STEFANO III, papa
STEFANO III, papa. – Nacque in Sicilia «ex patre Olibo» (Le Liber pontificalis, 1886, 1955, p. 468) presumibilmente verso il 720.
Si trasferì ancora fanciullo a Roma venendo ben presto accolto nel monastero benedettino di S. Crisogono da papa Gregorio III. Dopo la morte del pontefice, fu chiamato ad assumere il ruolo di cubicularius del Patriarchium lateranense dal nuovo papa, Zaccaria, che lo ordinò presbitero cardinale del titolo di S. Cecilia, uffici che, stando a quanto riferito dal Liber pontificalis, il giovane siciliano cominciò a svolgere con tale competenza e discrezione da indurre i successori di Zaccaria, Stefano II e Paolo I, a mantenerlo in carica in entrambe le funzioni.
È pertanto lecito ipotizzare che egli, descritto come «vir strenuus et divinis Scripturis eruditus atque ecclesiasticis traditionibus inbutus et in earum observationibus constantissimus perseverator» (ibid.), sia ben presto diventato uno dei più autorevoli e ascoltati esponenti della curia romana. La crescente stima goduta in quegli anni è testimoniata anche dai delicati incarichi diplomatici che gli vennero affidati. Infatti risulta quasi certamente identificabile con l’omonimo presbitero che il biografo di Stefano II colloca al seguito del pontefice durante l’importantissimo soggiorno in terra franca, culminato con gli incontri di Ponthion e di Quierzy (gennaio e Pasqua 754) che, com’è noto, diedero vita all’alleanza fra il papato e la monarchia carolingia. Egli dovrebbe inoltre essere riconoscibile sia nell’omonimo missus pontificio incaricato, dopo la morte di re Astolfo, di indurre il fratello di quest’ultimo, Ratchis, già monaco a Montecassino, a rinunciare definitivamente al trono, sia in uno dei membri dell’ambasceria successivamente inviata da papa Paolo I al re franco Pipino.
Nei drammatici giorni in cui il duca di Nepi Totone, approfittando dell’irreversibile malattia di Paolo I, si impadroniva della città di Roma (767), egli, stando a quanto da lui stesso riferito nel corso del successivo concilio del 769, fu il solo a rimanere a fianco del morente pontefice, curandone personalmente le esequie.
Tuttavia, pur essendo stato uno dei maggiori esponenti dell’entourage di papa Paolo, non risulta che durante il governo dell’antipapa Costantino (imposto nel frattempo sul trono pontificio dal fratello Totone) egli sia stato personalmente coinvolto dalle misure repressive che colpirono alcuni proceres ecclesiae, quali il primicerius Cristoforo e suo figlio Sergio. Dalle fonti sembra che in tale periodo egli abbia potuto conservare la cura del titolo di S. Cecilia, dove il 1° agosto 768, subito dopo la deposizione di Costantino, lo raggiunse la notizia della sua elezione, proclamata nel corso di un’assemblea generale convocata dal primicerius Cristoforo «in Tribus Fatis» (ai piedi del Campidoglio).
Secondo una consolidata tradizione storiografica (Horace K. Mann, Étienne Delaruelle, Émile Amann), l’elezione di Stefano III sarebbe stata sostanzialmente motivata dall’inesperienza politica del titolare di S. Cecilia, destinato a diventare, in ragione della sua pretesa debolezza di carattere, un docile strumento nelle mani del primicerius, che proprio a tale scopo ne avrebbe sostenuto la candidatura. In realtà, come sottolineato in studi recenti (Hallenbeck, 1974), le motivazioni sottese a quella scelta, certamente riconducibile a un diktat di Cristoforo, devono essere più verosimilmente ricercate in altre direzioni. Esperto e fidato esponente dei proceres ecclesiae e dotato di una certa abilità diplomatica, egli doveva infatti apparire agli occhi del potente primicerius come il personaggio che meglio avrebbe potuto risollevare il prestigio del papato in una non facile congiuntura politica, e soprattutto garantire la ripresa di quella linea di massimalismo antilongobardo, imperniata sull’alleanza franco-papale, che l’ex cubicularius di Stefano II aveva forse contribuito a elaborare.
