SERGIO III, papa
SERGIO III, papa. – Figlio di Benedetto e romano di origine: queste sono le scarse notizie sulla provenienza di Sergio III che si trovano nel Liber pontificalis, mentre la data della nascita è sconosciuta.
Probabilmente appartenne a una nobile famiglia romana e alcuni storici, tra cui Ferdinand Gregorovius, hanno formulato l’ipotesi, non confermata però da alcuna testimonianza storica, che si sia trattato proprio della famiglia di Teofilatto, che nel primo decennio del X secolo, e in particolare durante il pontificato di Sergio, riuscì a imporsi sulle altre famiglie aristocratiche romane.
A proposito della sua paternità, vale la pena di ricordare che alcuni studiosi, basandosi sul passo dell’iscrizione sepolcrale, dove si dice che Sergio raggiunse il culmine della Sede apostolica, eletto «in iure paterno», quando morì Teodoro II, hanno sostenuto che egli abbia avanzato delle pretese sul trono pontificio per diritto ereditario; se tale interpretazione potesse essere accolta, si dovrebbe ipotizzare che suo padre fosse Benedetto III, papa dall’855 all’858. Proprio a Sergio, quindi, farebbe riferimento il passo dell’Invectiva in Romam, un’opera anonima dell’inizio del X secolo, scritta in favore di papa Formoso, in cui si dice che quest’ultimo non considerò mai il papato una carica ereditaria, come invece fecero altri – «nonnulli» – secondo quanto si legge nelle decretali pseudoisidoriane – «in decretis Hilarii pape». Contro tale interpretazione è stato rilevato prima di tutto che l’espressione «in iure paterno» che troviamo nell’iscrizione non significa ‘per diritto ereditario’, bensì ‘secondo il diritto dei Padri’, in altre parole ‘conformemente ai canoni ecclesiastici’, in secondo luogo che l’affermazione è generica e non sembra in alcun modo riferirsi a un papa in particolare; essa si può facilmente comprendere nella situazione in cui scriveva l’autore, cioè durante il pontificato di Giovanni X, eletto nel 914: in questi anni il papato era nei fatti divenuto una carica ereditaria, «non nel senso proprio della parola, ma nel senso che una sola famiglia aveva nelle sue mani le sorti del papato ed, a suo piacimento, faceva e disfaceva i pontefici» (Fedele, 1910).
Se, infatti, è da accogliersi cautamente la testimonianza di Liutprando secondo il quale Giovanni ottenne il seggio pontificio grazie alla presunta amante Teodora, moglie di Teofilatto, è certo che Giovanni era legato alla famiglia di quest’ultimo fin da quando ricopriva la cattedra arcivescovile di Ravenna.
Quanto alla carriera ecclesiastica di Sergio, sappiamo che egli fu consacrato suddiacono da papa Marino I, diacono da Stefano V, prete e poi vescovo di S. Maria di Cere da Formoso, presumibilmente nell’893. Dopo la morte di Formoso, rinunciò però alla carica di vescovo, dichiarando di essere stato consacrato contro la sua volontà. Tornò anzi al diaconato, rinunciando dunque anche all’ordinazione sacerdotale, impartitagli anch’essa da Formoso. A informarci su questi avvenimenti è Ausilio, un prete ordinato da Formoso probabilmente a Napoli, che, colpito dalla ripresa e dall’inasprimento dei provvedimenti contro le ordinazioni formosiane stabilito da Sergio, reagì scrivendo quattro opuscoli polemici negli anni tra il 908 e il 912. Durante il pontificato di Stefano VI, però, Sergio dovette essere di nuovo consacrato prete, se più tardi, negli atti del Concilio ravennate dell’898, viene chiamato «presbyter». La rinuncia alla sede episcopale e all’ordinazione sacerdotale si spiega nel contesto della polemica sulla validità delle ordinazioni formosiane. Dopo la morte di papa Formoso, tra il dicembre dell’896 e il febbraio dell’897, il nuovo pontefice Stefano VI indisse il cosiddetto sinodo del cadavere, in cui Formoso, che era già morto da nove mesi, fu dissotterrato e posto a sedere di fronte a un tribunale dal quale fu condannato per aver ottenuto il papato irregolarmente. Nello stesso sinodo dell’897 si procedette anche all’annullamento delle ordinazioni romane di Formoso, un provvedimento che aveva tra l’altro la conseguenza di rendere inattaccabile la posizione dello stesso Stefano, il quale era stato nominato da Formoso vescovo di Anagni e quindi non sarebbe potuto diventare, neppure lui, vescovo di Roma. Forse anche la retrocessione di Sergio al diaconato fu una conseguenza delle decisioni prese in questa assemblea.
