PAPIROLOGIA
. Questo vocabolo, sorto da poco più di trent'anni, è usato impropriamente a indicare la più recente tra le discipline ausiliari dell'antichità classica, quella cioè che ha per suo fine il deciframento, l'edizione, l'interpretazione delle scritture greche e latine su papiro o su altro materiale mobile e facilmente trasportabile, e riguarda più particolarmente l'Egitto nel periodo di dominazione greco-romana, dal sec. IV a. C. all'VIII dell'era volgare. Il senso che la parola ha in sé è troppo vasto rispetto al significato usuale, in quanto le scritture geroglifiche, demotiche, ieratiche, ebraiche, aramaiche, copte, arabe, che tornano in luce insieme con quelle latine e greche, non sono oggetto diretto di questa disciplina, quale almeno comunemente s'intende quando si parla in genere di "papirologia"; troppo ristretto, in quanto non solo le scritture greche e latine su papiro sono oggetto della papirologia, ma anche le scritture greche e latine su pergamena, lamine di bronzo, di piombo, ostraka, tavolette cerate, si può dire insomma tutte le scritture greche e latine, escluse quelle che fanno parte dell'epigrafia e della numismatica.
Essendo affidate, come oggi alla carta, allora al papiro, scritture di tutto lo scibile contemporaneo, dal più umile documento della vita di tutti i giorni al più importante editto imperiale, dagli atti amministrativi e burocratici all'alta letteratura, alla scienza più sublime, è evidente che una disciplina che abbia per suo fine la ricerca e l'interpretazione degli scritti su papiro per un periodo di dodici secoli porterà la sua attività e le sue conquiste in tutto l'ampio campo dell'antichità classica e delle varie discipline che ne fanno parte: letteratura, diritto, storia politica, economica, culturale, religione, superstizione, ecc. Quando in un dato campo i nuovi contributi portati dalla papirologia sono tanto copiosi da non lasciarsi dominare se non dopo un assiduo lavoro di ordinamento per una bene organizzata sistemazione, ecco che si delinea una nuova disciplina proveniente dai dati della papirologia: così, p. es., si volle già disciplina a sé la papirologia giuridica, ossia storia del diritto antico in base ai documenti papirologici, e, recentemente, nel terzo congresso internazionale di papirologia, tenutosi a Monaco nel settembre 1933, Ulrico Wilcken additò quale disciplina d'un prossimo avvenire la diplomatica dell'antichità, parallela alla diplomatica medievale, che avrà accanto a sé, come disciplina sorella, la storia del diritto antico. È naturale che il problema dell'autenticità, di capitale importanza per la diplomatica medievale, si può dire non esista per la diplomatica dell'antichità: ma, a parte questa essenziale differenza, dovrà la diplomatica dell'antichità, sul modello di quella medievale, comprendere la paleografia del documento antico e la cronologia dell'antichità, fissandone i varî metodi di datazione secondo le varie ere, dovra studiare il tipo e la formula dei varî documenti, raggruppandoli secondo le affinità, studiarne la forma esterna, i sigilli, distinguere le varie cancellerie, gli usi notarili, estendendo le indagini anche per la parentela e il confronto con i documenti di altra lingua, specialmente demotici (oltre che egiziani antichi, babilonesi, ecc.).
Tutte queste cose, naturalmente, deve conoscere anche oggi l'editore di documenti su papiro per potere stendere una ragionevole trascrizione del testo e giustamente collocarlo al suo posto nella serie dei documenti analoghi già noti, vedere quanti dati nuovi esso apporta, quanti finora incerti esso conferma, quali modifica, e quali nuovi problemi propone. Non deve pretendere, s'intende, di esaurirne gli argomenti: dopo il lavoro del papirologo-editore, subentra quello dello specialista in quel dato campo a cui il papiro porta nuovi contributi. Sicché anche riguardo allo sfruttamento dei nuovi testi il lavoro del papirologo non ha lo scopo di andare oltre un certo limite: deve presentare il testo per quanto è possibile con sicurezza di lettura, di datazione, di interpretazione, senza attenuare alcuna difficoltà e aporia, sicché possa offrire base sicura per ulteriori indagini e ricostruzioni.