Non appena ebbe fine la spirale di rappresaglie che caratterizzarono le settimane immediatamente successive alla deposizione dell’antipapa, il suo primo atto di governo fu diretto a riallacciare i rapporti tra la S. Sede e il sovrano franco. A tale scopo, il pontefice, intenzionato a convocare un concilio destinato a discutere i problemi sollevati dagli ultimi drammatici avvenimenti e a giudicare l’operato di Costantino, inviò Oltralpe il secundicerius Sergio, figlio di Cristoforo, per chiedere a re Pipino l’invio di una qualificata rappresentanza dell’episcopato franco.
È comunque probabile che tra le finalità del concilio, ufficialmente volto a sanare le violazioni dei canoni perpetrate da Totone e Costantino, ci fosse anche quella di una definitiva legittimazione dell’elezione di Stefano III, la quale, in ragione delle sue modalità, avrebbe forse potuto essere messa in discussione da parte di quegli esponenti dei proceres militiae che, seppur sconfitti, non si erano ancora riconciliati con Cristoforo.
La richiesta del papa, ricevuta dai fratelli Carlo e Carlomanno, da poco succeduti a Pipino (morto nel settembre del 768), fu accolta con benevolenza dai nuovi sovrani dei Franchi, i quali ebbero peraltro cura di riconfermare i patti a suo tempo stipulati dal loro padre con i predecessori di Stefano III. Il felice esito dell’importante missione diplomatica di Sergio fu così ben presto coronata dall’arrivo a Roma di tredici vescovi della Gallia, i quali si unirono ai trentanove rappresentanti dell’episcopato della penisola, alcuni dei quali provenienti dai territori longobardi.
Apertosi ufficialmente il 12 aprile 769 presso la basilica del Laterano, il concilio, che può essere considerato come una delle più rilevanti assemblee conciliari italiane dell’VIII secolo, ebbe inizio con una dichiarazione del papa, il quale, proclamando la sua totale estraneità ai fatti accaduti, chiamò in causa il primicerius Cristoroforo e lo pregò di illustrare ai presenti le vicende che avevano determinato l’avvento di un laico sul trono di Pietro.
La deposizione del primicerius, che di fatto costituì un vero atto d’accusa nei confronti dell’antipapa, fu seguita dall’interrogatorio di Costantino, il quale, pur riconoscendo la propria colpevolezza e implorando il perdono dell’assemblea, durante la seconda sessione tentò di difendersi sostenendo che le norme in questione erano state violate prima e dopo la sua discussa elezione e ricordando ai presenti il caso dei vescovi di Napoli e Ravenna, entrambi originariamente laici, ma ugualmente consacrati da papa Stefano III poco tempo prima dell’inizio del concilio. Tali affermazioni suscitarono l’immediata reazione dell’assemblea: Costantino fu schiaffeggiato ed espulso dalla basilica, il decreto della sua elezione e tutti gli atti da lui sottoscritti nel corso del suo governo vennero dati alle fiamme. Due giorni dopo, pronunciata la definitiva condanna di Costantino, che venne ben presto rinchiuso in un monastero, i padri conciliari procedettero a una nuova regolamentazione dell’elezione papale, dichiarando eleggibili soltanto i cardinali presbiteri e diaconi e limitando il corpo elettorale al solo clero di Roma, mentre al laicato della città venne riservata la facoltà di ratificare l’avvenuta elezione. L’assemblea, inoltre, provvide a cassare i provvedimenti adottati da Costantino e a proclamare la nullità dei sacramenti (fatta eccezione per il battesimo) amministrati da quest’ultimo. L’ultima sessione del concilio venne infine dedicata alle questioni relative al culto delle immagini e si concluse con la condanna delle dottrine iconoclaste, precedentemente approvate dal sinodo costantinopolitano del 754, e dei seguaci di esse, i quali vennero colpiti da anatema. Il concilio si concluse ufficialmente con una solenne processione verso S. Pietro, dove fu proclamato l’anatema per chiunque avesse osato violare le norme stabilite dall’assemblea.
La positiva conclusione dei lavori conciliari, che di fatto sanciva la sconfitta dell’aristocrazia militare da parte dei proceres ecclesiae, ormai impadronitisi, grazie alla nomina a duca di Roma di Grazioso, genero di Cristoforo, anche del controllo delle milizie del contado e della città, fu ben presto seguita dalla ripresa di iniziative politiche volte a ottenere, con il sostegno dei sovrani franchi, il recupero dei territori indebitamente occupati a suo tempo dai longobardi (Bologna e Imola in Emilia, Numana, Osimo e Ancona nella Pentapoli).
