SISTO V, papa
SISTO V, papa. – Felice di Peretto nacque venerdì 13 dicembre 1521 a Grottammare, castello del Comitato di Fermo, nella Marca di Ancona, da Piergentile di Giacomo, detto Peretto, e da Mariana di Frontillo di Camerino.
Quarto di sette figli, fu battezzato il 26 dicembre nella chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista. Dei suoi fratelli sono noti Camilla, maggiore di due anni, e Prospero, più giovane, tutti nati a Grottammare. Gli altri scomparvero prematuramente.
Felice all’età di sette anni andò a scuola nel convento degli agostiniani di Grottammare. Verso il 1530 fu affidato allo zio, il francescano conventuale fra Salvatore Ricci, affinché proseguisse gli studi intrapresi. Accolto nel convento di Grottammare come oblato, venne inviato a studiare alla scuola istituita dal Comune, dove imparò grammatica, retorica e poesia latina sotto la guida di Vincenzo Ferneto di Montedinove, Napuliò Filarete di S. Vittoria in Matenano e Pio Ottaviano Umili di Patrignone.
Nel 1535 vestì l’abito francescano e l’anno seguente emise i voti religiosi tra i francescani conventuali. Nel 1537 intraprese lo studio della filosofia, previsto per un triennio, probabilmente nel convento di Fermo. Proseguì a Pesaro nel 1538, a Iesi nel 1539, ad Arcevia nel 1540. Il 1° settembre 1540 entrò come studente di teologia nello Studio di Ferrara. Nel maggio del 1543, per interessamento dello zio Salvatore Ricci, il generale Bonaventura Fauni da Costacciaro lo inviò allo studio generale di Bologna, dove rimase fino al settembre del 1544 e poté ascoltare le lezioni di Giovanni Bernieri da Correggio. Dal 1544 al 1546 fu baccelliere di convento, cioè insegnante di metafisica e diritto canonico, nello Studio di Rimini; venne quindi trasferito a Siena con lo stesso incarico, rimanendovi dal 1546 al 1548. Nel 1547 fu ordinato sacerdote. Il 22 luglio 1548 il generale Fauni gli concesse il titolo di maestro, che gli fu conferito il 26 luglio a Fermo, nella chiesa di S. Francesco.
Fra Felice aveva iniziato l’attività di predicatore nel 1540, non ancora sacerdote. Nel 1549 fu chiamato al capitolo generale riunito ad Assisi, dove sostenne conclusioni teologiche contro Antonio Persico, seguace di Bernardino Telesio. Qui fu notato dal cardinale Rodolfo Pio da Carpi, protettore dei francescani, che ne avrebbe favorito la carriera.
Nel 1552, chiamato dal cardinale Rodolfo Pio da Carpi, predicò la quaresima nella chiesa dei Ss. Apostoli. Accusato per le sue dottrine presso l’Inquisizione, superò l’esame del commissario generale, Michele Ghislieri, con il quale entrò in sintonia. Trattenuto a Roma per diretto interessamento di Giulio III, che gli assegnò una congrua pensione, protetto dai cardinali Girolamo Dandino e Fulvio Della Cornia, fra Felice per il resto dell’anno commentò tre volte la settimana la Lettera di s. Paolo ai Romani e diede lezioni di filosofia ai figli di Ascanio Colonna: Marcantonio, poi arcivescovo di Taranto, e Stefano. A Roma entrò in contatto con esponenti della Curia e con i protagonisti delle correnti di rinnovamento: Ignazio di Loyola, Filippo Neri, il cappuccino Felice da Cantalice e il cardinale Gian Pietro Carafa. Fondò la Confraternita del Ss. Sacramento a sollievo dei poveri.
Nel 1553 Peretti predicò a Genova; il capitolo generale qui riunito lo inviò a reggere lo Studio di Napoli, eretto nel convento di S. Lorenzo Maggiore, dove svolse anche mansioni di inquisitore delegato, assieme a Scipione Rebiba, e predicò la quaresima del 1554. Nel 1555 predicò la quaresima nel duomo di Perugia su richiesta del cardinale Della Cornia e alla fine dell’anno pubblicò un commento al Vangelo di Matteo.
Ritornò a Roma all’inizio del 1556, quando Paolo IV, il 20 gennaio, riunì una commissione di studio per la riforma della Curia romana, composta da circa sessanta membri. Nel maggio dello stesso anno il capitolo generale riunito a Brescia lo nominò reggente dello Studio di Venezia per tre anni. Nel mese di luglio prese possesso del suo nuovo ufficio ma, in seguito a contrasti con alcuni confratelli, rinunciò all’incarico e si ritirò nella Marca. Tuttavia, per ordine del ministro generale e del cardinale Carpi, fece presto ritorno nella città lagunare, dopo aver ricevuto, il 17 gennaio 1557, la nomina a inquisitore di Venezia.
Nel tempo che gli restava libero dagli impegni del tribunale, che si riuniva tre volte la settimana, Peretti si dedicava all’insegnamento e alla predicazione. Tuttavia sorsero difficoltà all’interno del convento, dove un gruppo di religiosi lo dichiarò decaduto dagli incarichi di docente e di inquisitore. Il generale dell’Ordine invece lo nominò presidente del capitolo provinciale della provincia veneta, riunito a Bassano alla fine di aprile del 1559. Il 23 maggio fu eletto ministro generale dell’Ordine Giovanni Antonio Muratori, che confermò Peretti reggente dello Studio veneziano e inquisitore di Venezia.
Nel 1559, nonostante una prolungata resistenza dei librai, fu dato alle stampe l’Indice dei libri proibiti, autorizzato dal Consiglio dei dieci. Le disposizioni in esso contenute, applicate da Peretti con rigore, gli accrebbero l’ostilità della Repubblica, per cui, quando il 18 agosto Paolo IV morì, l’inquisitore ritenne opportuno lasciare Venezia e si ritirò a Montalto e poi a Roma, dove si trovava all’inizio di novembre.
Il 22 febbraio 1560 Pio IV gli rinnovò la nomina a inquisitore di Venezia, ma il governo veneziano rifiutò la designazione. Dopo lunghe trattative, nel giugno del 1560 il papa revocò la nomina e affidò l’Inquisizione veneziana ai domenicani. Peretti fu ascritto al convento dei Ss. Apostoli in Roma; nominato consultore teologo dell’Inquisizione romana, il 16 luglio 1560 prestò giuramento nelle mani del cardinale Ghislieri.
