PELAGIO I, papa
PELAGIO I, papa. – Nacque a Roma, figlio di Giovanni «uicarianus» (funzionario del Vicariato di Roma?).
Come diacono, accompagnò papa Agapito a Costantinopoli nell’inverno del 535-536 e fu testimone del conflitto dottrinale fra Agapito e Antimo, vescovo patriarca di Costantinopoli. Antimo fu deposto e il papa consacrò in sua vece il presbitero Menas. In questa circostanza venne alla luce il monofisismo di Antimo che si diede alla clandestinità sotto la protezione dell’imperatrice Teodora.
Agapito conferì a Pelagio la carica di apocrisario presso l’imperatore. Dopo la morte del papa (22 apr. 536), Pelagio partecipò dal 2 al 4 giugno al Concilio presieduto dal neopatriarca di Costantinopoli Menas, che condannò in contumacia Antimo e rinnovò le condanne contro Severo di Antiochia e i suoi discepoli.
Rimasto a Costantinopoli anche dopo la partenza della legazione (che accompagnò le spoglie di Agapito a Roma), Pelagio si oppose invano al ritorno a Roma di papa Silverio, vescovo di Roma eletto come successore di Agapito (giugno 536) e successivamente deposto ed esiliato a Patara in Licia nel marzo 537 (Liberatus, Brev. 22, p. 137, 19-21).
Nel medesimo anno Pelagio, su richiesta dell’imperatore, prese parte alla scelta di un nuovo vescovo per Alessandria nella persona di Paolo (e alla sua consacrazione a Costantinopoli con gli apocrisari di Gerusaleme e di Antiochia). Quando lo stesso Paolo fu esiliato a Gaza, essendosi dimostrato inetto a governare in Egitto, Giustiniano inviò Pelagio in Palestina, munito di lettere imperiali, per pronunciarne la deposizione e ordinare (con Efrem di Antiochia e Pietro di Gerusalemme) il successore Zoilo.
In tale circostanza Pelagio si sarebbe fatto tramite della condanna di Origene: alcuni monaci di Mar-Saba e il loro abate Gelasio consegnarono a Pelagio «capitula» tratti dalle sue opere, chiedendogliene la condanna. Pelagio, convinto, guadagnò alla causa Menas e l’imperatore. Sarebbe questa l’origine dell’editto contro Origene pubblicato nel 543 e inviato alle altre Chiese patriarcali (Acta Conciliorum Oecumenicorum, III, a cura di E. Schwartz, Berlin-Leipzig 1940, pp. 189-214).
Pelagio non era più apocrisario quando Giustiniano pubblicò l’editto contro i Tre Capitoli, tra il 543 e la fine del 545, ma chiese al diacono di Cartagine Ferrando una lettera che forniva argomenti contro la condanna dei Tre Capitoli. Non si sa quando rientrò a Roma: nel 546, durante l’assedio che Totila re dei Goti pose alla città, Pelagio impiegò le sostanze accumulate (grazie al favore dell’imperatore) durante il soggiorno a Costantinopoli (Procopio, De bellis, VII, 16, 17, 21) per soccorrere i romani, guadagnandosene la fiducia; e rappresentò poi con molta fermezza la città nelle trattative con Totila, respingendo le ultimative richieste del re goto e ottenendo (17 dic. 546) l’incolumità personale per i cittadini di Roma (pur non riuscendo a evitare il saccheggio). Ottenne altresì il perdono per i senatori, cui il re rimproverava il tradimento nei confronti della monarchia gota.
In seguito Totila inviò Pelagio, con un tale Teodoro, a Costantinopoli per negoziare con Giustiniano le condizioni della pace, evitando alla città di Roma di essere rasa al suolo, ai membri del Senato di essere giustiziati e l’apertura di un fronte militare in Illiria. L’esito della missione fu negativo.