Gli intenti della Curia romana, ispirati al programma politico elaborato a suo tempo da Stefano II, si scontrarono però con le iniziative del re Desiderio, che nel frattempo aveva di fatto esteso la sua influenza su Ravenna. Tale complessa situazione venne ulteriormente aggravata dalle crescenti divergenze politiche fra i due sovrani franchi, che minacciavano di sfociare in un aperto conflitto: distogliendo l’attenzione dei più autorevoli e potenti alleati del papato dalle questioni della penisola, esso avrebbe certamente posto la Res publica sancti Petri alla mercé del re longobardo.
La situazione parve addirittura precipitare quando Stefano III ebbe notizia che i Franchi erano sul punto di stringere un’alleanza matrimoniale con i longobardi mediante le nozze di Carlo con una figlia di re Desiderio. La sua immediata e veemente reazione, affidata a una missiva indirizzata a entrambi i sovrani d’Oltralpe, non impedì che Carlo procedesse nell’attuazione del suo disegno politico che, garantendogli l’alleanza di Desiderio e del duca Tassilone di Baviera, gli avrebbe consentito di affrontare l’imminente conflitto con il fratello Carlomanno in una indiscutibile posizione di forza. Tuttavia, le paure del papa, il quale certamente temeva che tale intesa comportasse anche la fine della vitale tutela franca su Roma, terminarono con l’arrivo a Roma della regina Bertrada.
Costei, infatti, oltre a ribadire che il figlio Carlo avrebbe tenuto fede ai patti a suo tempo stipulati con Roma, promise al pontefice l’invio di missioni franche volte al recupero dei territori rivendicati dalla Res publica sancti Petri in area beneventana e a ricondurre la sede episcopale di Ravenna sotto l’autorità della Chiesa romana. Inoltre, stando a quanto riferito da alcune fonti, la regina avrebbe fatto presente al papa che Desiderio si era impegnato a restituire le iustitiae sancti Petri sottratte nella Pentapoli. Bertrada riuscì a convincere il pontefice che l’alleanza franco-longobarda non avrebbe costituito un pericolo per Roma.
Pertanto, fornito il suo assenso alle nozze di Carlo, Stefano III, prendendo atto dei nuovi equilibri politici, non poté fare altro che adeguarsi e, di conseguenza, prendere progressivamente le distanze dal massimalismo antilongobardo propugnato da Cristoforo e Sergio, i quali, determinati a opporsi ai disegni di Desiderio, finirono così per diventare i naturali alleati di Carlomanno.
Durante la quaresima del 771 Desiderio, con il pretesto di discutere con il papa la restituzione delle iustitiae sancti Petri, si diresse verso Roma con il suo esercito. La notizia del suo arrivo scatenò la reazione di Cristoforo, che proprio in quei giorni stava trattando con un emissario di Carlomanno giunto nell’Urbe con un folto seguito di guerrieri franchi. Concentrando in città sia le milizie cittadine sia quelle della Tuscia e della Campania, Cristoforo diede ordine di sbarrare le porte di Roma, preparandosi a un assedio. Tale provvedimento, presumibilmente volto a difendere l’Urbe sia da un attacco esterno sia dai colpi di mano dei suoi oppositori interni (primo fra tutti l’ambizioso cubicularius Paolo Afiarta, ostile alla politica antilongobarda sostenuta dal primicerius), fu ben presto seguita da una vera azione intimidatoria nei confronti del pontefice, il quale, dopo essersi incontrato con il sovrano longobardo, accampatosi con le sue truppe nei pressi di S. Pietro, venne assalito dai partigiani di Cristoforo nel Patriarchium lateranense.
Sebbene costretto a giurare solennemente che non avrebbe stipulato accordi con Desiderio, Stefano III riuscì ad arginare la furia degli assalitori. Tuttavia, il giorno successivo, forse temendo per la propria incolumità, il pontefice decise di uscire da Roma e di rifugiarsi con il suo seguito in S. Pietro sotto la protezione del re longobardo, il quale però, come testimoniato dal Liber pontificalis, oltre a porre come condizione necessaria per la ripresa delle suddette trattative l’eliminazione di Cristoforo e Sergio, nel frattempo asserragliatisi in città con i propri uomini, fece sbarrare le porte della basilica, impedendo a chiunque di avvicinare il papa senza il suo consenso. Stefano III, tentando di convincere il primicerius alla resa, inviò allora i vescovi di Preneste e Segni sotto le mura della città. Essi ingiunsero a Cristoforo di ritirarsi in monastero o di consegnarsi al pontefice; ma costui, temendo le insidie di Desiderio e forse convinto di poter resistere a un assedio longobardo, rifiutò sdegnosamente.