Le fonti non contengono notizie su di lui relative agli anni dei pontificati di Romano e di Teodoro II. Nell’898, dopo la morte di Teodoro II, furono eletti al pontificato contemporaneamente Sergio e Giovanni, ma solo quest’ultimo riuscì a essere consacrato, mentre Sergio fu costretto all’esilio. Durante il Concilio di Ravenna dell’898, indetto dal nuovo pontefice Giovanni IX per concludere il processo di riabilitazione di Formoso, già avviato da Teodoro II, e svoltosi alla presenza dell’imperatore Lamberto, gli atti del ‘sinodo del cadavere’ furono annullati e fatti bruciare, Sergio fu condannato e «allontanato dal grembo della Chiesa». Tutti gli atti di Formoso, le ordinazioni e l’incoronazione di Lamberto, avvenuta nell’892, furono di nuovo considerati validi, mentre non lo fu l’incoronazione di Arnolfo, avvenuta nell’896, dopo che questi aveva cacciato da Roma Ageltrude e Guido IV di Spoleto, reggente della Marca in nome dell’imperatore Lamberto.
Il Concilio riunitosi a Ravenna deliberò anche su questioni diverse relative ai rapporti tra la Chiesa e l’Impero: si stabilì che le elezioni dei pontefici si sarebbero svolte in futuro alla presenza dei ‘missi’ imperiali – secondo una prassi già stabilita da uno statuto di Lotario dell’824; che i romani avrebbero potuto appellarsi all’imperatore per ottenere giustizia; che fossero restituiti alla Chiesa i patrimoni confiscati dopo l’incoronazione di Guido di Spoleto. Tali decisioni furono espressione di una comune volontà, del pontefice e di Lamberto, di raggiungere un nuovo accordo tra il papato e l’imperatore della casa di Spoleto; un accordo tanto più auspicabile in un momento in cui la situazione di Roma e dei dintorni si era fatta drammatica, non soltanto a causa delle incursioni dei Saraceni, ma anche a causa delle irrequiete forze locali, che tendevano a sottrarsi a ogni autorità.
L’affermarsi della famiglia di Teofilatto a Roma è il risultato del prevalere, dopo la morte di Lamberto (898) e quella di Giovanni IX (900), di queste forze, su cui poggiò il potere di Sergio III. Secondo Liutprando, questi, dopo la mancata elezione, si era rifugiato presso il marchese di Toscana Adalberto II, dove rimase nel periodo che seguì la morte di Giovanni, e vide susseguirsi le elezioni di Benedetto IV, Leone V e Cristoforo, che considerò sempre illegittime, come dimostrano i suoi primi atti, datati all’ottavo anno di pontificato. Infine Sergio riuscì a rientrare a Roma con l’aiuto dello stesso Adalberto. Ausilio invece afferma che egli aveva a lungo dimorato presso i franchi e che con il loro aiuto, d’accordo con alcuni nobili romani, aveva fatto catturare e rinchiudere Cristoforo, era riuscito a entrare a Roma segretamente e si era insediato al suo posto. Da parte sua Eugenio Vulgario, autore di due trattati in difesa delle ordinazioni formosiane, dice che Sergio ottenne il pontificato «con intrighi e sedizioni, combattendo». Con il termine franchi dobbiamo intendere gli spoletini; sarebbe stato dunque non Adalberto di Toscana bensì Alberico di Spoleto, con la famiglia di Teofilatto, ad aiutare Sergio a tornare a Roma e a insediarsi sul soglio pontificio. Comunque le versioni, pur divergenti, dello storico Liutprando e del libellista Ausilio non si escludono necessariamente a vicenda, potendosi ipotizzare un’intesa tra Alberico e Adalberto.