Quanto ai testi letterarî, una volta editi, essi entrano nel campo della letteratura e della critica dei testi, né più né meno di tutti gli altri testi letterarî derivati da codici medievali.
La pianta del papiro e la carta di papiro. - La pianta del papiro, Cyperus papyrus dei botanici (v. papiro), che prosperava anticamente oltre che nell'Egitto anche sulle sponde dell'Eufrate, è oggi completamente scomparsa da quei luoghi; cresce il papiro oggi presso Siracusa sulle sponde dell'Anapo, in Palestina presso il lago di Genezaret, e in Abissinia.
Secondo la notizia - unica - che Plinio (Nat. Hist., XIII, 11-13) ne dà, per fabbricare la carta di papiro si tagliava l'alto stelo della pianta a strisce longitudinali, sottilissime, che risultavano lunghe più d'un metro, larghe pochi centimetri; queste strisce venivano poste sopra un piano orizzontale, allineate una accanto all'altra in immediata successione, in modo da 0ttenere uno strato continuo. Su questo primo strato se ne collocava un secondo, ottenuto allo stesso modo, ma ponendo le strisce, tagliate dallo stelo, in direzione perpendicolare alle strisce del primo strato: il reticolato così ottenuto, bagnato con "acqua del Nilo", veniva pressato e quindi asciugato al sole; e la carta era bell'e fatta. Non pare si adoperasse glutine o colla perché i due strati di fibre aderissero; la pianta stessa doveva contenere in sé qualche elemento colloso. La carta tolta dal torchio era sufficientemente liscia, le ineguaglianze delle fibre erano appianate, ma una battitura a martello poteva rendere il foglio anche più liscio e pieghevole, e un leggerissimo strato di colla alla superficie poteva anche aumentarne la perfezione.
Per fabbricare il rotolo (volumen) molti fogli di carta di papiro, tagliati tutti delle stesse dimensioni, venivano posti sopra un piano l'uno accanto all'altro, in modo da ottenere una lunga striscia continua con semplice incollatura (κόλλησις) dei margini adiacenti. Le κολλήσεις erano così bene eseguite che la penna vi scorreva sopra come nel mezzo del foglio, che era detto κόλλημα ovvero σελίς. Ma poiché il rotolo era scritto a colonne, e le varie colonne numerate progressivamente, si usò chiamare σελίς (e nel linguaggio burocratico κόλλημα) ogni singola colonna di scritto, quello che per noi corrisponde alla pagina.
Nella carta di papiro fine non c'è notevole differenza tra le due parti del foglio; nella carta meno fine, invece, solo la parte anteriore è piana e facile per la scrittura. Si suole chiamare recto la parte del volumen in cui le fibre sono perpendicolari alle κολλήσεις, e i righi di scrittura corrono lungo le fibre; si dice verso la parte in cui le fibre sono parallele alle κολλήσεις e i righi di scrittura corrono attraverso le fibre (cfr. Wilcken, in Hermes, 1887, p. 487 segg.). Nelle edizioni letterarie di lusso, e nei rotoli di uffici statali, il recto solo è la parte scritta; ma poiché il prezzo del papiro fu sempre molto alto, perché era genere soggetto a forti tasse, c'è stato sempre in Egitto un commercio di carta già scritta nel recto, ma ancora buona a scriversi nel verso, che si vendeva a poco prezzo. Nei papiri opistografi, la scrittura del recto è di regola più antica di quella del verso. Con la carta di papiro, dal sec. III d. C. in poi, si fabbricavano anche libri (codici), costituiti da parecchi quaderni o quinterni cuciti insieme, con la costola spesso rinforzata da pergamena.
