellegrini franchi che si recavano a visitare le tombe degli apostoli. È possibile che proprio in quest’epoca si consolidasse in Roma una colonia franca insediata presso S. Pietro, origine della Schola Francorum testimoniata pochi decenni più tardi; nella biografia di Paolo nel Liber Pontificalis sono infatti menzionate per la prima volta le nationes straniere presenti in Roma. Ancora su richiesta di Pipino, Paolo collaborò alla riforma della Chiesa in Francia, inviando testi di grammatica, ortografia e geometria in greco, libri liturgici e un maestro della salmodia romana; ospitò a Roma alcuni monaci franchi perché facessero pratica della musica liturgica romana.
Sotto il profilo politico, le relazioni con Pipino riguardarono inizialmente soprattutto il regno longobardo, che continuava a offrire motivi di preoccupazione. Desiderio, divenuto re, badò infatti a rafforzare la sua autorità sui Longobardi, mentre dilazionava le cessioni territoriali promesse, pur facendo pressione sul papa perché favorisse il miglioramento dei rapporti tra i Franchi e i Longobardi.
La complessità e l’ambiguità della situazione è dimostrata da due lettere inviate contemporaneamente a Pipino nel 758: in una il papa elogiava Desiderio per il suo amichevole atteggiamento nei confronti della Sede papale e caldeggiava il rilascio degli ostaggi longobardi tenuti dai Franchi; ma nell’altra, affidata segretamente ai messaggeri, riferiva che Desiderio aveva sottomesso i duchi di Spoleto e di Benevento, amici del papa; ritardava con vari pretesti le consegne territoriali promesse e per di più aveva incontrato a Napoli un inviato bizantino, cui aveva offerto la propria collaborazione per un eventuale recupero di Ravenna da parte dell’impero. Paolo diceva di aver dovuto scrivere l’altra lettera per ottenere che i suoi messi potessero transitare nel territorio longobardo. Peraltro sembra che dal 760 Desiderio, pur tergiversando, si risolvesse a consegnare al papa le città promesse in Emilia e in Romagna e da allora non si presentarono più situazioni per cui il papa dovesse prefigurare l’intervento militare dei Franchi, che del resto Pipino era poco propenso a ripetere. Le rivendicazioni e le lagnanze che Paolo continuò a mandare al re riguardarono per lo più la definizione degli interessi e dei diritti reciproci di Romani e Longobardi nei territori restituiti e nelle zone di frontiera, o questioni ancora più limitate, relative a proprietà fondiarie e diritti di pascolo. Tuttavia Paolo sollecitò ripetutamente Pipino a non fidarsi di Desiderio e in diverse occasioni inviati del re franco chiesero a Desiderio ragione delle lagnanze papali e verificarono l’esecuzione degli accordi con il papa, peraltro trovandosi più volte soddisfatti dalle spiegazioni del re longobardo.
Dopo il 760 furono piuttosto le relazioni con l’impero bizantino a causare gravi preoccupazioni a Paolo, perché gli imperatori Costantino V e Leone IV ridiedero impulso alla lotta contro la venerazione delle immagini sacre, intrapresa alcuni decenni prima dall’imperatore Leone III Isaurico, e contemporaneamente lanciarono un’offensiva diplomatica presso Pipino per rivendicare i loro territori in Italia. Le lettere di Paolo danno notizia delle due questioni congiunte. Vi si fa menzione di ripetute missioni di ambasciatori greci presso l’arcivescovo di Ravenna, presso Pipino in Francia, oltre che a Roma, dallo stesso papa. Vi furono momenti in cui Paolo temette addirittura che Pipino potesse essere indotto a riprendere «ciò che aveva offerto a s. Pietro», venendo però ampiamente rassicurato dal re franco. Tra il 761 e il 766 sembrò che i Bizantini preparassero una spedizione per riconquistare Ravenna; Paolo chiese allora a Pipino di imporre al re Desiderio, nonché ai Longobardi toscani, spoletini e beneventani, di proteggere il papa e le terre della Chiesa, giungendo a prevedere che Desiderio potesse combattere per difendere Ravenna e le città marittime della Pentapoli dall’assalto imperiale. Evidentemente i rapporti con i Longobardi si erano normalizzati, sia pure sotto il controllo di Pipino. Per mandato di Pipino Desiderio si adoperò anche presso gaetani e napoletani, soggetti dell’impero bizantino, perché restituissero al Papato alcuni patrimoni fondiari in Campania, e consentissero ai loro vescovi di andare a Roma a ricevere la consacrazione.
