SILVERIO, papa
SILVERIO, papa. – Forse appartenente alla famiglia dei Cecilii, nacque a Fondi, nel basso Lazio, probabilmente entro la fine del secolo V, da Ormisda, vescovo di Roma dal 514 al 526 (Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, 1886, pp. 290-295; Liberatus archidiaconus Carthaginensis, Breviarium causae Nestorianorum et Eutychianorum, in Acta Conciliorum Oecumenicorum, II, 5, a cura di E. Schwartz, Berlin-Leipzig 1936, XXII, pp. 98-141).
Alla morte del padre compose il suo epitaffio (Inscriptiones Christianae urbis Romae septimo saeculo antiquiores, a cura di G.B. de Rossi, 1857-1888, II, n. 15, p. 130; Inscriptiones latinae Christianae veteres, a cura di E. Diehl, 1961, I, n. 984, p. 184), nel quale riassunse le tappe più importanti del pontificato di Ormisda. Le fonti archeologiche menzionano un parente prossimo di Ormisda, Geronzio (m. 565), collaboratore di questi e primicerius dei notai (Inscriptiones Christianae..., cit., I, n. 1098, p. 501; Inscriptiones latinae..., cit., n. 1312, pp. 252 s.). Sebbene non sia possibile valutare con certezza i legami di parentela, è interessante notare che tre esponenti di una famiglia non originaria dell’Urbe ricoprirono ruoli importanti nella gerarchia ecclesiastica.
Silverio fu suddiacono prima dell’elevazione a pontefice, avvenuta l’8 giugno 536 quale successore di Agapito, morto a Costantinopoli: così riferisce Liberato di Cartagine (Brevarium..., cit., XXII), secondo il quale l’elezione fu dovuta genericamente alla volontà dei Romani, mentre la prima parte della biografia del Liber pontificalis riporta che l’elezione fu dovuta alla violenza gota.
A Constantinopoli invece – non è possibile determinare a quanto tempo di distanza rispetto a quanto accaduto a Roma – l’imperatrice Teodora aveva trovato nel diacono Vigilio, apocrisario presso la sede imperiale, un candidato più attento alle richieste greche in materia di fede (in particolare riguardo alla riabilitazione del patriarca monofisita Antimo, a lei vicino).
Secondo il Liber sarebbe stato Teodato re dei Goti, corrotto da un’ingente somma di denaro – non è possibile capire se elargita dal futuro pontefice o da altri – a far eleggere Silverio contro il volere del clero, minacciando di morte coloro che si opponevano alla sua elezione. Il clero però non si sarebbe piegato subito al volere goto, e si sarebbe rifiutato di firmare i decreti di elezione. Solo l’amore per la Chiesa, e il desiderio di preservare l’unità, portarono alla definitiva accettazione dell’elezione.
Secondo Liberato di Cartagine (Breviarium..., cit., XXII) l’unità era messa a repentaglio dall’intervento dell’imperatrice Teodora, che, come accennato, alla morte di Agapito aveva promesso di favorire l’elezione del diacono Vigilio, purché, oltre a corrispondere un’ingente somma e a riabilitare Antimo, smentisse quanto poco prima (2-4 giugno 536) aveva sancito un concilio presieduto dal patriarca filocalcedoniano Mena.
In ogni caso è difficile una ricostruzione cronologicamente e tematicamente coerente, date la forte dimensione ideologica delle fonti a nostra disposizione e l’asserita simultaneità degli eventi tra Costantinopoli e Roma. A ciò si aggiunge anche il fatto che la stessa biografia contenuta nel Liber pontificalis è chiaramente stata scritta da due scrittori o in due momenti differenti. La prima parte, infatti, è decisamente ostile a Silverio, mentre la seconda ne tratteggia un quadro quasi agiografico.