In seguito, quando ebbero notizia che il duca di Roma, Grazioso, e molti dei suoi soldati, divelti nottetempo i battenti di porta Portuense, erano usciti dalla città per consegnarsi al papa, Cristoforo e Sergio decisero di presentarsi dinanzi a Stefano III per impetrarne il perdono. Catturati entrambi dai soldati longobardi posti a guardia della basilica, vennero condotti dinanzi al pontefice. Intenzionato a salvar loro la vita, Stefano III ordinò che la notte successiva fossero ricondotti a Roma e rinchiusi in monastero.
Tuttavia, dopo che il pontefice ebbe lasciato S. Pietro, Paolo Afiarta «et alii eius nefandissimi consentanei» (Le Liber pontificalis, 1886, 1955, p. 480) chiesero a Desiderio la consegna dei prigionieri, i quali, condotti dinanzi alle mura della città, vennero entrambi accecati. Cristoforo, rinchiuso nel cenobio di S. Agata, morì dopo tre giorni; Sergio, tradotto prima nel monastero ad Clivum Scauri e poi in una segreta del Laterano, venne fatto uccidere da Afiarta pochi giorni prima della morte di papa Stefano.
Ma, contrariamente a quanto presumibilmente auspicato da Stefano III, l’eliminazione di Cristoforo e Sergio, che il pontefice non era riuscito, o forse non aveva voluto sottrarre alla loro triste sorte, non comportò la restituzione dei territori indebitamente occupati dai longobardi. Quando infatti i messi pontifici si recarono a Pavia per sollecitare la cessione delle iustitiae sancti Petri, Desiderio, nonostante la gratitudine precedentemente espressa nei suoi confronti da Stefano III nella lettera inviata a Carlo dopo i tragici fatti avvenuti, rispose che tale questione era fuori discussione e che al papa, ormai esposto all’eventuale ritorsione di Carlomanno, doveva bastare la sua protezione, peraltro già ampiamente dimostrata in occasione della cattura del primicerius e di suo figlio «qui illi dominabantur» (ibid., p. 487). Del resto, la posizione di Stefano III doveva essersi fortemente indebolita anche a Roma, ormai di fatto sotto il controllo di Paolo Afiarta, fedele alleato di Desiderio, che proprio in tale periodo, per rafforzare il suo potere, provvide a eliminare i suoi residui oppositori, mandandoli in esilio. Tuttavia, proprio quando una serie di inaspettati eventi, quali l’improvvisa rottura dell’alleanza fra il re longobardo e Carlo (autunno 771) e la morte di Carlomanno (dicembre 771), erano ormai sul punto di determinare un importante e decisivo mutamento degli equilibri politici, Stefano III morì, il 24 gennaio 772, e fu sepolto in S. Pietro.
Fonti e Bibl.: G. Cenni, Concilium Lateranense Stephani III (IV) ann. DCCLXIX..., Romae 1735; I.D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, XII, Florentiae 1766, coll. 680-722; Stephani papae III Epistulae, in PL, LXXXIX, Lutetiae Parisiorum 1850, coll. 1248-1258; Ratherii Episcopi Veronensis Decreta et Libellus de clericis a Milone suae sedis invasor ordinatis, ibid., CXXXVI, Lutetiae Parisiorum 1853, col. 480; Iohannis Aventini Annales ducum Boiariae III, 10, a cura di S. Riezler, in Iohannes Turmair’s genannt Aventinus Sämtliche Werke, II, München 1882, p. 410; Regesta Pontificum Romanorum, a cura di Ph. Jaffé et al., I, Lipsiae 1885, pp. 285-288, II, 1888, p. 701; Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 1886 (nuova ed. a cura di C. Vogel, Paris 1955, pp. 468-485); Codex Carolinus, a cura di W. Gundlach, in MGH, Epistolae, III, a cura di W. Gundlach - E. Dümmler, Berolini 1892, nn. 44-48, pp. 558-567; Concilium Romanum a. 769, ibid., Leges, Legum sectio III: Concilia, II, 1, a cura di A. Werminghoff, Hannoverae 1906, pp. 74-92; J.T. Hallenbeck, Pope Stephen III: why was he elected?, in Archivium Historiae Pontificiale, 1974, vol. 12, pp. 287-299.
Per una bibliografia completa si rimanda a E. Susi, Stefano III, in Enciclopedia dei papi, I, Roma 2000, pp. 677-681.