Nel settembre del 1561 il papa lo nominò procuratore generale del suo Ordine, carica in cui fu confermato dal capitolo generale di Milano il 16 maggio 1562. In seguito all’apertura del terzo periodo del Concilio di Trento, avvenuta il 18 gennaio 1562, cui partecipava il generale, larga parte dell’amministrazione ordinaria restò affidata a Peretti, il quale, nell’aprile-maggio del 1563, visitò le province di Abruzzo e di Puglia. Nel 1564 lasciò i suoi beni immobili al convento di Montalto e la sua biblioteca al convento dei Ss. Apostoli. Al momento della rinuncia l’inventario del suo patrimonio librario enumerava settecentoquarantadue titoli. Dal 1562 al 1564 insegnò teologia all’Università di Roma. Nel 1565 terminò il suo ufficio di procuratore generale; il capitolo riunito a Firenze lo nominò socio o assistente del generale per le province cismontane e membro della commissione incaricata di introdurre la Riforma tridentina nell’Ordine francescano.
Il 13 luglio 1565 fu nominato legato per la Spagna il cardinale Ugo Boncompagni, costituito giudice per la causa di Bartolomé de Carranza, arcivescovo di Toledo. Come assessori gli furono assegnati Giambattista Castagna, il futuro Urbano VII, designato nunzio ordinario, e Giovanni Aldobrandini, futuro cardinale. Felice Peretti fu aggregato alla missione in qualità di assessore teologo. La legazione arrivò in Spagna nel novembre del 1565; quando giunse la notizia della morte del papa, deceduto il 9 dicembre, essa ritornò sui suoi passi. Risalgono a questo periodo i primi dissapori tra Peretti e Boncompagni, che avrebbero portato all’isolamento del francescano durante il pontificato di Gregorio XIII.
Dopo la morte del ministro generale dei francescani conventuali Antonio Savioz da Aosta, il 14 gennaio 1566 Pio V, da poco eletto alla Sede pontificia, nominò Peretti vicario generale dell’Ordine con il compito di avviarne la riforma. Durante l’estate fra Felice iniziò la visita dei conventi dell’Italia centrale.
Il 15 novembre 1566 fu nominato vescovo di Sant’Agata dei Goti, pur mantenendo il governo dell’Ordine sino al successivo capitolo generale, da celebrarsi nel 1568. Fu consacrato il 12 gennaio 1567 a Napoli, nella chiesa di S. Lorenzo Maggiore. Un anno dopo, all’inizio del capitolo generale, apertosi a Roma il 6 giugno 1568, fra Felice depose la sua carica di vicario generale e si dedicò alla diocesi di Sant’Agata. Tuttavia venne presto richiamato a Roma per occuparsi, quale consultore dell’Inquisizione, del processo dell’arcivescovo Carranza, ora prigioniero in Castel S. Angelo.
Il 17 maggio 1570 fu creato cardinale presbitero e il 9 giugno ricevette il titolo di S. Girolamo degli Illirici. Pio V gli elargì 500 scudi per le spese immediate e gli fissò un assegno annuo di 1200 scudi, il cosiddetto piatto per i cardinali poveri; quindi lo ascrisse alla congregazione dei Vescovi e regolari e alla congregazione per il processo di Carranza, e nel 1571 alla congregazione dell’Indice, istituita nel mese di marzo. Il 17 dicembre 1571 fu trasferito alla diocesi di Fermo; l’avrebbe ceduta a Domenico Pinelli a metà del 1577.
Con l’ascesa al pontificato di Gregorio XIII, il 13 maggio 1572, il cardinale di Montalto, come veniva comunemente chiamato, venne allontanato dagli incarichi di Curia.
Si dedicò nuovamente agli studi; già in passato aveva collaborato all’edizione di Aristotele e di Averroè, stampata a Venezia nel 1562, opera del francescano conventuale Antonio Posio; quando, nel 1566, per l’emendazione del Decretum Gratiani Pio V nominò una congregazione composta da cinque cardinali affiancati da quindici collaboratori, tutti chierici, vi incluse anche Peretti. L’edizione fu stampata a Roma nel 1582.
Il cardinale di Montalto abitava in vicolo dei Leutari, presso la statua di Pasquino, nel rione Parione. Nel giugno del 1576 comprò la vigna Guglielmini, nella valle tra il Viminale e l’Esquilino, presso la basilica di S. Maria Maggiore e nel 1580 raddoppiò il fondo mediante l’acquisizione di altre due vigne adiacenti. Nel frattempo incaricò l’architetto Domenico Fontana di disegnare e realizzare un grande casino sulla prima area.
Morto Gregorio XIII il 10 aprile 1585, la sera del 21 aprile, giorno di Pasqua, si aprì il conclave.
Il periodo iniziale fu dominato dalle trattative tra le due correnti capeggiate dai cardinali Ferdinando de’ Medici e Alessandro Farnese, che mirava ad ascendere al pontificato. Nel corso del conclave il cardinale Farnese ritirò la propria candidatura, mentre quella di Montalto fu avanzata e sostenuta da Ferdinando de’ Medici e da Luigi d’Este, che raccolsero ampie adesioni su un candidato energico e non schierato con le fazioni politiche.
Il 24 aprile 1585 Montalto fu eletto per acclamazione, confermata poi mediante una votazione regolare. Egli prese il nome di Sisto V in ricordo di Sisto IV, già membro dell’Ordine francescano. Proclamò quindi un solenne giubileo, inaugurando una prassi confermata dai suoi successori. Il 25 aprile 1585, giorno successivo all’elezione, affidò al cardinale Girolamo Rusticucci la conduzione degli affari più importanti, mentre come segretario scelse il marchigiano Decio Azzolini.
Il 13 maggio 1585 creò cardinale il quindicenne Alessandro Damasceni, figlio di sua nipote, in seguito conosciuto anch’egli come cardinale di Montalto. Mentre inizialmente non gli furono affidate responsabilità di governo a causa della sua giovane età, il 28 dicembre 1585 il papa gli conferì parte dei compiti spettanti a Michele Bonelli, detto il cardinale Alessandrino, nelle materie riguardanti il governo dello Stato. Il 9 maggio 1586 gli conferì le attribuzioni di sovrintendente dello Stato ecclesiastico. All’inizio del 1587 il pontefice stabilì un nuovo ordinamento, più in consonanza con il suo stile di governo personalista: Rusticucci si ritirò, la Consulta fu sospesa e il papa governò da solo, coadiuvato dai cardinali Montalto e Azzolini, facendo affidamento su Domenico Pinelli, Ippolito Aldobrandini e Giovanni Battista Castrucci, che abitavano a Palazzo.