Al di là di queste diverse tradizioni, la data della sua elezione può essere posta al 29 gennaio 904. Il suo pontificato, che si svolse in una prospettiva decisamente ‘locale’ e non ebbe più neanche una parvenza di controparte imperiale dopo la sconfitta e l’accecamento di Ludovico di Provenza (luglio 905) da parte di Berengario del Friuli, segnò la ripresa della politica antiformosiana con l’invalidazione di tutte le ordinazioni, romane e non, di Formoso, e con le conseguenti minacce al clero per ridurlo alle sue decisioni. È questo l’aspetto del suo pontificato sul quale si hanno maggiori notizie, tutte di parte avversa. Lo storico Liutprando parla di amori illeciti tra Sergio, ormai non più giovane, e Marozia, figlia di Teofilatto, da cui sarebbe nato il futuro papa Giovanni XI, che egli però pone come successore di Giovanni X, ignorando i pontificati di Leone VI e Stefano VII. A testimonianza della relazione con Marozia sono anche alcuni cataloghi pontificali. Marozia, in ogni caso, probabilmente intorno al 915, si unirà, ma è incerto se con legittime nozze, ad Alberico di Spoleto, sigillando l’alleanza tra l’aristocrazia romana e la casa spoletina. Tuttavia, questa alleanza non escluse, a quanto sembra, altri tentativi di Sergio in direzioni diverse. Una lettera – contenuta nel cosiddetto rotolo opistografo di Antonio Pio –, indirizzata da Sergio a Giovanni vescovo di Pola, in cui il papa assicura a quest’ultimo che Berengario non riceverà la corona imperiale se prima non avrà provveduto ad allontanare dalla sua carica il conte Alboino, marchese d’Istria, e un’altra lettera, sempre indirizzata a Giovanni di Pola dal vescovo Giovanni di Ravenna (il futuro Giovanni X), in cui si parla del viaggio di Berengario a Roma come prossimo, testimoniano l’esistenza di accordi tra il papa e Berengario per l’incoronazione imperiale, accordi e trattative che probabilmente si interruppero con la morte di Sergio III.
Per quel che riguarda i suoi rapporti con l’Oriente, sappiamo che egli intervenne in favore dell’imperatore Leone VI il Saggio, quando questi, dopo la morte delle prime tre mogli, decise di sposarsi per la quarta volta.
A Sergio, infine, si deve la ricostruzione della basilica lateranense, già iniziata da Giovanni IX, il quale però non aveva potuto portare a termine i lavori a causa delle difficoltà incontrate nel procurarsi il materiale per la costruzione, date le condizioni in cui versava la campagna nei dintorni di Roma; lamentava infatti il pontefice al Concilio di Ravenna, di fronte all’imperatore Lamberto, che dei «malitiosi homines» impedivano agli operai la raccolta della legna nei boschi. Nel corso dei lavori di ricostruzione ripresi per volere di Sergio sembra che siano state rispettate le fondamenta e le proporzioni dell’antica costruzione. Non fu però lui – come sostiene Gregorovius – a stabilire che patrono della basilica fosse, insieme al Salvatore, s. Giovanni; infatti i nomi del Battista e dell’Evangelista, cui era stato dedicato un monastero di benedettini presso il Laterano, erano già stati aggiunti a quello del Salvatore dopo il IV secolo. Insieme alla basilica fu restaurato anche il palazzo lateranense, crollato durante il pontificato di Stefano VI e non ancora completamente ricostruito. Per ricordare l’impresa portata a termine furono composte delle iscrizioni, ora tutte scomparse (Inscriptiones Christianae urbis Romae..., 1888, p. 306). Una epigrafe era posta nell’abside della basilica e scomparve nel 1291, durante la ristrutturazione disposta da Niccolò IV; la seconda, di carattere propriamente dedicatorio, si trovava al di sopra della porta d’entrata, all’interno della chiesa, nella controfacciata; la terza e la quarta erano poste sulle pareti laterali della navata, e dovevano contenere l’elenco delle donazioni di Sergio alla basilica (Krautheimer - Corbett - Frazer, 1980, pp. 69 s.).
Morì a Roma il 14 aprile 911.