Conservazione della carta di papiro. - La carta di papiro, che gli Egiziani diffusero presso tutti i popoli civili dell'antichità, greci e romani compresi, era stata il materiale scrittorio d'uso più largo così per volumina e libri di alta letteratura, di esegesi, di scienza, di prescrizioni pratiche, come per registri di uffici statali, banche, aziende agricole, per lettere e documenti d'ogni genere. Però questi scritti su carta di papiro erano andati dovunque miseramente perduti. Solo pochissimi scritti su papiro, e relativamente recenti (papiri medievali), s'erano potuti conservare per la cura dei possessori (documenti papali, papiri di Ravenna, pochi frammenti di codici letterarî); rari cimelî che avevano attratto l'attenzione del Mabillon, del Montfaucon, del Maffei (è celebre l'edizione di G. Marini, I papiri diplomatici, Roma 1805). Ma dagli scavi di Ercolano si ebbe la prima prova che, quando intervengano circostanze e condizioni speciali, si possono conservare scritti su papiro anche molto più antichi: tra il 1752 e il 1754 furono rimessi in luce centinaia e centinaia di rotoli di papiro carbonizzati, appartenenti, come col Comparetti giustamente si ammette, alla biblioteca di Filodemo nella villa di Calpurnio Pisone. Molti di questi rotoli sono autografi di Filodemo (della stessa opera sono conservate più copie in redazioni diverse, rivedute e corrette); e l'importanza paleografica delle scritture dei papiri ercolanesi (riprodotte nella Collectio Tertia, col metodo Alinari, per cui di questo scritto nero opaco, su fondo nero lucido, si ottengono facsimili chiari come quelli dei papiri allo stato naturale), nella grande scarsità di papiri letterarî databili con sicurezza, è aumentata appunto per il fatto che offrono date sicure: sec. I a. C. per gli autografi di Filodemo, e, come termine ultimo per i papiri più recenti, il 79 d. C.
L'Egitto invece per la costante aridità del suo suolo e l'insabbiamento che ricopre le rovine di antiche città e villaggi ha potuto sottrarre alla distruzione le vecchie carte di papiro. Condizione sine qua non per la conservazione del papiro è l'aridità assoluta, quale si riscontra solo in terreni che non hanno mai pioggia dal cielo, né infiltrazioni d'acqua nel sottosuolo. La Cirenaica, tanto prossima all'Egitto, non conserva papiri perché esposta a piogge e all'umidità; non ne conservano, per la stessa ragione, né Alessandria, né le regioni del Delta (il caso dei papiri carbonizzati o fossilizzati del nomo Mendesio è dovuto a circostanze speciali).
La massima parte delle località di scavo sono al margine di regioni desertiche, così as-Saqqārah, Menfi e Tebe, così varî villaggi del Fayyūm, tra cui Tebtunis (Umm-el-Boregat), Soknopaiu Nesos (Dīmeh), Karanis (Kōm Ushīm), Theadelphia (Baṭn Ḥarīth), Philadelphia (tra Girza ed el-Rubayat), Magdōla (Medīnet en-Naḥḥās e Medīnet el-Ma‛ādī), Arsinoe (Kīmān Fāris), Biahmu, Hawwāra e così via, verso l'alto Egitto, el-Ḥibeh (Fashn), Herakleopolis (Ehassiah), Oxyrhynchos (Bahnasā), Antinoupolis, Aphroditopolis (Aṭfīḥ), Aphroditopolis Magna (Kōm Eshqāw), Panopolis (Akhmīm) e Apollinopolis Magna (Edfū), ecc.
E infatti tra rovine dissepolte G. Lefebvre ha trovato in Aphroditō i resti d'un codice delle commedie di Menandro, C. Anti ha trovato a Tebtunis in due ripostigli attigui del tempio di Sekneptynis un'ingente quantità di papiri demotici, ieratici, greci, e, recentemente, pure a Tebtunis, A. Vogliano un bel rotolo di διηγήσεις a poemi di Callimaco. E ancora tra rovine il Rubensohn aveva trovato in Elefantina i bellissimi papiri della prima età tolemaica. Ma non solo tra rovine di case si trovano i papiri: la massima parte forse proviene da quei kīmān (plurale dell'arabo kōm "tumulo") che hanno una più modesta origine, e che si presentano oggi come colline di terriccio (sebbākh), ma non sono nient'altro che gli antichi immondezzai (κοπρίαι, κοπρῶνες), dove andavano a finire, con gli altri rifiuti della casa, anche le vecchie carte cestinate. Da uno di tali kīmān nel 1932 E. Breccia ricuperò a Oxyrhynchos importanti frammenti letterarî di Eschilo, Sofrone, Eupoli, Cratino, resti d'una ricca biblioteca.