Secondo la consuetudine, provvide a sistemare i suoi familiari. Adottò i figli di sua sorella Camilla, dando loro il suo cognome e facendoli educare in casa di Lucrezia Salviati, moglie di Latino Orsini.
Nel 1585 nominò il nipote Michele, fratello del cardinale Alessandro, dell’età di otto anni, capitano generale della guardia pontificia e governatore di Borgo. Il 20 marzo 1589 celebrò le nozze delle nipoti Flavia Peretti con Virginio Orsini di Bracciano e di Orsina Peretti con Marcantonio Colonna, conestabile del Regno di Napoli. Nominando i due uomini assistenti al trono pontificio, il papa legò in maniera stabile le rispettive famiglie alle sorti del pontificato.
Il 20 dicembre 1585, mediante la costituzione apostolica Romanus pontifex, Sisto V rinnovò per i vescovi l’obbligo di effettuare la visita ad limina, dando all’istituto la configurazione giuridica rimasta a lungo invariata. Le diocesi furono divise in quattro gruppi, in base alla distanza da Roma, aventi diversa periodicità riguardo alle visite: tre anni per i vescovi d’Italia e isole adiacenti, Dalmazia e Grecia; quattro anni per i vescovi di Germania, Francia, Spagna, Belgio, Boemia, Ungheria, Inghilterra, Scozia, Irlanda, Paesi baltici e isole del Mediterraneo; cinque anni per i restanti Paesi d’Europa, per quelli delle coste prossime all’Africa e per quelli delle altre isole europee e africane dell’Atlantico; dieci anni per i vescovi di Asia, America e del resto del mondo.
Il 3 dicembre 1586 con la bolla Postquam verus riformò il Collegio cardinalizio, dandogli la struttura che avrebbe mantenuto durante quasi quattro secoli. In conformità con le disposizioni del Concilio di Trento, secondo il quale tutte le nazioni cristiane dovevano essere rappresentate nel Collegio, il numero dei cardinali fu elevato a settanta, di cui quattordici diaconi, sei vescovi e cinquanta presbiteri.
Con la costituzione Immensa aeterni Dei del 22 gennaio 1588 ristrutturò il governo centrale della Chiesa istituzionalizzando il sistema delle congregazioni permanenti che si era affermato nei decenni precedenti. Sisto V trovò funzionanti le congregazioni dell’Inquisizione, dell’Indice, del Concilio e dei Vescovi. Egli stesso il 17 maggio 1586 aveva creato la congregazione per i Regolari. La bolla eresse quindici congregazioni stabili, di cui nove deputate al governo della Chiesa e sei all’amministrazione dello Stato ecclesiastico. Seguì con attenzione l’attività dell’Inquisizione, diretta dal cardinale Giulio Antonio Santoro; durante il suo pontificato a Roma si tenne un solo autodafé il 2 agosto 1587. Contro i delitti di sortilegio, magia, astrologia e negromanzia emanò la bolla Coeli et terrae Creator (5 gennaio 1586). Il 22 settembre 1586 ridusse a cento i referendari utriusque Signaturae, stabilendo al tempo stesso precisi requisiti per l’ascrizione al relativo collegio. Riformò inoltre il Collegio dei notai capitolini, riducendone il numero a trenta e rendendo gli uffici vacabili, per l’importo di 500 scudi ciascuno. Con la costituzione Sollicitudo pastoralis officii del 1° agosto 1588 prescrisse, eccetto che per Roma e Bologna con il relativo contado, l’istituzione di un archivio pubblico notarile in tutte le città e in un gran numero di centri minori, e la creazione di un prefetto o presidente degli archivi competente per tutte le controversie del ramo.
Appena eletto al soglio pontificio, Sisto V emanò provvedimenti volti a estirpare il banditismo che, negli ultimi anni del pontificato precedente, aveva costituito un serio problema per la Campagna romana e per la stessa capitale. Il 30 aprile 1585 fu ripristinato un editto che comminava la pena di morte a chi portava determinate armi. Per coordinare la lotta al brigantaggio venne istituita una congregazione con il compito di ristabilire l’ordine all’interno dello Stato e rivedere i processi fatti da Gregorio XIII in materia di titoli feudali, in quanto la privazione di feudi aveva ridotto molti nobili in miseria o li aveva spinti verso il banditismo. Il 1° luglio 1585 fu emanata una costituzione contro la nobiltà e le comunità protettrici dei fuorilegge che rinnovava tutte le disposizioni emesse a partire dal tempo di Pio II e vietava ai baroni e alle comunità pontificie di accogliere i banditi, mentre faceva loro obbligo di perseguirli attivamente. Per finanziare la lotta al banditismo il 29 luglio 1585 mediante la bolla Multa et gravia eresse il Monte della pace, con un capitale di 300.000 scudi e un interesse annuo del 5,25%. Cercò inoltre di coordinare con gli Stati confinanti una politica comune per ovviare allo sconfinamento dei banditi. Nei confronti del Senato veneto il papa esercitò forti pressioni per evitare che i fuorilegge dello Stato pontificio trovassero protezione da parte della Repubblica; si giunse così a una prima formulazione del principio di estradizione, fino ad allora sconosciuto al diritto internazionale.
Al fine di proteggere le coste dagli attacchi dei corsari, Sisto V decise la costruzione di una flotta di dieci navi con base a Civitavecchia, sottoposta, nel gennaio del 1587, a una congregazione cardinalizia. Nel 1588, essendo state allestite alcune navi con la collaborazione di Genova, Spagna e Toscana, il comando fu assegnato al cardinale Antonio Sauli. La flotta operava di concerto con i legni maltesi e toscani.