Fonti e Bibl.: Ausilio, De ordinationibus a Formoso papa factis, in PL, CXXIX, coll. 1059-1074; Id., Infensor et defensor, ibid., coll. 1077-1102; Eugenio Vulgario, De causa et negotio Formosi papae (o Insimulator et Actor), ibid., coll. 1103-1112; Flodoardo, De Christi triumphis apud Italiam XII, 5, ibid., CXXXV, coll. 825-830; Ausilio, In defensionem sacrae ordinationis papae Formosi, in E. Dümmler, Auxilius und Vulgarius..., Leipzig 1866, p. 95; Id., De ordinationibus a Formoso papa factis, ibid., pp. 107-116 (solo i capitoli 36, 39 e 40 in una redazione diversa da quella della PL); Eugenio Vulgario, De causa Formosiana libellus, ibid., pp. 117-139; Invectiva in Romam pro Formoso papa, in E. Dümmler, Gesta Berengarii Imperatoris. Beiträge zur Geschichte Italiens im Anfange des 10. Jahrhunderts, Halle 1871; Regesta Pontificum Romanorum, a cura di Ph. Jaffé et al., I, Lipsiae 1885, pp. 445-447; Inscriptiones Christianae urbis Romae septimo saeculo antiquiores, a cura di G.B. de Rossi, II, 1, Romae 1888, p. 306; Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, II, Paris 1892, pp. 236-238; Eugenio Vulgario, Sylloga, in MGH, Poëtae Latini Medii Aevi, IV, 1, a cura di P. von Winterfeld, Hannoverae 1899, pp. 406-444; Liutprandi Antapodosis, in MGH, Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum, XLI, a cura di J. Becker, Hannoverae-Lipsiae 1915; Benedicti Chronicon, a cura di G. Zucchetti, Roma 1920. Per i canoni del Concilio di Ravenna dell’898, si veda MGH, Leges, Legum sectio II, Capitularia regum Francorum, II, 3, a cura di A. Boretius - V. Krause, Hannoverae 1897, pp. 123-126; si vedano inoltre I.D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, XVIII, Venetiis 1773, coll. 221-228 (per i canoni attribuiti a un concilio romano e formulati invece anch’essi a Ravenna); C. Carbonetti Vendittelli, Le più antiche carte del convento di San Sisto in Roma (905-1300), Roma 1987, pp. 2-8; M. Armellini, Le chiese di Roma, Roma 1891, pp. 91-94; L. Saltet, Les réordinations. Étude sur le sacrement de l’ordre, Paris 1907; P. Fedele, Ricerche per la storia di Roma e del papato nel secolo X, in Archivio della R. Società romana di storia patria, XXXIII (1910), pp. 177-240; L. Duchesne, Les premiers temps de l’état pontifical, Paris 1911, pp. 251-324; Ch.J. Hefele - H. Leclercq, Histoire des conciles d’après les documents originaux, IV, Paris 1911; P. Lauer, Le Palais de Latran, Paris 1911, pp. 136-140; L. Duchesne, Serge III et Jean IX, in Mélanges d’archéologie et d’histoire, XXXIII (1913), pp. 25-64; J. Duhr, Le concile de Ravenne en 898. La réhabilitation du pape Formose, in Recherches de science religieuse, XXII (1932), 5, pp. 541-579; D. Pop, La défense du pape Formose, Paris 1933; Lexikon für Theologie und Kirche, IX, Freiburg 1937, pp. 492 s.; Dictionnaire de théologie catholique, XIV, 1, Paris 1941, coll. 1918-1921; P. Brezzi, Roma e l’Impero medioevale, Bologna 1947, pp. 83-113; É. Amann, Storia della Chiesa, VI, L’epoca carolingia 757-888, Torino 1948; G. Arnaldi, Papa Formoso e gli imperatori della casa di Spoleto, in Annali della facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Napoli, 1, 1951; E. Amann - A. Dumas, Storia della Chiesa, VII, L’epoca feudale 888-1057, Torino 1953; G. Arnaldi, Alberico di Spoleto, in Dizionario biografico degli Italiani, I, Roma 1960, pp. 657-659; Id., Alberico di Roma, ibid., pp. 647-656; F. Gregorovius, Storia della città di Roma nel Medioevo, I, Torino 1973, V, 7, VI, 1; P. Llewellyn, Roma nei secoli oscuri, Bari 1975, pp. 235-260; R. Krautheimer - S. Corbett - A. Frazer, Corpus basilicarum christianarum Romae. Le basiliche paleocristiane di Roma (sec. IV-IX), V, Città del Vaticano 1980, pp. 11 s., 69 s., 95; G. Arnaldi, Rinascita, fine, reincarnazione e successive metamorfosi del senato romano (secoli VI-XII), in Archivio della Società romana di storia patria, CV (1982), pp. 5-56; S. Scholz, Transmigration und Traslation. Studien zum Bistumswechsel der Bischöfe von der Spätantike bis zum Hohen Mittelalter, Köln-Weimar-Wien 1992; C. Gnocchi, Ausilio e Vulgario. L’eco della ‘questione formosiana’ in area napoletana, in Mélanges de l’École Française de Rome, CVII (1995), 1, pp. 65-75; Dizionario storico del Papato, a cura di Ph. Levillain, II, Milano 1996, pp. 1372 s.; Lexicon Topographicum Urbis Romae, IV, Roma 1999, s.v. S. Salvator, basilica, pp. 231-233; C. Gnocchi, Sergio III, in Enciclopedia dei papi, II, Roma 2000, pp. 60-63.