L’11 aprile 548 papa Vigilio, che si trovava a Costantinopoli dall’inizio del 547, pubblicò lo Iudicatum in cui anatemizzava esplicitamente i Tre Capitoli, esprimendo anche il suo rispetto per il Concilio di Calcedonia. Avendo ricevuto – mentre si trovava in Sicilia – una copia dello iudicatum ricavata dal diacono Rustico all’insaputa di Vigilio, Pelagio ne informò il papa guadagnandosene la fiducia.
Negli stessi anni (non dopo l’estate 551), Pelagio entrò pertanto a far parte della cerchia di Vigilio a Costantinopoli, e si dimostrò un solido sostegno nella resistenza romana alla politica imperiale. Con Datius di Milano e altri chierici occidentali raggiunse Vigilio a Calcedonia nella chiesa di S. Eufemia, dove il papa si era rifugiato il 23 dicembre 551.
Pelagio era ancora a fianco del pontefice nel 553 quando si aprì il Concilio costantinopolitano II. Per suo tramite, il papa chiese una proroga di venti giorni per esprimere il suo parere definitivo sui Tre Capitoli, e forse fu Pelagio che stese (da solo, o con altri) il constitutum pubblicato da Vigilio il 14 maggio: testo che in ogni caso sottoscrisse, a difesa della dottrina di Calcedonia sulle due nature di Cristo e dei Tre Capitoli, e in adesione alla ribadita condanna delle dottrine variamente monofisitiche di Nestorio e di Eutiche.
In ogni caso, egli sottoscrisse il testo che proibiva di attentare al Concilio di Calcedonia, diffidava dall’oltraggiare la memoria di Teodoro di Mopsuestia, pur condannando le proposizioni che gli venivano attribuite nei testi imperiali e ribadendo la condanna di Nestorio ed Eutiche, e infine esprimeva il divieto di condannare Teodoreto di Ciro e la lettera di Ibas letta al concilio.
Dopo il concilio, Pelagio non volle desistere dalla sua opposizione alla condanna dei Tre Capitoli, e fu in un primo momento internato con il diacono Sapato per ordine dell’imperatore. Successivamente però, su richiesta di Giustiniano, scrisse un «refutatorium» rivolto al papa che l’aveva condannato e altri testi, in parte perduti e in parte giunti sino a noi. Ribadì le sue posizioni nello scritto In defensione Trium Capitulorum (giunto fino a noi), ampiamente ispirato al Pro defensione di Facundo d’Ermiana. In questo testo, facendo riferimento anche agli atti del concilio e al Constitutum, Pelagio attaccava violentemente Vigilio, irridendo il suo opportunismo e definendolo un prevaricatore della fede. Quanto all’imperatore, nonostante il dissenso sui Tre Capitoli, nello scritto traspare una grande deferenza.
Dopo la morte di Vigilio, nell’estate del 555, Giustiniano si adoperò per dare un successore alla sede di Roma, dove la sua autorità era rappresentata da Narsete. La situazione consentiva all’imperatore di nominare direttamente un candidato, com’era nella prassi della sede costantinopolitana: il Senato era stato quasi interamente disperso e il clero era decurtato. Giustiniano, consapevole delle reticenze occidentali di fronte alla condanna dei Tre Capitoli, propose il pontificato a Pelagio, una soluzione che non mancava di audacia.
Quali che fossero gli argomenti usati da Giustiniano e i conflitti interiori di Pelagio, il diacono accettò ora di condannare i Tre Capitoli e di approvare il Concilio di Costantinopoli. Lasciò a Costantinopoli il compagno Sapato, con la carica di apocrisario. Nella primavera del 556 sbarcò in Italia per essere consacrato vescovo di Roma.
La sua elezione non fu accolta con favore. I Romani, come i vescovi italiani, avevano sentito dire per anni che i Tre Capitoli non dovevano essere condannati e sapevano che papa Vigilio li aveva difesi. A detta del Liber pontificalis i Romani ignoravano perfino se Vigilio fosse vivo o morto. Furono informati simultaneamente della morte del pontefice, del voltafaccia della politica romana e della promozione di Pelagio alla carica episcopale.