Nel 1585, quando Sisto V venne eletto papa, lo Stato pontificio contava circa un milione e mezzo di abitanti, mentre Roma ne aveva circa centomila. Per estendere i terreni coltivabili furono individuate alcune aree alla foce del Tevere e nei dintorni di Ravenna, oltre alle chiane di Orvieto. Quanto alle paludi Pontine, si mirava ad arrestare il declino anche demografico della provincia di Marittima, dovuto alla recrudescenza dell’infezione malarica, a dare lavoro a migliaia di braccianti e a recuperare alle colture un’area che avrebbe potuto assicurare il rifornimento di cereali per la capitale. Il 28 marzo 1586 il papa assegnò la vasta zona paludosa che si stendeva tra Terracina, Piperno e Sezze all’architetto urbinate Ascanio Ambrosi, meglio conosciuto come Ascanio Fenizi. I lavori iniziarono nell’autunno del 1586, impiegando oltre duemila uomini nello scavo dei diversi canali confluenti in un unico grande collettore, chiamato fiume Sisto, e terminarono a metà del 1589; nell’ottobre successivo il papa visitò la zona bonificata, manifestando l’intenzione di spostare l’abitato di Terracina e di ripristinare il porto, ma le difficoltà pratiche fecero abbandonare entrambi i progetti. Le rosee previsioni non ebbero seguito: la stagione invernale del 1589-90 fu caratterizzata da intense piogge e dopo la morte del pontefice la manutenzione venne trascurata, per cui l’area si ritrovò nuovamente invasa dalle acque stagnanti. In realtà, soprattutto nelle zone più prossime a Roma, l’interesse, più che alla coltivazione dei campi, era rivolto all’allevamento delle pecore, che riforniva di carni, lane e latticini il mercato della capitale, ricco e in crescente espansione. Pure il governo era interessato ad alimentare questa attività, dalla quale ricavava notevoli proventi doganali sui pascoli.
Per i poveri, troppo numerosi perché potessero lavorare tutti, Sisto V fece costruire un ospizio presso ponte Sisto, capace di ospitare duemila persone, e proibì la mendicità. Ai ragazzi si insegnava a leggere e a scrivere e un mestiere, mentre le ragazze imparavano i lavori domestici. In questa iniziativa furono spesi 30.000 scudi ma, non appena il papa morì, i mendicanti ritornarono sulla strada.
Particolare importanza diede Sisto V alla politica fiscale. Suo costante impegno fu accrescere le riserve, ritenute indispensabili per far fronte alle emergenze. L’uso del Tesoro fu regolato da una lettera concistoriale presentata il 21 aprile 1586, giurata e sottoscritta dal papa e dai cardinali. Essa prevedeva che la riserva, custodita con particolari precauzioni in Castel S. Angelo, fosse considerata alla stregua dei beni immobili della Chiesa e restasse a esclusiva disposizione della Sede apostolica, per essere utilizzata in occasioni eccezionali solo con il consenso scritto dei due terzi dei cardinali presenti in Concistoro.
Sisto V cercò di migliorare la gestione finanziaria dello Stato attraverso la riduzione della spesa corrente per la corte, per l’amministrazione e per la concessione di sussidi a istituzioni e a sovrani cattolici. Sul fronte delle entrate aumentò la tassazione diretta, introducendo almeno una decina di nuove imposte e incrementando la vendita degli uffici curiali. Stabilì che chi era promosso a una nuova dignità ecclesiastica perdesse automaticamente gli uffici e i titoli di prestito vacabili in suo possesso, con il conseguente guadagno per l’erario. Anche le promozioni cardinalizie furono utilizzate come mezzi per rivendere frequentemente gli uffici più costosi, seguendo una prassi già adottata da Leone X. Un altro sistema escogitato fu l’espansione del debito pubblico: incrementò l’antico Monte della fede e il Monte della carne e, seguendo una tendenza iniziata durante il pontificato di Clemente VII, creò numerosi Monti. Il prestito pubblico fu acquistato soprattutto dai finanzieri genovesi, che rapidamente intaccarono il tradizionale predominio dei fiorentini.
Per promuovere una corretta amministrazione finanziaria delle realtà locali e per migliorare il funzionamento di un fisco sempre più pesante, alle comunità dello Stato ecclesiastico fu imposto il divieto di fare spese superflue, di cedere beni e rendite ai cittadini principali del luogo, recuperando invece quelli già ceduti. Nel settembre del 1587 Sisto V incaricò cinque chierici della Camera apostolica di visitare le province dello Stato ecclesiastico: le visite, terminate entro il mese di gennaio del 1588, verificarono la legittimità giuridica dell’imposizione fiscale da parte delle comunità, materia riservata al papa dalla bolla In coena Domini, cercarono di favorire il pagamento dei debiti senza accrescere le imposte, formularono proposte per migliorare la redditività dei beni pubblici, posero limiti agli sprechi e cercarono di allargare la base dei contribuenti eliminando esenzioni e immunità.
Sulla scia dei suoi predecessori, il papa emise una serie di provvedimenti per moralizzare la vita pubblica. Il 5 gennaio 1586 emanò una bolla diretta contro l’astrologia e la superstizione, cui seguirono numerosi provvedimenti contro alcuni giochi, la bestemmia, l’immoralità, le scommesse e le trasgressioni del riposo festivo. Inflisse la pena di morte ai rei di adulterio, di immotivata separazione dei coniugi, di incesto e di aborto, di lenocinio, della diffusione di calunnie, che colpì in modo particolare gli scrittori di avvisi. Sisto V non si oppose alle feste, ritenendole un obbligo del principe e una maniera di propiziarsi la benevolenza del popolo; piuttosto cercò di regolamentare e di istituzionalizzare le manifestazioni sociali e religiose allo scopo di mantenere l’ordine pubblico. Come alternativa al carnevale, con la bolla Egregia populi Romani pietas del 13 febbraio 1586 propose il pellegrinaggio alle sette chiese, che tradizionalmente si svolgeva il giovedì grasso, sotto la guida dei padri dell’Oratorio.
Riguardo agli ebrei, con la bolla Christiana pietas del 22 ottobre 1586 abolì le disposizioni emanate da Pio V nel 1569 e consentì loro di stabilirsi in tutte le città dello Stato pontificio, permettendo di intraprendere nuovamente ogni genere di commercio, anche con i cristiani, aprire banche, sotto la sorveglianza della Camera apostolica, acquistare i titoli del debito pubblico. Potevano assumere lavoratori cristiani, sebbene non come domestici. Ebbero il permesso di riaprire le sinagoghe e di avere cimiteri propri. Le controversie tra di loro e con i cristiani erano giudicate dalla magistratura ordinaria; questa clausola abrogava la loro autonomia giurisdizionale. Tutti i maschi erano obbligati a presenziare al sermone sei volte l’anno. Sisto V diede il permesso di stampare il Talmud, purgato secondo le disposizioni del Concilio di Trento; ma poiché la censura si dimostrò eccessivamente rigida, la pubblicazione non ebbe luogo. Gli ebrei non erano obbligati a portare segni distintivi in viaggio e sui mercati, non potevano essere resi schiavi né battezzati a forza. Fu imposta loro la ‘cazaga’, una tassa che dava diritto di residenza. I medici ebrei potevano curare pazienti cristiani.
