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CAPIZUCCHI, Papirio

di Mirella Giansante - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 18 (1975)
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CAPIZUCCHI, Papirio

Mirella Giansante

Assai scarse sono le notizie e i documenti relativi al ramo della famiglia cui appartenne il C. che si estinse con la sorella di lui, Cintia, moglie del duca Camillo Conti. Il C. nacque probabilmente a Roma intorno al 1510 da Bruto e da Sigismonda Tebaldi, nipote del cardinal Giacomo Tebaldi.

Le memorie familiari ce lo dipingono come figura notevole di cavaliere generoso e ardito, inserito nelle complicate trame di alleanze e odi esistenti fra le famiglie patrizie di Roma. Il 5 ag. 1535, ignorando i tentativi di pacificazione condotti dallo stesso Paolo III, uccise in combattimento Bernardino Pierleoni, ultimo rappresentante della casata. Nel 1540 Ottavio Farnese riuscì a comporre l'aspra lite fra il C. e Vincenzo Veccia, evitando un altro duello. Alcuni anni dopo il C. fu creato dal Farnese sopraintendente delle milizie dello Stato pontificio con lo stipendio di 30 scudi al mese (6 apr. 1544) e, successivamente, il papa gli offrì l'opportunità di fare la prima esperienza militare: nel 1547 lo chiamò a entrare, con il grado di capitano, nel corpo di spedizione pontificio inviato in aiuto di Carlo V impegnato contro la lega di Smalcalda.

A questa campagna presero parte anche altri membri della famiglia Capizucchi, famosa per le sue tradizioni guerriere: Sicinio, anch'egli con il grado di capitano, ed i giovani Cencio, Piero e Antonio. In Germania il C. si distinse per la sua capacità e tornato a Roma fu creato con patente speciale del 12 apr. 1548 "sergente maggiore generale di tutte le milizie dello Stato pontificio" con la provvisione di 50 scudi durante i periodi di guerra e con trecento fanti al suo comando: nella patente si legge la seguente motivazione "Havendo noi piena notizia del valore, fede ed esperienza del magnifico capitano Papirio Capizucco gentilhuomo romano, per havere massimo esperimentato assai nelle cose di guerra" (Capizucchi, I, f. 273v).

In seguito alla morte di Paolo III che aprì a Roma un periodo di torbidi, il C. fu incaricato dal Sacro Collegio di garantire l'ordine nella città durante il conclave. Nel luglio del 1552 egli partecipò come sergente maggiore al comando del generale Camillo Orsini al soccorso che Giulio III, nel quadro della sua nuova politica tendente a sganciare Roma dall'alleanza con l'imperatore e ad accostarsi alla Francia, aveva inviato a Siena insorta contro la guarnigione spagnola. Tornato a Roma il C., assieme a Sandro Conti e ad altri gentiluomini romani, organizzò un corpo di difesa per la città minacciata dall'avanzata di don Pedro de Toledo, viceré di Napoli, diretto appunto in Toscana. Vennero arruolati 6.000 fanti e per pagarli fu aumentata di mezzo rubbio la tassa sul macinato. Il 9 marzo del 1553 gli fu confermata dal pontefice la carica di sergente maggiore. Tali importanti incarichi crearono nei riguardi del C. una certa tensione da parte dell'autorità municipale rappresentata dai caporioni: con questi ebbe una rissa in cui rimase ferito, mentre con la sua compagnia tornava al Vaticano al seguito del nuovo pontefice Paolo IV durante la cerimonia del "possesso", il 28 ott. 1555. Durante la guerra cosiddetta di "campagna" (1556-1558) che il pontefice, privato dell'aiuto francese, si trovò a combattere contro gli Spagnoli del duca d'Alba sul terreno stesso dello Stato della Chiesa, il C. venne incaricato di prelevare da Velletri Ascanio Della Cornia, generale della cavalleria pontificia sospetto di tradimento con gli Spagnoli, e di condurlo a Roma per giustificarsi. Il C. con due compagnie di fanti e cento cavalieri invano inseguì il Della Cornia che, avvertito dal fratello cardinale, riparò presso i nemici. Il C., in questa guerra, fu nuovamente posto alla difesa di Roma che versava in grave pericolo, essendo gli Spagnoli giunti fino alla zona di S. Paolo. Partecipò anche ad alcune azioni nella Campagna romana, come alla sfortunata impresa in difesa di Valmontone. Il 10 ott. 1557 ebbe il comando della fortezza di Ostia che, seppur in decadenza, continuava a conservare una notevole importanza strategica. Morì a Roma dopo il 1566, anno in cui Pio V gli confermò la carica di sergente maggiore.

Fonti e Bibl.: Roma, Bibl. naz., ms. Vitt. Em. 540: P. Capizucchi, Historia della fam. Capizucchi, I, ff. 267v-287v; ms. Vitt. Em. 543; Q. Lucenti, Mem. spettanti alla nobile casa dei signori Capizucchi baroni romani estr. da legittimi docum., I, pp. 388-436; F. Ughelli, Genealogia nobilium Romanorum de Capizucchis, Romae 1653, p. 8; V. Armanni, Della nobile et antica fantiglia de' Capizucchi baroni romani, Roma 1668, pp. 24 s., 63; G. Moroni, Dizion. di erudiz. storico-ecclesiastica, VIII, p. 68; LI, p. 130; LIX, pp. 22 s.; LXXXIX, pp. 133, 313.

Vedi anche
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