Sul piano ecclesiastico, la questione delle immagini offriva non meno grave motivo di contrasto con l’impero. Nel 763 Paolo aveva inviato a Bisanzio una legazione di cui faceva parte un emissario franco. A sua volta l’imperatore Costantino mandò una ambasceria alla corte franca, cercando di coinvolgere Pipino nella disputa teologica. Preoccupato, Paolo accusò allora l’imperatore e suo figlio di tramare contro il papato per punirlo della difesa della fede tradizionale dei padri e del sostegno che dava alla venerazione delle immagini. Condannò l’iconoclastia come eresia e negò all’impero la qualifica di «romano», che aveva conservato fin dall’antichità, considerandolo invece impero dei «Greci». Contemporaneamente attribuì a Pipino la qualifica ideale di difensore della fede ortodossa, che tradizionalmente era riservata all’imperatore bizantino.
Si è molto discusso se possa risalire all’epoca di Paolo e agli ambienti lateranensi, la compilazione del famoso falso conosciuto come donazione, o costituto, di Costantino.
Esso consisteva in un fittizio documento con cui Costantino, dopo aver ricordato la miracolosa guarigione dalla lebbra ottenuta per intercessione del papa Silvestro, esprimeva la sua devozione e gratitudine per gli apostoli romani e per il papa, donando a questi e ai suoi successori in perpetuo le prerogative e gli ornamenti cerimoniali della maestà imperiale, la stessa città di Roma e addirittura la sovranità su tutto l’Occidente, annunziando contemporaneamente l’intenzione di trasferirsi in Oriente per non interferire nell’esercizio dell’autorità spirituale e temporale del papa.
Non è certo che la compilazione di questo documento, almeno nella forma in cui è tramandato, risalga effettivamente all’epoca di Paolo, anche se il papa nutriva una particolare venerazione per s. Silvestro, le cui reliquie fece traslare nella chiesa già edificata dal fratello Stefano II nella loro casa di famiglia (attuale S. Silvestro in capite), dove Paolo istituì un monastero affidato a una congregazione greca, che vi doveva recitare la salmodia perenne. La venerazione per s. Silvestro era condivisa dalla famiglia reale franca, come testimonia l’interesse di Pipino, e già prima di suo fratello Carlomanno, per il monastero del Soratte, dove si narrava che il papa Silvestro si fosse rifugiato per scampare alle persecuzioni, prima della conversione di Costantino. Il falso documento, qualora risalga proprio a quegli anni, costituirebbe una importante manifestazione della riflessione in corso sul potere temporale acquistato dal Papato, che doveva essere definitivamente legittimato, nei confronti dei Franchi, ma soprattutto nei confronti dell’impero, ai cui danni si era costituito. Probabilmente privo di attendibilità giuridica per gli stessi compilatori, esso mirava però a proiettare in un passato storicamente e religiosamente significativo l’origine del potere sovrano dei papi. Una lettera del papa Adriano I a Carlomagno, risalente all’anno 778 (Codex Carolinus, n. 60, p. 587), in cui viene evocata una grande donazione fatta da Costantino alla Chiesa romana, testimonia che se non il documento, almeno la ricostruzione leggendaria su cui è fondato era presente negli ambienti papali e veniva già usata come argomento parenetico nei confronti del nuovo re dei Franchi.
