Papiro
Nonostante l'opinione diffusa che vede negli studi sul mondo antico, greco e romano, un universo concluso, destinato ad approfondimenti piuttosto che alla 'dilatazione' dell'oggetto studiato, la realtà è alquanto diversa da questa immagine: e ciò soprattutto grazie alla ricerca papirologica, oltre che all'epigrafia, e agli sporadici incrementi d'altra provenienza. La ricerca papirologica propone costantemente all'attenzione degli studiosi nuovi materiali: soprattutto documenti ma anche testi letterari.
Si parla di solito di 'scoperte'. Ma questo termine onnicomprensivo indica varie cose: non soltanto il pezzo ritrovato in loco da studiosi e prima o poi approntato per l'edizione in una delle note collane 'nazionali' esistenti, ma anche il raggiungimento del medesimo obiettivo tramite il contatto con 'cercatori' locali e protesi al guadagno, nonché il ricorso al grande mercato antiquario internazionale. In effetti si tratta sempre di 'scoperte'. Ed è legittimo il termine anche nel caso di 'ritrovamenti' operati non già sul sempre meno generoso suolo egiziano, ma nei depositi ancora poco esplorati delle biblioteche che detengono collezioni di papiri (Oxford, Sackler Library e altre istituzioni inglesi; Firenze, Biblioteca medicea laurenziana e Istituto papirologico G. Vitelli; Milano, Istituto di papirologia, per non citare che alcuni celebri 'depositi'). Quest'ultimo fenomeno è meno visibile degli altri, ma è di grande interesse. Le sue proporzioni non vanno sottovalutate: può anzi accadere che proprio per questa via si producano 'scoperte' da annoverare tra le più clamorose. Sta di fatto che si tratta di migliaia di pezzi, per l'identificazione e il deciframento dei quali ci vorrebbero schiere di studiosi: che palesemente si assottigliano (e ancor meno ci saranno). Questo fenomeno può anche essere causa di una illusione ottica da parte dei fruitori delle pubblicazioni realizzate via via che tali dissotterramenti procedono: cioè di larga parte degli studiosi. Infatti i testi pubblicati, ormai soprattutto nella imponente e autorevole serie degli 'Oxyrhynchus Papyri' (della British Academy e della Egypt Exploration Society), sono il risultato di una scelta, di una selezione, fondata su criteri vari: non ultimo quello di mettere in circolazione pezzi pertinenti allo stesso autore, o a gruppi di autori. Così è avvenuto, per fare qualche esempio, per i volumi lvii (1990) e lxi (1995), quasi del tutto dedicati a Tucidide; per il lxii (1995) tutto, o quasi, demostenico; infine per il recentissimo lxix (edito nel 2005) quasi tutto dedicato a Isocrate.
In una situazione del genere, generalizzandosi tale prassi, ogni statistica mirante a stabilire cosa si leggeva nell'Egitto tolemaico e romano verrebbe 'truccata' appunto dalla natura intenzionalmente selettiva e orientata dei materiali messi volta per volta in circolazione. Nessuno è in grado di dire esattamente quanto sia ancora inedito: e d'altra parte, mentre si smaltiscono (o sarebbe meglio dire si scalfiscono) le scorte, i nuovi apporti, soprattutto dal mercato antiquario, proseguono. La 'confusione' è accresciuta dal fatto che non sempre si riesce a stabilire (per le nuove acquisizioni) o non si è mai avuta (per le scorte giacenti da anni e decenni) esatta notizia del luogo e delle modalità del rinvenimento.
Del resto, i grandi 'tecnici' della papirologia sono stati interessati sin da principio soprattutto ad accrescere via via il patrimonio di edizioni dei singoli testi e documenti. E questo è comprensibile e comunque benemerito. Il modo, perciò, con cui si dà notizia del progresso della disciplina resta pur sempre quello di descrivere le 'grandi novità' affiorate e valorizzate: quali che siano l'epoca e l'ambiente in cui effettivamente quel testo era ritornato alla luce.
Così - e ci riferiamo a un caso limite - la scoperta più clamorosa, forse, e anche la più recente in ordine di tempo, è un grande rotolo di p. con testo greco attribuito ad Artemidoro di Efeso, geografo. Pare - a stare ai racconti disponibili - fosse 'affiorato' nella prima metà del Novecento, per restare, di proprietario in proprietario, nell'obliosa privatezza dei collezionisti fino alla riemersione anni addietro e all'acquisto da parte della Fondazione per l'Arte della Compagnia di San Paolo di Torino, che ha fatto restaurare il papiro.