Pelagio fu consacrato nel giorno di Pasqua 556, in presenza di Narsete e di ufficiali bizantini, da due vescovi solamente (quelli di Ferentino e di Perugia) e da un presbitero di Ostia, contrariamente ai canoni. Poi, si recò nella chiesa di S. Pancrazio, sul Gianicolo, da dove si snodò una processione che raggiunse S. Pietro in Vaticano. Qui Pelagio, con Narsete al suo fianco, giurò solennemente di non essere colpevole dei tradimenti di cui lo si accusava e pronunciò una professione di fede destinata a placare le inquietudini di chi dubitava della sua ortodossia.
Questi atti cerimoniali si rivelarono sufficienti a dissipare i sospetti del clero e della popolazione di Roma. Tuttavia, nelle altre Chiese, l’opera di persuasione richiese tempi più lunghi.
Innanzitutto Pelagio si scontrò con la diffidenza delle Chiese del Regno franco. All’inizio del luglio 556, informò Sapaudus, vescovo di Arles, della sua consacrazione e apprese da lui dei sospetti sulla sua ortodossia che circolavano alla corte franca. Pelagio ricevette infatti anche un legato del re, Rufino, che chiedeva una professione di fede in grado di rassicurare il suo sovrano sulla fedeltà del pontefice al Concilio di Calcedonia. In dicembre, pertanto, scrisse al vescovo di Arles per questioni amministrative e disciplinari (ep. 4), e al re Childeberto chiarendo che sotto il regno di Giustiniano e Teodora nulla aveva minacciato la fede, e affermando la propria rigorosa fedeltà al Concilio di Calcedonia e al Tomus di papa Leone (ep. 3). Ciò fu ribadito da una successiva lettera al re (febbraio 557) in cui Pelagio deplorava i sospetti nutriti nei suoi confronti ed enunciava una professione di fede di ortodossia strettamente calcedoniana (ep. 7). Nondimeno, nell’inverno 558-559, fu costretto a tornare sull’argomento in una lettera indirizzata a Sapaudus, nella quale riepilogava la storia recente del dibattito giustificando il suo mutamento d’opinione con l’errore commesso quand’era «incautus et ignarus». Affermò inoltre che la sentenza contro i Tre Capitoli era condivisa dai vescovi dell’Oriente, dell’Illiria e dell’Africa nella loro totalità (ep. 19).
In Italia, parallelamente, alcuni vescovi (in particolare, nella «Tuscia annonaria») si astenevano dall’includere il nome di Pelagio nei dittici. Quando fu messo al corrente nel 557, il papa indirizzò a questi «dilectissimi fratres» una lettera dai toni benevoli, che contrastava con l’atteggiamento assunto in seguito nei confronti dei suoi avversari più irriducibili (ep. 10), formulando la sua professione di fede nei quattro concili ecumenici, tacendo del Concilio di Costantinopoli del 553, e proponendo un’aperta discussione sulle questioni più spinose. Gli sforzi di Pelagio furono coronati da un parziale successo: sei vescovi cedettero alle argomentazioni romane, mentre due, Massimiliano e Terenzio, rimasero separati dalla comunione almeno fino al 559.
In questo contesto Pelagio scrisse anche una lettera enciclica in cui esponeva la sua dottrina (ep. 11), trasmessa con il titolo di «fides sancti Pelagii papae», erroneamente attribuita a Vigilio quando fu pubblicata nel 1851. Il papa proclamava la sua fedeltà ai quattro concili ecumenici, ai suoi predecessori da Celestino ad Agapito, inoltre affermava di essere in comunione con i vescovi d’Oriente, di Dardania e dell’Illiria e di considerare ortodossi Teodoreto e Ibas. Il papa affermava anche che nulla era stato intrapreso contro i quattro concili, ma che la questione dei Tre Capitoli non doveva più essere discussa.
Nell’Italia settentrionale l’opposizione alla condanna dei Tre Capitoli si era organizzata intorno ai due metropoliti di Milano e di Aquileia già prima che Pelagio salisse al soglio pontificio. Auxanus a Milano e Macedonio ad Aquileia rifiutarono la sua comunione. Tuttavia, fino al 558, Pelagio non intervenne in alcun modo negli affari delle Chiese italiane settentrionali.