Paolo si adoperò anche ad accrescere la sacralità della città di Roma, facendo trasferire un gran numero di reliquie dei santi e dei martiri dai cimiteri suburbani, che versavano in decadenza e non erano custoditi adeguatamente, nelle chiese dentro le mura, in modo da fare della città un enorme reliquiario. Nello stesso intento edificò una chiesa sulla via Sacra, dove si indicava l’unica traccia materiale della presenza degli apostoli Pietro e Paolo all’interno delle mura: una lastra con l’impronta delle loro ginocchia.
Ma la situazione di Roma non era pacifica. La durezza del governo papale e gli appetiti suscitati dal nascente dominio temporale dovettero provocare rancori e ambizioni che esplosero quando, nel giugno del 767, Paolo cadde malato e riparò in S. Paolo fuori le mura, a detta del biografo per sfuggire al calore estivo. Una intera famiglia dell’aristocrazia militare romana, capeggiata dal duca Totone di Nepi, congiurò per assassinare il papa, che veniva guardato a vista dai suoi collaboratori. Il primicerio dei notai Cristoforo, autorevole esponente del governo papale, trattò con Totone, impegnandolo a rinunciare ad atti violenti e a non prendere iniziative autonome in vista dell’elezione del nuovo papa, che comunque doveva essere scelto all’interno del clero romano. Ma Totone, pur consentendo all’accordo, fece affluire in Roma gente dalle sue terre, e le organizzò in squadre armate. In questi frangenti Paolo morì il 28 giugno.
I violenti torbidi che seguirono immediatamente resero impossibile portarlo in S. Pietro, dove egli aveva predisposto la propria sepoltura, in un oratorio da lui fatto edificare presso la porta che conduceva a S. Petronilla. Inumato provvisoriamente in S. Paolo, solo tre mesi più tardi il corpo poté essere trasportato lungo il Tevere a S. Pietro e ricevere la definitiva sepoltura.
Fonti e Bibl.: Regesta Pontificum Romanorum, a cura di Ph. Jaffé et al., I, Lipsiae 1885, pp. 277-283; Le lettere di Paolo I, raccolte nel Codex Carolinus, nn. 12-43, sono edite a cura di W. Gundlach, in M.G.H., Epistolae III (Epistolae Merowingici et Karolini Aevi), t . I, Berolini 1892, pp. 507-558; Le Liber Pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 19552, pp. 441, 455, 463-469, 475; Th. F.X. Noble, The Republic of St. Peter. The birth of the Papal State. 680-825, Philadelphia 1984, pp. 103-112; G. Arnaldi, Le origini dello Stato della Chiesa, Torino 1987, pp. 141-147; P. Delogu, Paolo I santo, in Enciclopedia dei Papi, I, Roma 2000, pp. 665-670 con estesa bibliografia precedente; W. Pohl, Das Papsttum und die Langobarden, in Der Dynastiewechsel von 751. Vorgeschichte, Legitimationstrategien und Erinnerung, a cura di M. Becher - J. Jarnut, Münster 2004, pp. 145-161; L. Capo, Il Liber Pontificalis, i Longobardi e la nascita del dominio territoriale della Chiesa romana, Spoleto 2009.
Sulla donazione di Costantino: F. Hartmann, Hadrian I. (772.795). Frühmittelalterliches Adelspapsttum und die Lösung Roms vom byzantinischen Kaiser, Stuttgart 2006, pp. 182-193 (Päpste und Papsttum, 34); J. Fried, Donation of Constantine and Constitutum Constantini. The misinterpretation of a fiction and its original meaning, Berlin-New York 2007; C. Goodson - J. Nelson, The Roman contexts of the ‘Donation of Constantine’, in Early Medieval Europe, XVIII (Nov. 2010), 4, pp. 446-467.