L’allargamento del ghetto, stabilito nel 1589 mediante l’inclusione del settore di via Fiumara, è indice della crescita della comunità, che durante il pontificato di Sisto V arrivò a contare duecento famiglie, e si inserì in una sostanziale continuità con la politica dei suoi predecessori tendente a perpetuarne l’isolamento.
Dopo che Pio IV aveva designato la zona di Monte Cavallo come area di espansione per la città, avevano cominciato a sorgere alcune ville signorili, la più importante delle quali sarebbe stata la dimora papale del Quirinale, iniziata sotto Gregorio XIII. Poiché la scarsità d’acqua avrebbe potuto pregiudicare il programma, papa Boncompagni aveva dato l’incarico di provvedere a Matteo Bertolini di Città di Castello, che aveva proposto il riutilizzo di un acquedotto risalente al tempo di Alessandro Severo. I lavori, iniziati nel 1585 e conclusi nell’ottobre del 1589, diedero vita all’Acqua Felice.
Sisto V concepì per Roma un programma di sviluppo urbano incentrato attorno alla basilica di S. Maria Maggiore: costruì dapprima il rettifilo che congiungeva la basilica Liberiana con Trinità dei Monti sul Pincio, iniziato durante l’estate del 1585 e aperto al traffico nell’autunno del 1586, detto via Felice. Dall’altro capo, la strada fu prolungata da S. Maria Maggiore fino a S. Croce in Gerusalemme. Una seconda strada fu aperta fino a S. Lorenzo fuori le Mura, come pure la terza, via Merulana, già progettata da Gregorio XIII per collegare S. Maria Maggiore con S. Giovanni in Laterano. Da S. Maria Maggiore fu costruita ancora una strada rettilinea fino alla colonna di Traiano, corrispondente all’attuale via Panisperna, nell’ultimo tratto, nei pressi del foro di Traiano, leggermente deviata. Fu costruita ancora una strada rettilinea dal Laterano al Colosseo e ne fu progettata un’altra che congiungesse il Colosseo con il Quirinale. In alcuni punti significativi furono eretti obelischi sormontati da croci.
Nel 1585, appena elevato al pontificato, Sisto V concepì il progetto di ricostruire il palazzo del Laterano, risultante da successive aggiunte medioevali. Il complesso fu demolito e al suo posto Domenico Fontana costruì il grande palazzo, terminato nell’estate del 1589, i cui interni furono decorati da Cesare Nebbia, Baldassarre Croce e Paris Nogari. La scala principale del Patriarchium, conosciuta dalla tradizione come Scala Santa, fu collocata in un edificio apposito, terminato nel 1589, mentre sul lato settentrionale della basilica, sopra l’ingresso laterale, fu costruita la loggia delle benedizioni a cinque archi, inaugurata dal pontefice nel 1588.
Per dare una definitiva sistemazione alla Biblioteca apostolica Vaticana, collocata nel 1475 in locali umidi e poco luminosi, fu realizzato un edificio apposito, sotto la direzione di Domenico Fontana. La decorazione della sala Sistina della Biblioteca fu completata per il 1° maggio 1588. Nell’edificio avrebbe dovuto trovare posto anche la Tipografia Vaticana; essa, istituita il 27 aprile 1587, fu invece sistemata nella villa del Belvedere e affidata alla direzione di Domenico Basa. Il 22 gennaio 1588 la Tipografia passò sotto la competenza della congregazione appositamente creata.
Nel 1586 Sisto V decise la costruzione di un nuovo palazzo in Vaticano per la residenza dei papi, ancora oggi in uso, e ne affidò la realizzazione sempre a Domenico Fontana, che iniziò i lavori il 30 aprile 1589 e completò l’opera avviata da Martino Longhi e da Ottaviano Mascherino.
Poiché la villa Montalto era troppo piccola, Sisto V concepì il progetto di adibire a residenza estiva del pontefice la villa fatta costruire da Gregorio XIII a Monte Cavallo, sul Quirinale. Nel 1587 comprò dalla famiglia Carafa il casino esistente e ne affidò l’ampliamento a Domenico Fontana che, a partire dal 1589, prolungò l’ala ovest, già iniziata dal Mascherino. Pur non avendone visto il completamento, il papa vi soggiornò ripetutamente.
Nel frattempo, sotto la direzione di Giacomo Della Porta, proseguivano i lavori della basilica di S. Pietro. Fu condotta a termine la costruzione dell’abside secondo il disegno di Michelangelo e nel dicembre del 1588 cominciò la costruzione della cupola, la cui ultima pietra fu collocata il 14 maggio 1590. Mancava solo la lanterna. Altre chiese furono oggetto di trasformazioni più o meno profonde.
Il rinnovamento urbano e architettonico di Roma avvenne anche a spese delle antichità romane, quali il Septizonium, mentre non mancarono di suscitare polemiche l’idea di distruggere la tomba di Cecilia Metella o il progetto di trasformare il Colosseo in officine e abitazioni.
Nell’ambito delle relazioni internazionali la situazione francese assorbì quasi completamente le energie di Sisto V. Il re Enrico III di Valois aveva visto nel precedente pontefice un alleato della Lega cattolica, che minacciava la sua posizione. Sisto V invece desiderava un equilibrio tra le Corone di Francia e di Spagna che non si sarebbe realizzato con un governo francese troppo vicino a Filippo II d’Asburgo; d’altra parte non poteva approvare l’alleanza tra Enrico III ed Enrico di Navarra. La soluzione ideale sarebbe stata la conversione al cattolicesimo del Navarra il quale, nel 1585, era considerato eretico e relapso, incapace di succedere al trono di Francia. Il papa si trovava di fronte a un re legittimo, la cui popolarità era in diminuzione, indeciso di fronte alla scelta dinastica e agli interessi religiosi del Regno, mentre la Lega cattolica, animata dalla casa di Lorena (in particolare dal ramo di Guise) e sostenuta dal re cattolico Filippo II, controllava la metà del Paese e si mostrava decisa a imporre al re l’esclusione dell’erede protestante e la messa al bando degli ugonotti.