Qualche mese dopo l’elezione di Silverio Teodato fu deposto e i Goti trovarono una nuova coesione sotto la guida di Vitige, che si recò a Roma e tenne un’allocuzione al popolo, al senato e al clero cittadino per fidelizzare a sé i Romani e ottenere l’appoggio papale contro la riconquista bizantina, lasciando poi una guarnigione di 1000 uomini (La guerra gotica..., a cura di D. Comparetti, II, 1895-1898, l. I, 11, p. 89). Ma di lì a poco, nei primi giorni di dicembre dello stesso anno, le truppe imperiali, guidate da Belisario, assediarono Roma e fu proprio l’intervento di Silverio a favorire la resa della città (timorosa di subire lo stesso trattamento riservato dal comandante bizantino ai napoletani) e l’apertura delle porte cittadine ai Bizantini il 9 dello stesso mese (ibid.). Dopo pochi mesi, tuttavia, i Goti entrarono nuovamente in città con il consenso della popolazione (27 febbraio 537); in questa occasione Silverio fu accusato di aver loro aperto le porte.
Le accuse di tradimento, mossegli dai Bizantini, segnarono l’inizio della fine del pontificato di Silverio: infatti, dopo queste e dopo ripetute convocazioni da parte delle autorità, fu costretto all’esilio.
Anche in occasione di questi eventi, parzialità e impostazione ideologica delle fonti ostacolano seriamente la ricostruzione dei fatti. Per quanto riguarda le accuse, da alcune indicazioni presenti nel Liber pontifcalis sembra che Silverio sia stato vittima di una sorta di congiura ordita tra Roma e Costantinopoli e orchestrata dall’imperatrice Teodora e dalla moglie di Belisario, Antonina, alla quale non sarebbe stato estraneo nemmeno il diacono Vigilio, che insieme all’imperatrice, con la collaborazione del prudente Belisario, avrebbe voluto sostituire Silverio. Questa dimensione è resa ancora più chiara dal fatto che il Liber citi le accuse solo dopo il rifiuto del papa a cedere alle richieste dell’imperatrice, che gli chiedeva di ritrattare le disposizioni del suo predecessore. L’autore della seconda parte della biografia, infatti, parla esplicitamente di ‘pretesti’ che Belisario avrebbe dovuto trovare per deporre il presule e sostituirlo con Vigilio. Di fronte ai tentennamenti del generale, i Bizantini avrebbero fatto circolare la notizia calunniosa di un tradimento del pontefice, in modo tale da spingere Belisario ad agire contro di lui. È interessante come la fonte romana ci tenga a salvaguardare la posizione di Belisario che, rispetto a queste vicende, viene rappresentato sempre timoroso dell’azione condotta contro il pontefice. Liberato (Breviarium..., XXII) attribuisce la prima convocazione alla congiunta volontà di Vigilio e dell’imperatrice, che desideravano sostituire al più presto il pontefice. Volontà che sarebbe stata comunicata al generale dal diacono romano a Ravenna, subito dopo l’elezione di Silverio. Egli inoltre indica i nomi di coloro che avevano redatto le false lettere dirette da Silverio ai Goti, cioè il grammatico Marco e il pretoriano Giuliano. La questione è trattata in maniera più sbrigativa, ma uniforme nella sostanza dei fatti, da parte di Procopio, il quale ci dice che Silverio fu esiliato poiché accusato di complottare contro i Greci.
Per quanto riguarda le successive tappe dell’iter ‘ispettivo’ al quale Silverio fu sottoposto, vale a dire le convocazioni presso il palazzo Pinciano e il successivo esilio, la differenza tra le fonti si ripresenta anche riguardo al numero di convocazioni di Silverio nel palazzo di Belisario, sia sulle destinazioni dell’esilio, così come sulle circostanze della sua morte.