Papiri greci si possono trovare anche nelle tombe, perché perdurarono presso gli Egiziani ellenizzati, con le antiche credenze, anche le usanze funebri, accolte talvolta persino dai nuovi dominatori. E come nelle tombe egizie si trovano gli oggetti cari in vita al defunto, così anche presso cadaveri greci si sono trovati deposti rotoli di papiro, che la pietà dei congiunti ha chiusi con essi nella tomba. Il capo d'una fanciulla greca posava sopra un'Iliade, nella tomba di un soldato greco, presso Abusir, si trovarono i Persiani di Timoteo, in un'altra ancora, presso la mummia, un'orazione di Iperide.
E persino il cartonnage di mummia ha conservato il papiro scritto: se ne accorse per primo il triestino G. Passalacqua, che a Parigi (1826) poté staccare da pezzi di cartone di mummia i papiri che erano stati incollati per fabbricarlo. Evidentemente quando, per essere trascorso un dato numero di anni, scadeva la validità di documenti e registri, gli scarti degli uffici pubblici passavano al fabbricatore di involucri di mummia a buon mercato. Il cartonnage aveva lo spessore di 3 0 4 fogli di papiro incollati uno sull'altro, e ricoperti esternamente da un sottile strato calcareo dipinto a varî colori, secondo il rito. Però i pezzi di papiro che il Passalacqua staccò da cartoni di mummia erano frammentarî e insignificanti: la grande scoperta si ebbe dagli scavi di W. M. Flinders Petrie a Tell Gurob e da quelli di B. P. Grenfell e A. S. Hunt a Hibeh e a Tebtunis. Dai sarcofagi di Tell Gurob il Petrie, col Mahaffy e col Sayce, ottenne una bella serie di documenti datati del sec. III a. C. e lunghi frammenti dell'Antiope d'Euripide e del Fedone di Platone.
Restauro. - Quanto al metodo per staccare i papiri dal cartonage di mummia, è stato accennato più volte all'uso di soluzioni acide per sciogliere l'intonaco calcareo e ad altri difficili procedimenti. Probabilmente non tutte le fabbricazioni sono identiche: M. Norsa riuscì a staccare con sola acqua di fonte da pezzi di cartone di mummia, acquistati in Egitto da E. Pistelli, i papiri di This, pubblicati in P. S. I., III.
Per il restauro dei papiri provenienti da kīmān o trovati tra rovine non è facile dettare metodi e formulare regole fisse: il procedimento si deve adattare alla qualità della carta di papiro che varia moltissimo; e tale adattamento s'impara solo con la pratica. Quello che si può dire in generale è che il papiro, quando è tolto dal suo letto di aridità che ne ha reso possibile la conservazione, è sempre tanto secco e riarso che facilmente va in frantumi e si sgretola. Il più delle volte, e specialmente se esce dal sebbākh, è anche molto impolverato, raggrinzito, arricciato; e le fibre contratte, sollevate, spostate, hanno bisogno di essere nuovamente stese e rimesse al loro posto come erano in origine: rimettendo a posto le fibre, anche le lettere spezzate, spostate, contorte, riprendono la loro posizione e la loro forma normale. Basta dunque togliere dapprima il terriccio polveroso, che offusca lo scritto, passandovi sopra un pennello, leggermente, lungo le fibre, e poi (con garza umida o carta sugante bagnata o vapore d'acqua o altro) fare sentire l'umido al papiro, il che lo libera dalla fragilità e rende alle fibre la loro primitiva pieghevolezza, sicché, obbedienti, seguono lo strumento a punta o la lamina sottile che le rimette a posto. Rimesse a posto le fibre, è necessario togliere nuovamente al papiro l'umidità che ha assorbita per il restauro e che a lungo andare lo guasterebbe. E anche per riasciugare interamente il papiro, e togliergli tutta l'umidità, i mezzi possono variare. Quello che importa è che il papiro, con le fibre rimesse a posto, i varî pezzi riaccostati, quando ne sia il caso, sia liberato interamente dall'umidità e ben rinchiuso fra due vetri. Sono invece di solito ben conservati i rotoli letterarî che si rinvengono nelle tombe, come pure i papiri letterarî e i documenti ancora arrotolati, e spesso con la scriptio interior ancora suggellata, che si trovano tra rovine di case (cfr. P. S. I., 1014-1025), specialmente se sono stati posti, secondo l'uso antico, entro giarre di terra. In questi casi basta talvolta quel po' di umidità che i rotoli assorbono naturalmente dall'aria a rendere al papiro la sua naturale pieghevolezza.