La crisi esplose dopo la morte di Macedonio (559). Il nuovo vescovo di Aquileia, Paolo, consacrato a Milano, espose in una pubblica dichiarazione le ragioni per cui molti vescovi rifiutavano la comunione romana: Pelagio aveva agito da nemico del concilio e forse anche da prevaricatore. Il papa reagì con una pressante lettera alle autorità bizantine nella quale denunciava gli avversari come scismatici e considerava invalida l’elezione di Paolo, «princeps» degli oppositori, chiedendo un intervento contro di lui (ep. 24). Dal 559, Pelagio parlò apertamente di scisma e adottò una strategia nuova per riportare gli avversari alla comunione romana: sottraendosi definitivamente a qualsiasi argomentazione e discussione a proposito dei Tre Capitoli, si appellò al potere politico per persuadere i recalcitranti.
Infatti, mentre all’inizio dell’anno consigliava ancora ad Agnello di Ravenna grande moderazione nei confronti degli scismatici (ep. 37), in aprile gli chiese di non tollerare più alcuna dissidenza nella sua Chiesa e di condannare chiunque non si fosse riconciliato entro un lasso di tempo di dieci giorni (ep. 74). Inoltre invitò Narsete, designato come patrizio, a procedere non soltanto contro Massimiliano e Terenzio nella «Tuscia Annonaria», ma anche contro Paolino di Fossombrone, nel «Picenum», attaccato a tre riprese (epp. 35, 60, 65).
In questo periodo, un vescovo Giovanni, la cui sede è ignota, si ricongiunse alla comunione romana (ep. 39).
Nel febbraio 559 alcuni vescovi della «Venetia et Histria» sollecitarono un nuovo concilio, forse rivolgendosi alle locali autorità bizantine. Pelagio si oppose alla richiesta dei vescovi in una lettera inviata al patrizio Giovanni che, dopo varie schermaglie diplomatiche, fu scomunicato da Paolo, patriarca di Aquileia, al momento di assumere la carica (ep.. 24, 38, 52). A nulla valsero l’invio di un rappresentante papale presso Giovanni, attraverso il vescovo ravennate Agnello (ep. 50) e il tentativo di mobilitare contro Paolo l’altro patrizio Valeriano (ep. 52).
Ma invece di intervenire contro gli scismatici, le autorità bizantine assunsero un atteggiamento ambiguo: Giovanni cercò di restaurare la comunione con il vescovo di Aquileia e inoltrò a Roma la richiesta dei vescovi dissidenti di organizzare un concilio per riprendere in esame la questione dei Tre Capitoli. Sdegnato, Pelagio scrisse una seconda lettera a Valeriano, dai toni ancora più intransigenti della precedente, e richiese – senza successo – che i due vescovi fossero condotti sotto scorta a Costantinopoli, per esservi giudicati dall’imperatore (ep. 59). Inviò contemporaneamente in Liguria e in «Venetia et Histria» un presbitero romano, Luminoso, che raccomandò al «comes patrimonii» (epp. 61 e 62).
Anche negli ultimi anni di pontificato, le vicende dello scisma tricapitolino restarono al centro dell’interesse di Pelagio che moltiplicò gli appelli alla repressione, sia nell’Italia suburbicaria sia nel Settentrione. Cercò di fiaccare l’opposizione di Paolino di Fossombrone (epp. 61, 69, 70, 71), e dei vescovi Massimiliano e Terenzio (ep. 65), rivolgendosi alle autorità bizantine. I suoi sforzi non furono tutti coronati da successo. Vescovi dissidenti si rivolsero forse all’imperatore con risultati positivi (ep. 75).
Il pontefice dovette anche render conto di alcune lettere che circolavano a suo nome e facevano risaltare l’incoerenza delle sue opinioni. Scrisse a un «uir illustris» di nome Symeo per protestare contro questi metodi, pur riconoscendo la paternità del «refutatorium» inviato a Vigilio e dei sei libri In defensione Trium Capitulorum (ep. 80).