Per Procopio (La guerra gotica..., cit., l. I, 25, p. 189) Belisario avrebbe inviato il papa in esilio in Grecia perché considerato un traditore – evento questo che sembra trovare riscontro nella narrazione di Liberato. Negli Anedocta invece egli sostiene che il pontefice fu ucciso da un servitore della moglie di Belisario, di nome Eugenes. Per il Liber pontificalis il papa era stato convocato due volte: una prima per essere convinto ad accettare le condizioni dell’imperatrice, e una seconda per essere giudicato riguardo all’accusa di tradimento. In questo secondo incontro, avvenuto alla presenza di Belisario, di sua moglie e del diacono Vigilio, Silverio fu privato del pallium e spogliato degli abiti papali a opera del suddiacono Giovanni della prima regione (quella dell’Aventino) e rivestito con l’abito monastico, per essere poi imprigionato. A questo punto il diacono della sesta regione (la zona vaticana) comunicò al clero che il papa era stato deposto, creando scompiglio. Liberato (Breviarium..., cit., XXII) riferisce invece di tre convocazioni, collocando le false accuse già nel primo incontro tra Belissario e il papa, durante il quale, come per il Liber pontificalis, il generale e la moglie avrebbero tentato di convincere il presule a cedere alle pressioni greche. In questa occasione, Silverio avrebbe cambiato la propria sede dal Laterano, troppo vicino alle mura cittadine, in favore della più protetta basilica di S. Sabina, sull’Aventino. Nel secondo incontro presso il palazzo Pinciano, Silverio provò a convincere il generale della propria innocenza prestando giuramento, cosa che gli permise di ritornare incolume alla propria basilica. Infine, in occasione della terza convocazione il pontefice fu preso prigioniero e inviato in esilio presso Patara in Licia. Durante l’esilio in Asia Minore Silverio avrebbe incontrato il vescovo locale che, indignato per la sorte del pontefice, chiese spiegazioni di quanto avvenuto a Giustiniano. L’imperatore sostenne di essere ignaro della vicenda e, malgrado le proteste dell’apocrisario Pelagio, vicino all’imperatrice, dispose che il papa facesse ritorno a Roma e istituì un’inchiesta per accertare la veridicità delle accuse. Se le lettere si fossero rivelate false, Silverio sarebbe stato reintegrato nella sua sede; mentre nel caso contrario sarebbe stato inviato come vescovo in una qualsivoglia altra sede.
Non è dato sapere quale fu l’esito dell’inchiesta, ma il pontefice fece ritorno a Roma. Vigilio, atterrito per il rientro del suo avversario, chiese a Belisario di affidarglielo.
A questo punto Vigilio aveva campo libero per poter essere eletto, non prima però di aver esiliato il suo predecessore a Palmarola, una delle isole pontine, o a Ponza, dove, sotto la sua tutela – l’autore della biografia del Liber pontificalis è ironico – morì d’inedia, il 20 giugno 537. Qui la sua tomba divenne ben presto oggetto di venerazione per le sue virtù miracolose.
Le difficoltà di giungere a una ricostruzione coerente e unitaria della biografia di Silverio testimoniano chiaramente la complessità del periodo nel quale egli si trovò a esercitare il suo ruolo episcopale, cioè gli anni iniziali della guerra greco-gotica. Membro di una famiglia che aveva costruito parte della propria fortuna sociale ricoprendo ruoli di alto rilievo nella gerarchia ecclesiastica, Silverio si trovò a essere il presule di una città ormai privata della propria indipendenza, schiacciata tra il potere goto e quello bizantino. Ciò emerge con evidenza dal diverso tenore delle notizie che lo riguardano, fortemente segnate dal clima dell’epoca. Sebbene, infatti, tutte concordino su alcuni punti fondamentali del suo pontificato (accuse di tradimento avanzate dai Bizantini ed esilio), ognuna presenta una lettura orientata e funzionale della sua vicenda storica.
Fonti e Bibl.: Inscriptiones Christianae urbis Romae septimo saeculo antiquiores, a cura di G.B. de Rossi, Romae 1857-1888, I, n. 1098, p. 501 (epitaffio di Gerontius), II, n. 15, p. 130; Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 1886, pp. CCXXXI-CCXXXII (doppia redazione della notizia di Silverio), pp. 290-293 (vita di Silverio), pp. 297-302 (vita di Vigilio); Victor Tonnennensis episcopus, Chronica. A. CCCCXLIV-DLXVII, in MGH, Auctores antiquissimi, XI, 2, Chronica minora, a cura di Th. Mommsen, Berolini 1894, pp. 184-206; La guerra gotica di Procopio di Cesarea, a cura di D. Comparetti, II, Roma 1895-1898, l. I, 11, p. 89, 25, p. 189; Liberatus archidiaconus Carthaginensis, Breviarium causae Nestorianorum et Eutychianorum, 22, in Acta Conciliorum Oecumenicorum, II, 5, a cura di E. Schwartz, Berlin-Leipzig 1936, pp. 98-141; Procopius, Historia Arcana 27, 24, a cura di H.B. Dewing, London-Cambridge 1960, p. 324; Inscriptiones latinae Christianae veteres, a cura di E. Diehl, I, Berolini 1961, n. 984, p. 184, n. 1312, pp. 252 s.
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