Primi ritrovamenti e primi studî. - La prima segnalazione del sopravvivere di scritture greche su papiro, attraverso tanti secoli, è stata in parte casuale: nel 1778 a un ignoto mercante che viaggiava in Egitto furono offerti da alcuni fellāḥ, presso el-Gīzeh, 40-50 rotoli di papiro in una cassa di sicomoro. Il mercante, ignorando di che si trattasse, ne comprò uno solo; gli Arabi, a quanto fu riferito (e pochi lo credono) avrebbero bruciato gli altri per assaporarne il profumo. Il rotolo fu portato al cardinale Stefano Borgia, e fu pubblicato poco dopo dal danese Nicola Schow (Charta papyracea graece scripta Musei Borgiani Velitris, Roma 1788; ristampata nel 1915 in F. Preisigke, Sammelbuch, 5124, si trova ora al Museo Nazionale di Napoli, sala VI). Era quello allora il più antico esemplare di scrittura greca corsiva, e lo Schow ha il merito d'averla decifrata e d'avere con ciò iniziato le pubblicazioni papirologiche. Il rotolo stesso, datato dal 33° anno di Commodo imperatore (192 d. C.) è un lungo elenco di nomi (κατ'ἄνδρα): vi sono indicati coloro che per obbligo liturgico dovevano prestare opera personale per cinque giorni nei lavori di arginatura (εἰς τὰ χωματικὰ ἔργα).
Ma questa prima pubblicazione papirologica rimase per più decennî sola e isolata; non fu seguita da altri ritrovamenti di papiri greci nemmeno quando la spedizione napoleonica (1798) promosse e instaurò le ricerche sull'antichissima civiltà egizia, e fu animatrice di quel meraviglioso risveglio di indagini e di studî che portò al deciframento dei geroglifici, ai lavori dello Champollion e di Ippolito Rosellini. Nell'opera monumentale Description de l'Égypte E. Jomard descrive, con gl'ipogei di Tebe, anche i papiri ritrovati e le scritture, ma non sono papiri greci.
Solo verso il 1820 furono salvati due grandi gruppi di papiri greci, i papiri della Necropoli (Μεμνόνεια) di Tebe, e i papiri del Serapeo di Menfi. Giunti in Europa in varie collezioni, furono divisi fra varie città: Torino, Roma, Parigi, Leida, Londra, Vienna. Come è naturale, si rivolsero subito allo studio dei nuovi testi i migliori ingegni d'ogni nazione. Già nel 1821 A. Boeckh comunicava all'Accademia di Berlino l'illustrazione d'un papiro del gruppo tebano, un contratto di vendita di Ptolemais nel Pathyrites dell'anno 104 a. C.; nel 1822 J. Saint Martin leggeva a Parigi, all'Académie des inscriptions, alcune notizie su tre papiri della collezione Casati, e nel 1824 Amedeo Peyron comunicava all'Accademia di Torino esaurienti notizie sul grande papiro torinese dell'anno 116 a. C.: una complicata questione giudiziaria tra Ermia, figlio di Tolomeo, uno dei comandanti la stazione militare di Ombo, e i Choachiti che durante la sua assenza da Diospolis avevano occupato una sua casa. Il papiro stesso, insieme con altra petizione, era interamente pubblicato nel 1826; e nel 1827 seguivano gli altri dodici papiri della collezione, con trascrizione, versione latina e ampio commento (Papyri Graeci regii Musei Aegyptii Taurinensis, in Atti della R. Accad. delle scienze di Torino, XXXII, 1826, pp. 9-188; XXXIII, 1827, pp. 1-80, con 6 tavole). La pubblicazione del Peyron è opera di prim'ordine. Il suo indiscutibile valore s'impose non solo in quel primo periodo di ricerche, ma desta ancora l'ammirazione. Allora lettura e contenuto presentavano forme del tutto nuove: di certi istituti giuridici, della gerarchia statale