Se pure le conseguenze del Concilio di Costantinopoli ebbero la priorità nelle preoccupazioni di Pelagio, tuttavia egli si adoperò anche per assolvere ai suoi compiti pontificali.
Pelagio fu consultato da Gaudenzio di Volterra, a proposito di un’eresia indefinita (ep. 21). Il papa si occupò anche della gestione del patrimonio fondiario della Chiesa di Roma, che affidò tanto a «defensores» quanto a vescovi (ep. 12-15, 76, 83, 84), vigilò sulle elezioni episcopali in Sicilia, in Puglia e in Lucania (ep. 18, 23, 29, 33, 57, 58) e intervenne in questioni relative alla disciplina ecclesiastica (ep. 15, 34, 41, 46, 47, 55, 57, 72, 78, 79, 81). Inoltre si dedicò a problemi di giurisdizione ecclesiastica e a cause che coinvolgevano chierici (ep. 31, 48, 54, 63, 73, 91); a ordinazioni di abati destinati ai monasteri (ep. 27, 28, 42, 89) e di presbiteri che prestavano servizio religioso in particolari luoghi di culto (ep. 36, 43, 86) e alla disciplina monastica (ep. 46, 49, 68, 87, 92). Si batté contro la corruzione del clero (ep. 17, 25, 26, 51, 82), opponendosi soprattutto alla vendita di beni ecclesiastici (Liber pontificalis). Ordinò in media più di cinque vescovi all’anno, una politica forse connessa al calo causato dalla guerra e dalla lunga assenza di Vigilio.
Fuori dall’Italia Pelagio mantenne buoni rapporti con Eutichio di Costantinopoli, al quale nel 558-559 mandò reliquie di Pietro (ep. 20). Al più tardi nel 560, Pelagio scrisse una lettera al prefetto dell’Africa Boezio, nella quale evocava lo stato miserevole dell’Italia stremata da venticinque anni di guerra (ep. 85). Non è invece noto in che periodo Pelagio abbia tradotto dal greco in latino una parte delle Adhortationes sanctorum Patrum (Apoftegmi dei Padri, o anche Vitae Patrum).
Non mancò qualche importante iniziativa di committenza edilizia. A Roma Pelagio avviò infatti la costruzione della basilica dei Ss. Apostoli, intitolata a Filippo e Giacomo, sulla via Lata, opera completata dal suo successore Giovanni III (Inscriptiones Christianae urbis Romae, II, p. 139, n. 27; p. 65, n. 18).
Morì il 2 marzo 561. Fu sepolto a S. Pietro in Vaticano «ante secretarium» (Inscriptiones Christianae urbis Romae. Nova series, n. 4155).
Fonti e Bibl.: I.D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, VIII, Florentiae 1762, coll. 873-1162; Vitarum Patrum liber V, in PL, LXXIII, coll. 851-986; L. Duchesne, Vigile et Pélage. Étude sur l’histoire de l’Église romaine au milieu du VIe siècle, in Revue des questions historiques, XXVI (1884), pp. 369-440; Id., Les papes du VIe siècle et le second concile de Constantinople. Réponse de M. l’abbé Duchesne, ibid., XXXVII (1885), pp. 579-593; Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 1886, pp. 303 s.; Inscriptiones Christiane urbis Romae septimo saeculo antiquiores, a cura di G.B. de Rossi, II, Romae 1888, pp. 65, 139, 208; Supplementum, a cura di I. Gatti, Romae 1915; Inscriptiones Christianae urbis Romae. Nova series, II, a cura di G.B. de Rossi-A. Silvagni, Romae-In Civitate Vaticana 1935; Michel le Syrien, Chroniques IX, 24, a cura di J.-B. Chabot, Paris 1889-1924, pp. 206 s.; Marcellinus comes, Chronicon, in MGH, Auctores antiquissimi, XI, a cura di T. Mommsen, 1893, pp. 120-161; Procopius, De bellis VII, 16, 5-17; 20, 23-25; 21, 17-18, a cura di J. Haury, Leipzig 1905; C.