Sisto V volle mediare tra le due posizioni inconciliabili. Nel mese di giugno del 1585 inviò a Parigi come nunzio ordinario Fabio Mirto Frangipani, arcivescovo di Nazareth, creando però le premesse per uno scontro diplomatico con la corte francese, giacché Frangipani era suddito del re cattolico. Negli stessi giorni pose fine al processo contro Enrico di Navarra, già iniziato nel corso del pontificato precedente. Il 27 giugno, durante una seduta solenne dell’Inquisizione, lo dichiarò decaduto dalla sovranità di Navarra e del Béarn e inabile a succedere a ogni genere di principato, in particolare al Regno di Francia e ai domini annessi, in quanto eretico e relapso. La sentenza fu resa pubblica il 9 settembre e la relativa bolla, nella forma solenne di lettera concistoriale, firmata dal papa e dai cardinali, fu pubblicata il giorno seguente, nonostante le perplessità di quanti vi vedevano un cedimento alle pressioni spagnole. Il provvedimento, anche se non gradito alla corte di Francia, non suscitò proteste ufficiali da parte del re e fu male accolto tanto da Enrico di Navarra quanto dai cattolici sostenitori del suo diritto alla successione.
Come gesto di buona volontà, Sisto V venne incontro alle necessità finanziarie della corte francese causate dalla guerra contro gli ugonotti, riaccesasi in seguito al trattato di Nemours (7 luglio 1585), stipulato tra il re Enrico III e la Lega cattolica. Per poterne sostenere le spese il re si rivolse al clero, che si riunì in assemblea a partire dall’inizio di settembre del 1585. Mentre il re voleva 2.400.000 scudi, l’assemblea ne concesse metà.
Nei primi mesi del 1586 il pontefice, in concomitanza con l’assemblea del clero, sollecitò dal re la pubblicazione in Francia del Concilio di Trento, ma poté ottenere solo una dichiarazione secondo la quale il dogma era già stato ricevuto da tutti i cattolici, che ogni vescovo poteva applicare nella sua diocesi i decreti disciplinari e che i concili provinciali potevano inserirli nei loro canoni; era invece necessario procedere a un attento esame circa la loro relazione con i privilegi del Regno e attendere la fine della guerra. I complessi negoziati terminarono quando Enrico III si dichiarò pronto a ricevere Frangipani e il papa permise la riammissione dell’ambasciatore Jean de Vivonne, dopo che l’11 settembre 1586 ebbe ricevuto da Francesco di Lussemburgo, duca di Piney, l’obbedienza a nome del re.
Sisto V seguì con apprensione i contrasti tra Enrico III e la Lega cattolica: l’occupazione di Parigi da parte dei leghisti nel marzo del 1588, la promulgazione dell’editto di Rouen il 19 luglio dello stesso anno, con il quale il re si impegnava a reprimere gli ugonotti e a promulgare il Concilio di Trento, mentre riconosceva che solo un cattolico poteva sedere sul trono di Francia, e infine negli ultimi giorni di dicembre l’uccisione di Enrico di Guise e del cardinale Louis suo fratello e l’arresto dei capi leghisti. Il papa resistette alle pressioni spagnole che minacciavano un intervento militare qualora Enrico III si fosse riavvicinato a Enrico di Navarra, ma protestò vivacemente per l’uccisione del cardinale Louis de Guise.
Enrico III tentò la riconciliazione con il pontefice, che si dichiarò disposto a concedere al re l’assoluzione solo qualora avesse liberato dal carcere il cardinale Carlo di Borbone e l’arcivescovo di Lione Pierre d’Épinac, sostenendo al tempo stesso per i leghisti la necessità di sottomettersi al re legittimo. Il timore di un eccessivo aumento del potere degli spagnoli in Italia e in Europa lo confermò nella sua posizione di attesa anche in seguito all’accordo di Plessis-les-Tours del 30 aprile 1589 tra il re ed Enrico di Navarra, che unirono i rispettivi eserciti contro la Lega cattolica. Tuttavia non poté sottrarsi del tutto alle pressioni degli spagnoli e del partito dei Guise e il 24 maggio pubblicò un monitorio in cui ingiungeva al re di Francia, sotto pena di scomunica, di liberare entro dieci giorni il cardinale di Borbone e l’arcivescovo di Lione ed entro sessanta giorni di comparire a Roma, personalmente o per procura, per ricevere l’assoluzione. Il documento non conteneva nessun accenno all’alleanza con il re di Navarra, ma si limitava a riprovare l’uccisione e la prigionia degli ecclesiastici. Senonché Enrico III fu assassinato il 1° agosto 1589 e al suo posto fu proclamato re il cardinale Carlo di Borbone con il nome di Carlo X, pur essendo prigioniero di Enrico di Navarra.
A questo punto si definirono due partiti: la Lega cattolica, che riconosceva in Carlo X il re legittimo, ed Enrico di Navarra, sostenuto dal suo esercito e da un numero crescente di cattolici che non approvavano la politica filospagnola della Lega e sostenevano la legittimità della successione di Enrico. Per favorire l’elezione di un sovrano cattolico e la pacificazione del Regno, il 25 settembre Sisto V nominò come legato de latere il cardinale Enrico Caetani, che partì per la Francia il 2 ottobre; egli, trascurando le istruzioni ricevute, appoggiò apertamente il partito leghista. Nel gennaio del 1590 il papa ricevette Francesco di Lussemburgo, inviato di Enrico di Navarra, con la richiesta di permettere ai suoi seguaci cattolici di restargli fedeli senza incorrere nelle pene ecclesiastiche e prospettando la possibilità di convertirsi al cattolicesimo. Sisto V resistette alle pressioni della Spagna per coinvolgerlo in un’alleanza antifrancese e affinché scomunicasse i sostenitori cattolici di Enrico, nonostante la minaccia di scisma avanzata da Filippo II, cui rispose a sua volta con una minaccia di scomunica. La resistenza opposta alle insistenze spagnole, favorita dall’avanzata militare di Enrico, preparò il riavvicinamento di questi al cattolicesimo.
Nei confronti della Spagna Sisto V mantenne un atteggiamento di attesa, sapendo che doveva tenere conto della presenza spagnola in Italia, che condizionava la sua libertà di movimento; la Spagna inoltre era l’unico Paese in grado di garantire appoggio per un recupero del cattolicesimo. Come segno di buona volontà il 2 maggio 1585 il papa confermò i contributi pagati dalla Chiesa alla Corona: per altri cinque anni il subsidio, che corrispondeva a 420.000 ducati, mentre il 17 ottobre 1585 confermò l’excusado per cinque anni e la cruzada (cui contribuivano anche i laici) per sei. Nel Concistoro del 28 aprile 1586 concesse a Filippo II e a suo figlio il diritto di presentazione per la Sicilia e la Sardegna e unì il titolo di gran maestro dei Cavalieri di Montesa alla Corona di Aragona. Per evitare ulteriori frizioni, soppresse la congregazione per le questioni di giurisdizione istituita da Gregorio XIII.