e sacerdotale tolemaica s'aveva allora per la prima volta notizia; tuttavia le basi che allora pose Amedeo Peyron sono tuttora salde. Per opera sua, al primo sorgere di questa nuova disciplina, l'Italia teneva il primo posto. Non mancarono le lodi del Letronne, articoli divulgativi di Federico Sclopis e anche proposte di varie interpretazioni di Giacomo Leopardi. Non altrettanto buona parve ai contemporanei l'opera di G. Petrettini, che pure nel 1826 dava una prima edizione di alcuni papiri di Vienna (Papiri greco-egizi dell'I. R. Museo di Corte, tradotti e illustrati, ecc., Vienna 1826). Insieme con due complicate quietanze della banca regia (βασιλικὴ τράπεζα) di Menfi, c'è uno dei rari documenti del sec. IV a. C., l'imprecazione di Artemisia che la donna irata aveva deposta nel tempio: invoca Osorapis e gli dei che con lui siedono perché non diano pace al padre della sua figliola, non gli concedano di seppellire i suoi genitori, né di avere sepoltura dai suoi figli, ecc. Il documento, oltre che per il contenuto, è difficile anche per la mistione dialettale, e la pubblicazione del Petrettini, professore a Padova, ha almeno il merito d'essere tra i primi arditi tentativi di tali studî.
Intanto, tra il 1831 e il 1833, il cardinale Angelo Mai, pubblicando con correttezza di lettura 6 papiri della Biblioteca Vaticana (Classicorum auctorum e vaticanis codicibus editorum series, IV, 1831, pp. 355-361; V, 1833, pp. 600-604), iniziava gli studî di quel grande archivio di Tolomeo che riguarda i reclusi (κάτοχοι) del Serapeo di Menfi, e che, trovato non si sa quando, era giunto in Europa in varie collezioni, sicché i documenti erano divisi tra Roma, Parigi, Leida, Londra, Dresda. I ritrovamenti in Egitto, quando non provengano da scavi ufficiali e regolari, sono sempre preda d'una turba di grandi e piccoli negozianti che dividono e suddividono la loro mercanzia, si decidono con diffidenza a farla vedere agli Europei, talvolta ne mostrano un pezzetto, e tengono riposto il resto e il meglio, sicché spesso d'uno stesso foglio una parte arriva a Londra, un'altra in America, e una terza in Italia o altrove: dispersione a tutto danno degli studî. Poco dopo infatti, nel 1839, erano pubblicati altri papiri del Serapeo, dal Forshall (Londra 1839). E poiché il Forshall aveva dato il solo testo, senza commento illustrativo, osservando che era prudente attendere la pubblicazione degli altri papiri dello stesso archivio, ne imprese l'illustrazione Bernardino Peyron (Papiri del Museo Britannico di Londra e della Biblioteca Vaticana, ecc., in Memorie della R. Acc. delle scienze di Torino, 1841), edizione più corretta, che rappresenta un buon passo innanzi nella ricostruzione della vita del Serapeo, nello studio sulle condizioni dei κάτοχοι, dei varî culti che vi erano rappresentati, ecc. Seguirono le altre pubblicazioni dei documenti dello stesso archivio: Papyri Graeci Musei Antiq. Publ. Lugduno-Batavi, ed. C. Leemans (Leida 1843); Notices et extraits des manuscrits de la Bibliothèque impériale et autres bibliothèques, XVIII (Parigi 1865), buona edizione, preparata da J.-A. Letronne, e condotta a termine da Brunet de Presle ed Egger; e finalmente, nel 1876 una delle tante petizioni di Tolomeo, arrivata a Milano, era edita dall'abate Antonio Ceriani. Tutti questi documenti sono ora raccolti e ristampati magistralmente da U. Wilcken (Urkunden der Ptolewäerzeit).