Origine misteriosa
Come al solito, si sa poco dei primi passaggi. Nel catalogo della mostra (Le tre vite del Papiro di Artemidoro. Voci e sguardi dall'Egitto greco-romano, a cura di C. Gallazzi, S. Settis, 2006) in cui il p. è stato alfine esposto (Torino, Palazzo Bricherasio, 8 febbr.-7 maggio 2006) l'espertissimo editore, C. Gallazzi, scrive: "Verso la metà degli anni novanta, in una ristrettissima cerchia di papirologi e di studiosi di arte antica, cominciò a circolare, molto discretamente, la voce che un collezionista non meglio precisato possedeva un papiro eccezionale, in cui, accanto a un testo greco, comparivano decine di disegni di fattura squisita.
Qualcuno si mise alla ricerca del pezzo, qualcun altro si propose di acquisirlo per la propria istituzione [...] Finalmente, negli ultimi mesi del 1998, il proprietario del reperto, dimostrando un'encomiabile attenzione per le esigenze della scienza, propose a chi scrive e alla prof. Bärbel Kramer dell'Università di Treviri di esaminare il suo prezioso oggetto [...]" (p. 15). L'informazione seguita così: "Come ha rivelato il collezionista che lo possedeva [si tratta del collezionista di origine armena S. Simonian], il rotolo era inserito in un ammasso di papier-mâché fabbricato con papiri divenuti obsoleti, buttati al macero e riciclati [...]" (p. 16). Il p. proverrebbe dallo smontaggio del cartonnage di una maschera funeraria. È quanto narra anche E. Ferrero nelle pagine di La misteriosa storia del papiro di Artemidoro (2006, pp. 103-14): la scrittura sarebbe emersa dalla maschera perché a lungo esposta al sole. Il collezionista ha dichiarato che lo smontaggio della maschera sarebbe avvenuto in un laboratorio di Stoccarda. Tuttavia né S. Settis, né Gallazzi hanno mai visto la maschera, bensì solo i pezzi ormai estratti: circa 200, di cui tre quarti appartenenti a documenti del 1° sec. d.C.: "[…] sono stati ricostruiti venticinque documenti, più o meno completi, ora custoditi presso il Centro interdipartimentale di papirologia "Achille Vogliano" all'Università degli Studi di Milano" (Le tre vite del Papiro di Artemidoro, p. 16). Non esiste una foto della maschera.
Descrizione sommaria
Consideriamo il frammento letterario, in tutto cinque colonne di scrittura, e tracce di una sesta (del p. è stato recuperato un tratto lungo oltre 250 cm e alto 32,5 cm ca.). Del rotolo abbiamo soltanto il pezzo iniziale. Sull'iniziale agraphon (striscia lasciata di solito bianca, come 'foglio di guardia') sono disegnate due teste barbate, una frontalmente, l'altra di profilo. Quindi la prima colonna di scrittura, molto ben conservata, e invece brandelli della seconda e della terza. Il contenuto è un proemio.
Segue un'ampia mappa - la sola giuntaci dall'antichità! - recante linee orizzontali e disegni di casette (un fiume, strade e 'stazioni di posta', s'è pensato): dovrebbe raffigurare, a giudicare da un possibile raffronto con la assai tardiva Tabula Peutingeriana, una parte della Spagna. Invero, la Tabula Peutingeriana è giunta a noi, in un manoscritto viennese, mutila proprio della Spagna, ed è stata integrata congetturalmente dal brillante editore K. Miller nel 1916. Ne consegue la curiosa coincidenza tra la mappa 'antica' e la congetturale creazione del Miller. Segue, assai ben conservata, una quarta colonna di scrittura recante l'inizio della trattazione sulla Spagna. Dovrebbe trattarsi del libro ii di Artemidoro di Efeso, visto che la lunga frase con cui ha inizio la quarta colonna è tramandata anche per tradizione indiretta (Costantino Porfirogenito, De administrando imperio, 23) ed è da lui attribuita al secondo libro dei Geographoumena di Artemidoro di Efeso. La successiva colonna (la quinta) è piuttosto ben conservata e si integra con quanto una macchia d'umido ha fatto sì che rimanesse impresso nel verso del rotolo. Analogo fenomeno giova provvidamente alla ricostruzione della seconda. Ma con la quinta colonna la copiatura del testo si interrompe e segue una serie di disegni, schizzi 'di mani, piedi, volti'. Sono stati definiti disegni di figura perché i modelli copiati sembrano, e in alcuni casi sono certamente, statue o frammenti di statue: i sei disegni delle teste, maschili e femminili, sono riferibili all'attività di due disegnatori, con richiamo a precisi tipi statuari non uniformi per ispirazione stilistica e cronologia; i disegni di mani e piedi, opera di un unico disegnatore, puntano soprattutto all'analisi anatomica e alla resa volumetrica. Ancora più sconcertante il verso, coperto di disegni di 39 animali attribuibili, per perizia tecnica e grafica, alla mano di un solo disegnatore. Si tratta di uccelli, pesci, giraffe, animali che si affrontano in combattimento, animali fantastici: alle diverse composizioni con coppie di animali e a quella più complessa con le tre figure della femmina di grifone, del piccolo di leopardo e della leopardessa, si affiancano raffigurazioni di animali singoli disegnati, per così dire, negli spazi di risulta. Anche in questo ambito non mancano le sorprese, se si considera che alcuni nomi degli animali raffigurati (sempre forniti di didascalie) si trovano attestati unicamente presso fonti molto tardive, e altri sono degli hapax (termini mai altrove attestati). Basti pensare all'inspiegabile astrokyon presente unicamente in Horapollo (5° sec. d.C.) ma come nome della stella Sirio; ovvero al misterioso lykothoas presente unicamente in Cherobosco e Sofronio (9° sec d.C.), nonché all'inquietante korakos nominativo insolito nella grecità tutta.