Tanto nella penisola iberica quanto nel Milanese e nel Napoletano ebbe grande risonanza il conflitto causato dalla Prammatica dei titoli, pubblicata da Filippo II nell’ottobre del 1586, da applicarsi a partire dal 1° gennaio successivo, che sollevò rimostranze all’interno del corpo diplomatico di Madrid. Nel Concistoro del 27 luglio 1587 il papa protestò perché il re di Spagna con il suo provvedimento si era arrogato la giurisdizione sui cardinali e sui prelati e, nonostante le proteste, rifiutava di cambiare le sue disposizioni, e proibì ai porporati, sotto pena di scomunica riservata al pontefice, di ricevere lettere dalla Spagna prive dei titoli dovuti.
La politica di Sisto V nei riguardi della Spagna si intersecò con quella inglese. Risale al 18 febbraio 1587 l’esecuzione di Maria Stuart, che pose fine alle residue speranze di un ritorno dell’Inghilterra al cattolicesimo. Il papa incoraggiò il piano presentato nel 1585 dai Guise per l’invasione dell’Inghilterra, non appoggiato della Spagna, la quale sosteneva la necessità di normalizzare prima la situazione francese. Sisto V considerava la regina Elisabetta il principale appoggio al protestantesimo europeo ed espresse più volte il desiderio di vederla convertita al cattolicesimo. Sostenne il progetto di invasione dell’Inghilterra promosso da Filippo II, nonostante le incognite che poteva presentare per l’equilibrio europeo. Il 29 luglio 1587 strinse con il re di Spagna un accordo in forza del quale prometteva 1.000.000 di scudi, a condizione che la flotta partisse ancora durante il 1587 e che il futuro re d’Inghilterra fosse una persona gradita alla Sede apostolica e si adoperasse per il ripristino e il mantenimento della fede cattolica. Il 7 agosto 1587 elevò al cardinalato l’inglese William Allen; tuttavia non si entusiasmò per la sfortunata spedizione del 1588.
La situazione dell’Impero rimase al margine dei suoi interessi. Sisto V sostenne l’elettore Ernesto di Baviera, da poco tempo entrato in possesso della diocesi di Colonia, intervenendo in suo favore presso Filippo II e Alessandro Farnese quando i sostenitori del suo predecessore Gebhard von Truchsess, costretto alla rinuncia per essere passato al protestantesimo, il 9 maggio 1585 occuparono la città di Neuss. Nel gennaio del 1586, in sostituzione di Germanico Malaspina, fu inviato come nunzio ordinario alla corte imperiale Filippo Sega, con il compito di promuovere la religione cattolica e indurre Rodolfo II a liquidare definitivamente la questione di Colonia; tuttavia Sega non riuscì gradito alla corte imperiale.
Le relazioni divennero ancor più tese quando, alla fine dell’estate del 1586, giunse a Roma l’ambasceria imperiale inviata a prestare obbedienza al pontefice. Questi lamentò la debolezza dell’imperatore nei confronti dei protestanti e chiese che ai principi ecclesiastici non fossero concesse le regalie prima che ricevessero la conferma pontificia. Ricordò poi l’annosa questione del feudo imperiale del principe Claudio Landi in Val di Taro, occupato dal duca di Parma, e rifiutò di concedere sussidi per la guerra contro i turchi. Ciò complicò l’azione di Sega, che trovò scarso appoggio presso l’imperatore quando, nel 1587, si trattò di salvare le diocesi di Lubecca, Verden, Halberstadt e Minden dalla secolarizzazione. Sega fu sostituito da Antonio Puteo, che giunse a Praga a metà maggio del 1587. Il risultato più importante da lui ottenuto fu che l’imperatore provvedesse alle diocesi della Corona ungherese, ma non riuscì a ottenere l’abolizione dell’uso che prevedeva l’investitura regia prima della conferma pontificia. Poco sensibile si mostrò Sisto V nei confronti della situazione creatasi a Strasburgo nel 1583 in seguito alla doppia elezione episcopale di Giovanni Giorgio di Brandeburgo e Carlo di Lorena.
Poco influsso ebbe Sisto V sulla situazione austriaca, dove la debolezza dell’arciduca Carlo lasciò ampio spazio agli Stati protestanti. Il nunzio Giovanni Andrea Caligari riuscì a far nominare alle diocesi di Seckau e Lavant rispettivamente Martin Brenner e Georg Stobäus, che si sarebbero adoperati per il ristabilimento del cattolicesimo nell’Austria interna. Il 7 gennaio 1588 il pontefice eresse l’Università di Graz, creata dall’arciduca Carlo e affidata ai gesuiti. In seguito le relazioni tra Roma e Graz si complicarono a causa del rifiuto di Sisto V di erigere la diocesi di Gorizia e di concedere sussidi per la guerra contro i turchi. Caligari fece ritorno a Roma a metà del 1587 e la nunziatura rimase vacante fino al 1592.
A Colonia operava il nunzio Giovanni Francesco Bonomi, che dal 3 al 5 ottobre 1585 tenne un sinodo diocesano a Liegi, durante il quale promulgò i decreti tridentini. Lo stesso avvenne nell’ottobre del 1586 a Mons per la diocesi di Cambrai. Bonomi morì il 25 febbraio 1587 e fu sostituito da Ottavio Mirto Frangipani, giunto a Colonia nell’agosto del 1587, che iniziò una difficile collaborazione con l’elettore Ernesto di Baviera, poco pratico delle questioni ecclesiastiche.
Circostanze politiche ed ecclesiastiche consigliarono l’apertura di una nunziatura stabile in Svizzera, richiesta dai cinque cantoni interni nella Dieta del 26 febbraio 1586. Il nunzio Giovanni Battista Santonio doveva sostenere gli svizzeri cattolici nella loro fede, senza occuparsi di problemi militari, quali il reclutamento di truppe per lo Stato pontificio. Il nunzio, giunto in Svizzera all’inizio di settembre del 1586, fu accreditato presso i sette cantoni cattolici più Appenzell; non aveva poteri rispetto ai cantoni protestanti e neppure per la confederazione nel suo complesso. Dopo circa un anno di attività, dedicata in larga parte alla riforma della Chiesa locale, ebbe gravi scontri con il Consiglio di Lucerna per questioni legate all’assegnazione e conferma dei benefici ecclesiastici, all’amministrazione della giustizia e all’imposizione di tasse al clero, per cui gli Svizzeri ne sollecitarono il richiamo. Il 19 settembre 1587 il papa inviò in Svizzera Ottavio Paravicini il quale, con l’aiuto di gesuiti e cappuccini, proseguì l’opera di riforma del suo predecessore e pose le basi per l’elezione alla sede di Costanza di Andrea d’Austria, favorevole alla riforma ecclesiastica.