Del resto già nel 1838 era stato pubblicato dal Letronne il primo papiro letterario nuovo (Fragments de Thespis, d'Ibycus, de Sappho, ecc., cités dans un Papyrus du Musée Royal, in Journal des savants, 1838, pp. 309-317, 321-328). È il papiro di Parigi 2, opistografo: Tolomeo ὁ ἐν κατοχῃ si è valso del verso per segnarvi dei conti con la data del 22° anno di Tolomeo Filometore (160 a. C.) e il sogno di Nektembēs, il recto conserva quindici colonne di un bel volumen letterario, un trattato di dialettica, il Περὶ ἀποϕατικῶν di Crisippo, e vi sono citati, quali esemplificazioni, versi fino allora ignoti di varî poeti. Di altri frammenti letterarî drammatici pubblicati più tardi dal Weil, solo recentemente il Wilcken riconobbe la provenienza dallo stesso archivio del Serapeo. Ma più alta risonanza destò il ritrovamento delle orazioni di Iperide, tratte da lunghi frammenti di bei rotoli provenienti da varî acquisti (A. C. Harris, J. Arden e H. Stobart) e pubblicate da varî dotti e subito ristudiate e ripubblicate in varie edizioni. Tra gli altri D. Comparetti pubblicò: Observationes in Hyperidis orationem funebrem, il Discorso in favore di Euxenippo (Pisa 1861), e il Discorso di Iperide per i morti della guerra Lamiaca (ivi 1864).
Incominciò ben presto anche la serie dei ritrovamenti latini, tanto più rari dei greci. F. Massmann pubblicava un frammento d'un rescritto imperiale latino di Leida in appendice al suo Libellus aurarius (Lipsia 1840, pp. 147-150), e subito dopo, nel '42, il De Wailly, comunicava all'Académie des inscriptions et belles lettres un frammento di Parigi che si riallaccia perfettamente a quello di Leida e ne completa il testo.
E si pensò anche a raccogliere e coordinare i dati sparsi nei varî documenti e a valersi di quelle testimonianze inconsce del passato per controllo e conferma di quanto viene asserito dalle fonti letterarie, integrandole a ricostruire gl'istituti, le usanze, la cultura, la vita insomma di cui quelle carte ci portano le voci affievolite: G. Lumbroso con la sua opera Recherches sur l'économie politique de l'Égypte sous les Lagides (Torino 1870), attingendo nuovi dati dai papiri seppe offrire una nuova visione di tutto l'ordinamento statale tolemaico.
L'età delle grandi scoperte. - Un secolo dopo il ritrovamento della Carta borgiana, nell'inverno 1877-78, l'arciduca Ranieri acquistava, per mezzo d'un antiquario viennese, grandi blocchi di papiri di varia provenienza: Kimān Fāris (Arsinoe), Herakleopolis (Ehnassia), Hermoupolis Magna (Ashmūnein), e i ritrovamenti fortunati seguitarono ancora negli anni successivi. Tale acquisto per la straordinaria quantità e varietà del materiale documentario, letterario, latino, greco, copto, arabo, ebraico e persino persiano, provocò un vero rivolgimento in queste ricerche e in questi studî, sicché segna l'inizio d'un nuovo periodo. In primo luogo fu chiaro a tutti che non si doveva più abbandonare agl'indigeni la ricerca dei preziosi scritti a solo scopo di lucro, ma conveniva organizzare ricerche e scavi sistematici, scientificamente condotti; poi la grande quantità del materiale apportatore di nuovi dati storici, economici, giuridici e culturali, i molti frammenti letterarî nuovi fecero intendere anche agl'increduli che i papiri non rappresentavano una semplice "curiosità erudita" ma offrivano tale ricchezza d'elementi storici sicuri da ricostruire su nuove basi la vita del mondo antico. Finché i papiri nelle biblioteche