Questo rotolo, dismesso dalla sua originaria funzione per ragioni non ben chiarite, sarebbe diventato in un primo momento un 'prontuario di animali' da proporre ai clienti di una 'bottega', e poi un 'quaderno di modelli' cioè di esercizi dei garzoni della stessa bottega. Ma esistevano nel mondo antico 'quaderni di modelli'? Dubbi sono stati sollevati e reiterati da Ph. Bruneau (Les mosaïstes avaient-ils des cahiers de modèles? (suite probablement sans fin), in Ktema, 2000, 25, pp. 191-97). E certamente per gli storici dell'arte antica questi disegni, o meglio 'studi' anatomici, 'racchiusi' nell'unico libro di bottega dell'antichità classica finora noto, rappresentano una singolare anticipazione dei 'disegni dall'antico' che sono invece ampiamente documentati a partire dall'età rinascimentale. Una speciale considerazione meriterebbero i volti disegnati nell'agraphon iniziale.
Artemidoro 'ritrovato'. - In realtà la sola fonte che tramandi la citazione da Artemidoro sul nome e le province dell'Iberia è Costantino Porfirogenito nel capitolo 23 del De administrando imperio. Fu A. Berkel (1694), seguito da A. Westermann (1839) e A. Meineke (1849), editori di Stefano di Bisanzio, a decidere di inserire in Stefano il brano estratto dal trattato costantiniano (procedimento adottato da Meineke in molti altri casi e comunque correttamente segnalato con segni diacritici e nell'apparato). Quel che ancora più aggrava la situazione è che a sua volta A. Lentz prese interi brani (tra cui il nostro) dall'edizione Meineke di Stefano e li immise nel suo inutilizzabile testo di Elio Erodiano, dando così l'impressione, del tutto falsa, che già Elio Erodiano (nel 2° sec. d.C.) tramandasse quella frase.
La conseguenza di ciò è che il testo della citazione da Artemidoro va letto come si presenta nel manoscritto Parigino greco 2009 (inizio 11° sec., dunque vicinissimo all'autore) del De administrando imperio; e non invece secondo i ritocchi di Meineke, che sorprendentemente il p. presuppone.
L'unico frammento di una certa ampiezza finora attribuibile ad Artemidoro era questa citazione presente in Costantino Porfirogenito, riguardante la Spagna. Degli undici libri di Artemidoro si ritrova, in questo p., proprio una parte del libro sulla Spagna (il secondo). E proprio quello che avevamo già dalla tradizione indiretta. E, sorprendentemente, nel pezzo ritrovato, la colonna dove dovrebbe incominciare la trattazione sulla Spagna (la colonna iv, le coll. i-iii contenevano il proemio) incomincia per l'appunto con le parole tramandate da Costantino: le quali costituiscono proprio l'inizio di colonna. E invece quella frase difficilmente può essere un inizio, o l'inizio. E comunque la notizia presuppone che il lettore sia già stato 'ambientato' sia pure in modo essenziale, a proposito dei principali toponimi che 'entrano in scena'. Ed è anche curioso che la stessa espressione (apo ton Pyrenaion oron mechri Gadeiron) al rigo 1/2 serva a indicare il territorio, la regione spagnola, mentre invece al rigo 33/34 della stessa colonna serve a indicare la costa.
Tradizione 'indiretta' ma pregevole
Tornando a considerare il punto di partenza dell'intera costruzione, e cioè il frammento, o meglio i frammenti, di Artemidoro conservatici da Costantino Porfirogenito, si nota che il primo dei due, che è anche il più ampio, presenta un difetto: è certamente lacunoso. Nel p. questa lacuna viene colmata con una letterale ripresa delle parole con cui incomincia, poco dopo, la definizione della seconda provincia romana.
