Papaveracee
Piante produttrici di sostanze curative e tossiche
La famiglia delle Papaveracee prende il nome dal genere Papaver, molto noto per le fioriture che colorano intensamente di rosso i prati. Tutte le Papaveracee contengono un latice ricco di alcaloidi; in particolare la specie somnifera, o papavero da oppio, d’origine orientale, è ricca di sostanze che se prese in piccole dosi sono curative, altrimenti diventano molto pericolose
Quella delle Papaveracee è una famiglia di piante erbacee o arbustive diffuse nelle zone temperate. Sono caratterizzate dal fatto che producono un latice più o meno tossico, contenuto in tutte le parti della pianta tranne che nei semi. Non è una famiglia particolarmente ricca di specie: tra le più note ci sono quelle del genere Papaver, come il papavero coltivato (Papaver somnifera), da cui si ricava l’oppio, il papavero selvatico o rosolaccio (Papaver rhoeas), il papavero alpino (specie aurantiacum) e altre ancora.
Sempre della stessa famiglia è la celidonia, o erba delle verruche (Chelidonium maius), pianta campestre che orla i sentieri: dal suo stelo tagliato esce un latice giallastro considerato ottimo per eliminare le verruche, quelle piccole protuberanze, causate da un virus, che possono comparire sulla pelle. Parenti strette delle Papaveracee sono le Fumariacee, come l’erba chiamata popolarmente fumo di terra (Fumaria officinalis), che è considerata un indicatore della fertilità dei terreni perché dove cresce il suolo è buono da coltivare.
In primavera o all’inizio dell’estate si può trovare nei campi qualche papavero. Un tempo erano molti di più, ma qualcuno resiste ancora: è quindi facile osservare l’anatomia della pianta e del fiore. La radice è a fittone (come nella carota), lo stelo principale è ramificato poco e solo all’altezza del colletto, le foglie, piccole e opposte, hanno un colore che varia con la specie, dal verde al color glauco (verde-azzurro).
Quello del papavero è un fiore ermafrodita, in cui convivono i brevi stami col polline e l’ovario con gli ovuli (i futuri semi) in posizione centrale ed emergente. I petali, in numero di quattro e delicatissimi, sono rossi, rosa o arancioni, ma anche bianchi o gialli (dipende dalla specie), e alla base presentano una macchia nera che aumenta la vistosità del fiore richiamando gli insetti impollinatori (impollinazione).
Il frutto del papavero è detto treto poricida, uno strano nome che deriva dal greco e vuol dire «traforato». Si chiama così perché è una capsula globosa bucherellata; quando è matura i pori si aprono (da cui poricida) e fanno uscire i semi. Dai semi del papavero si ricava un olio commestibile, ed essi stessi sono usati per guarnire e insaporire torte, pane e altre specialità.
Le Papaveracee sono caratterizzate dalla presenza nei loro tessuti dei tubi laticiferi. Si tratta di cellule giganti che, in forma di tubi, percorrono il corpo della pianta. All’interno di queste cellule, nel citoplasma, si accumulano molecole organiche appartenenti al gruppo chimico degli alcaloidi, sostanze che l’uomo ha imparato a usare come farmaci in piccole dosi, ma che, ingerite in quantità eccessiva, sono fortemente tossiche.
La soluzione citoplasmatica di alcaloidi forma il latice, che alla pianta serve per accelerare la cicatrizzazione di eventuali ferite e impedire l’ingresso di parassiti nel suo interno. Il latice del papavero è un liquido vischioso, di colore diverso a seconda delle specie. Nel papavero dei campi (Papaver rhoeas) è trasparente, in quello chiamato papavero sanguinario (Sanguinaria canadensis) è rosso, nel papavero della specie somnifera è bianco.
Da circa seimila anni l’uomo coltiva il papavero da oppio; tuttora se ne produce in grandissima quantità in Medio Oriente e in Asia. Vengono colte le capsule ancora immature che, incise, trasudano il latice bianco, l’oppio appunto, che viene raccolto e conservato in pani.
Intorno al papavero da oppio ruotano forti interessi, sia scientifici sia economici (e spesso illegali), perché questa sostanza è alla base di droghe potenti, di farmaci e di veleni. L’oppio contiene oltre venti alcaloidi, tra cui papaverina, codeina (usata come antispastico) e morfina (potente antidolorifico e sonnifero), che l’uomo sin dagli inizi della sua storia ha utilizzato per curare e guarire ma anche per uccidere.