-J. Hefele-H. Leclercq, Histoire des conciles d’après les documents originaux, III, 1, Paris 1909, pp. 141-148; L. Duchesne, L’Église au VIe siècle, Paris 1925, pp. 155-175, 219-238; E. Caspar, Geschichte des Papsttums, II, Tübingen 1933, pp. 286-304; P. Batiffol, L’empereur Justinien et le Siège apostolique, in Id., Cathedra Petri, Paris 1938, pp. 286-317; N. Ertl, «Diktatoren frühmittelalterlichen Papstbriefe», in Archiv für Urkundenforschung, XV (1938), pp. 67-70; E. Stein-J.-R. Palanque, Histoire du Bas-Empire, II, Paris 1948, pp. 351, 353, 387-389, 669-675; L. Abramowski, Die Zitate in den Schriften «In defensione Trium capitulorum» des römischen Diakons Pelagius, in Vigiliae Christianae, X (1956), pp. 160-193; W. Ensslin, Justinian I. und die Patriarchate v. Rom und Konstantinopel, in Symbolae Osloenses, XXXV (1959), pp. 123-127; C.M. Batlle, Die «Adhortationes sanctorum Patrum» («Verba Seniorum») im lateinischen Mittelalter. Überlieferung, Fortleben und Wirkung, Münster i. W. 1972; L. Magi, La sede romana nella corrispondenza degli imperatori e patriarchi bizantini (VI-VII secolo), Rome-Louvain 1972, pp. 161-174; Vigilius papa, Epistula ad Rusticum et Sebastianum, in Acta Conciliorum Oecumenicorum, IV, 2, a cura di E. Schwartz, Berlin-Leipzig 1913, pp. 188-194; Pelagius diaconus ecclesiae romanae, In defensione Trium Capitulorum, a cura di R. Devreesse, Città del Vaticano 1932; Liberatus diaconus carthaginensis, Breviarium causae Nestorianorum et Eutychianorum, in Acta Conciliorum Oecumenicorum, II, 5, a cura di E. Schwartz, Berlin-Leipzig 1936, pp. 98-141; Justinianus Augustus, Confessio fidei adversus Tria Capitula, in E. Schwartz, Drei dogmatische Schriften Iustinians, München 1939; Pelagii I papae Epistulae quae supersunt, a cura di M. Gasso-C.M. Batlle, Montserrat 1956; Procopius, Historia Arcana 27, 24, a cura di H.B. Dewing, London-Cambridge 1960, p. 324; Facundus episcopus Hermianensis, Pro defensione trium capitulorum, a cura di J.-M. Clément-R. Vander Plaetse, Turnholti 1974 (Corpus Christianorum, Series Latina, 90A), pp. 1-398; Id., Liber contra Mocianum Scholasticum, ibid., pp. 401-416; Id., Epistula fidei catholicae in defensione trium capitulorum, ibid., pp. 419-434; C. Sotinel, Emperors and Popes in the Sixth Century, in The Cambridge Companion to the Age of Justinian, a cura di M. Maas, Cambridge 2005, p. 267-290; C. Sotinel, The Three Chapters and the transformations of Italy, in The Three Chapters and the failed quest for unity (Studies in the Early Middle Ages), a cura di C. Chazelles - K. Kubitt, Turnhout, 2007, pp. 82-120. Si vedano inoltre: Dictionnaire de théologie catholique, XII, 1, Paris 1932-33, s.v., coll. 660-669; Enciclopedia cattolica, IX, s.v., coll. 1077 s.; Lexikon für Theologie und Kirche, VIII, Freiburg 19632, s.v., coll. 249 s.; Catholicisme, X, Paris 1985, s.v., coll. 1087-1090; Dizionario storico del Papato, a cura di Ph. Levillain, II, Milano 1996, s.v., pp. 1115-1118; Prosopographie chrétienne du Bas-Empire. Italie, 1, a cura di L. Pietri et alii, Rome 2000, s.v., pp. 1710-1716; Enciclopedia dei Papi, Roma 2000, s.v., pp. 508-536.