Le parole conservateci da Costantino hanno subito anche un ulteriore ritocco da parte dei moderni; ma di esso non ci si può accorgere se si adopera l'edizione Meineke di Stefano di Bisanzio dove il ritocco è avvenuto tacitamente. Uno sguardo alla carta geografica può aiutare. Merita infatti di essere osservato che le due località fino alle quali Artemidoro dice estendersi la Hispania Citerior (cioè la prima eparchia) sono molto vicine tra loro: l'una (Nova Carthago) è sulla costa mediterranea, l'altra (le sorgenti del Baetis) è nell'interno ma non molto lontano, anch'essa, dalla costa. Ciò fa pensare che Artemidoro stia indicando i limiti geografici effettivi del dominio romano in quella parte della Spagna: un dominio consolidato appunto sul versante mediterraneo, dove la romanizzazione fu profonda e irreversibile, ma molto problematico via via che si procede verso l'interno. (Basti pensare alle campagne del 97 a.C. e seguenti contro gli Arevaci ben note dal Libro iberico di Appiano). Ragion per cui sembra da ritenersi 'autentica' la forma dell'Artemidoro di Costantino anche a proposito della seconda eparchia ("fino a Gades e alla Lusitania") e anacronistica invece la forma presente nel p. (ta kata ten Lysitanian panta). Dunque sia per la prima che per la seconda provincia, Artemidoro delimita chiaramente alla zona più vicina alla costa mediterranea la 'presa' romana sulla Spagna. E perciò (sia detto di passaggio) anche il secondo frammento tratto da "Artemidoro libro ii" che Costantino ci fornisce ("Gli Iberi della costa adoperano la lingua latina") doveva appartenere a questo contesto. "I Turdetani, e soprattutto gli abitanti della Betica [scrive Strabone in uno dei capitoli introduttivi sulla Spagna] hanno così profondamente modificato i loro costumi assumendo quelli romani, da non ricordarsi neanche più della loro propria lingua" (iii, 2, 15).
Davvero l'ultima scoperta papirologica del 20° sec. è destinata a offuscare, con il clamore che susciterà, le pur notevoli scoperte di cui il secolo conclusosi non fu certo avaro.
Una discussione, tuttora in corso, riguarda l'epoca cui attribuire questo p. nonché la sua autenticità (si veda, per ora, Quaderni di storia, 2006, 64, pp. 5-60, 391-92, 419-21 e 2007, 65; nonché S. Settis, in la Repubblica 16.9.2006; L. Canfora, in Corriere della Sera 17.9.2006; A. Malnati, in Avvenire (Agorà) 19.9.2006). La discussione si è arricchita con il recente ritrovamento, nella innografia bizantina, di un'espressione-chiave del proemio (haploutai toi kosmoi), altrimenti non attestata.
bibliografia
Tra i manuali di papirologia: H.-A. Rupprecht, Kleine Einführung in die Papyruskunde, Darmstadt 1994 (trad. it. Introduzione alla papirologia, Torino 1999), con ricca bibliografia.
Sugli aspetti materiali del rotolo letterario: W.A. Johnson, Bookrolls and scribes in Oxyrhynchus, Toronto 2004.
Su alcune recenti scoperte: A. Martin, O. Primavesi, L'Empédocle de Strasbourg [P. Strasb. gr. Inv. 1665-1666]. Introduction, édition et commentaire, Berlin-New York 1999; Posidippo di Pella. Epigrammi (P.Mil.Vogl. VIII 309), a cura di G. Bastianini, C. Gallazzi, con la collaborazione di C. Austin, Milano 2001.
Strumenti bibliografici: Checklist of editions of greek, latin, demotic and coptic papyri, ostraca and tablets, ed. J.F. Oates, R.S. Bagnall, S.J. Clackson et al., Bulletin of the American society of papyrologists, Supplements, 9, 20015.
Per l'aggiornamento dei papiri letterari greci e latini, già censiti da R. Pack, si veda il catalogo in versione informatica redatto dal CEDOPAL (Centre de Documentation de Papyrologie Littéraire) dell'Università di Liegi, a cura di M.-H. Marganne (MP3: Mertens-Pack3), http://promethee.philo.ulg.ac.be/cedopal/index.htm e, inoltre, il Leuven Database of Ancient Books (LDAB), all'indirizzo http://ldab.arts.kuleuven.be/.
Per i papiri documentari: http://odyssey.lib.duke.edu/papyrus/texts/DDBDP.html. È possibile accedere al sito dell'Advanced Papyrological Information System (APIS) all'indirizzo http://www.columbia.edu/cu/lweb/projects/digital/apis/. Lo Heidelberger Gesamtverzeichnis der griechischen Papyrusurkunden Ägyptens, hrsg. D. Hagedorn, è consultabile all'indirizzo http://www.rzuser.uni-heidelberg.de/~gv0/gvz.html.