Sisto V intrattenne buoni rapporti con il re di Polonia; il 7 gennaio 1587 costituì una commissione cardinalizia per trattare la successione al trono del Paese, la quale suggerì di mantenere una posizione neutrale, anche se la Curia non nascose le sue simpatie per la candidatura asburgica, nel timore di influssi protestanti sulla Polonia in seguito a una sua possibile unione con la Svezia. Tuttavia nel marzo del 1587 il partito spagnolo della Curia era riuscito ad attirare dalla sua parte il papa, che ingiunse al nunzio Annibale di Capua di favorire l’arciduca austriaco che avesse maggiore seguito tra i polacchi. Il papa puntò sull’arciduca Ernesto, mentre ordinò al nunzio a Praga Antonio Puteo di sollecitare gli Asburgo alla designazione di un candidato. Nell’agosto del 1587 avvenne la doppia elezione di Sigismondo di Svezia e Massimiliano d’Austria, che si risolse il 23 novembre con uno scontro armato in cui Massimiliano fu sconfitto e preso prigioniero, consentendo a Sigismondo di ricevere la corona il 27 dicembre 1587. Sisto V si congratulò con il nuovo re di Polonia solo il 7 maggio 1588. Dati i problemi provocati dal nunzio, che rifiutava di avere rapporti con il nuovo re, e per trattare la liberazione dell’arciduca Massimiliano, fu mandato come legato de latere il cardinale Ippolito Aldobrandini, futuro Clemente VIII. I lunghi negoziati si conclusero il 9 marzo 1589 con il trattato di Będzin, con il quale Massimiliano rinunciò alla Corona di Polonia in cambio della libertà. Sigismondo inviò a Roma un’ambasceria, capeggiata da Bernardo Maciejowski, che il 7 luglio 1590 prestò ubbidienza al papa in suo nome.
Sisto V incoraggiò i progetti di Carlo Emanuele di Savoia nell’ambito della sua politica mirante all’ingrandimento dello Stato, che aveva come obiettivo la conquista di Ginevra e già nel maggio del 1585 si dichiarò disposto a collaborarvi, inviandogli 25.000 scudi e invitandolo a realizzare l’impresa prima dell’agosto del 1586. L’attacco non andò in porto a causa dell’opposizione delle corti europee, prima fra tutte di quella francese, interessata ad assicurarsi per il futuro il reclutamento di mercenari elvetici. Carlo Emanuele il 29 settembre 1588 invase il Marchesato di Saluzzo, posto sotto la sovranità francese. All’inizio del 1589, quando il duca rispolverò i progetti per l’occupazione di Ginevra, il papa ritenne l’azione inopportuna. Infine, nel marzo del 1590 il pontefice risollevò la questione di Ginevra per distogliere il duca di Savoia dai suoi piani sulla Provenza, che il quel momento avrebbero turbato la sua politica francese.
Appena elevato al pontificato, Sisto V aveva affrettato i lavori di edizione del testo greco della Bibbia, detto dei Settanta, aggiungendo alla commissione istituita da Gregorio XIII Pierre Morin, Antonio Agellio, Pedro Chacón e Fulvio Orsini. L’opera fu portata a termine nel 1586, il papa ne firmò il decreto di approvazione l’8 ottobre ed essa fu pubblicata a Roma dallo stampatore Zanetti nel 1587. Sisto V riprese il progetto di revisione della Vulgata, ordinato dal Concilio di Trento l’8 aprile 1546, intrapreso da Pio V nel 1569 ma interrotto alla sua morte nel 1572. Istituì una commissione, presieduta dal cardinale Antonio Carafa, la cui prima seduta si tenne il 28 novembre 1586. Come base dell’edizione fu assunta la Bibbia di Lovanio-Anversa, stampata da Plantin nel 1583. Dopo due anni di lavoro, nel novembre del 1588 i risultati furono presentati a Sisto V, che si dichiarò insoddisfatto e decise di procedere da solo. Nel frattempo preparò la bolla Aeternus ille, datata al 1° marzo 1590, destinata a introdurre nella Chiesa la nuova edizione della Vulgata; tuttavia, ancorché stampata, si dubita se sia stata effettivamente pubblicata.
La Bibbia di Sisto V fu stampata il 2 maggio 1590 e suscitò numerose critiche a motivo delle scelte testuali infelici e dei numerosi errori di stampa; era evidente la necessità di una nuova edizione, che la morte gli impedì di realizzare.
Nel frattempo proseguì l’applicazione della Riforma tridentina nella città di Roma. Il papa favorì i religiosi e approvò diversi nuovi istituti: la congregazione di Camillo de Lellis e gli ospedalieri di Giovanni di Dio (1586), gli agostiniani scalzi e i carmelitani scalzi (1587), i chierici regolari minori di Francesco Caracciolo (1588). Ebbe invece un rapporto conflittuale con i gesuiti, che presentavano interessanti particolarità rispetto alle forme di vita religiosa tradizionale, soprattutto riguardo alla natura e al valore dei voti religiosi e alla struttura delle comunità. Seguì da vicino anche l’andamento delle missioni in Estremo Oriente, particolarmente in Giappone, dove il cattolicesimo in quegli anni raggiunse la massima fioritura prima dell’inizio delle persecuzioni.
Sisto V morì il 27 agosto 1590 al calar della sera nel palazzo del Quirinale, colpito da febbri, all’età di sessantotto anni. Appena si sparse la notizia del decesso, la folla si riversò nelle strade ed espresse il suo malcontento nei confronti del suo governo cercando di abbattere la statua del papa eretta dal Senato nel palazzo dei Conservatori. La notte seguente il cadavere del pontefice fu trasportato in S. Pietro per essere provvisoriamente inumato presso la cappella di S. Andrea. Il cuore venne deposto nella chiesa dei Ss. Vincenzo e Anastasio, situata a poca distanza dal Quirinale, inaugurando una consuetudine continuata fino a Leone XIII. L’anno seguente, il 26 agosto, il cardinale Montalto fece seppellire solennemente i resti dello zio nel sepolcro che si era fatto preparare nella basilica di S. Maria Maggiore.
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