e nei musei si contavano a decine, la quantità del materiale non era tale da servire di base a una nuova scienza, ma quando si contarono a centinaia e a migliaia, e le pubblicazioni si moltiplicarono tanto che non fu facile dominare il campo, la proporzione si impose da sé. Bisognava anzitutto ottenere dal governo egiziano la concessione di scavo, e benché anche negli scavi il dotto sia stato preceduto dal mercante egiziano "autorizzato" il risultato degli scavi sistematici fu subito ottimo. Nel 1889-90 il Petrie, scavando a Tell Gurob, trovò grandi quantità di sarcofagi di mummia in cartonnage, da cui si ebbero bellissimi papiri, e nel 1895-96, per conto dell'Egypt Exploration Fund, fecero i primi saggi nel Fayyūm il Grenfell, il Hunt, il Hogarth; ma gli scavi memorabili furono quelli dell'inverno 1897-98 a Oxyrhynchos (Bahnasā): tornarono in luce migliaia e migliaia di documenti dell'età romana e bizantina, tutto lo scarto degli uffici pubblici della città, e bellissimi frammenti letterarî, resti d'una ricca biblioteca.
E si succedevano le buone pubblicazioni: Aegyptische Urkunden aus den K. Museen zu Berlin, I (1893); The Flinders Petrie Papyri, ed. Mahaffy (Dublino 1894); F. G. Kenyon, Greek Papyri in the British Museum, I (Londra 1893); II (ivi 1898); nel 1896 B. P. Grenfell pubblicava An erotic fragment and other greek papyri (col lamento della donna abbandonata); nel 1897 uscivano i Logia Iesu; nel 1898 il primo volume dei papiri di Oxyrhynchos; nel 1889 il British Museum acquistava l''Αϑηναίων πολιτεία di Aristotele e i Mimi di Eronda, nel 1896 i carmi di Bacchilide, mentre tutte le nazioni a gara iniziavano scavi: U. Wilcken scavava nel 1898 a Herakleopolis; Pierre Jouguet poco dopo in Antinoe e a Magdōla insieme con Gustave Lefebvre, il fortunato scopritore di Menandro (Aphroditō 1905). Fu tale e tanto il fervore di acquisti, di scavi, di pubblicazioni, che non è facile seguirne le vicende, né è possibile accennarvi in breve spazio. La nuova disciplina era ormai consacrata: U. Wilcken fondava l'Archiv für Papyrusforschung per riunire e coordinare i risultati degli studî nei varî campi a cui dànno materia i papiri; e il valore delle sue recensioni che sempre chiariscono i punti oscuri o portano innanzi l'indagine, è a tutti noto.
L'Italia che, dopo avere tenuto il primato in questi studî nel primo periodo per opera di A. Peyron e A. Mai, era stata inerte spettatrice proprio nel periodo delle grandi scoperte iniziatosi con l'acquisto dell'arciduca Ranieri, nel 1901, per merito di Girolamo Vitelli, inizia quel meraviglioso risveglio per cui acquista in questo campo, in pochi anni, uno dei posti più cospicui. Dal 1901 ad ora, dalla pubblicazione cioè del primo papiro fiorentino (il grande mutuo dell'anno 153 d. C.) alle διηγήσεις di poemi di Callimaco uscite nell'estate 1934, l'opera del Vitelli fu tale che ogni elogio sarebbe poco. I primi scavi fatti in Hermoupolis Magna e i primi acquisti diedero materiale ai tre volumi di papiri fiorentini, nel 1908 per l'interessamento di A. Orv. ieto si fondava la Società italiana per la ricerca dei papiri greci e latini in Egitto. Si fecero scavi in Oxyrhynchos (E. Pistelli, G. Farina) con ottimi risultati e si seguitarono gli acquisti. E quando già, pubblicati sette volumi, i contributi della Società italiana venivano a mancare per le gravi condizioni finanziarie del dopoguerra, intervenne l'aiuto del governo, sicché l'impresa poté progredire. È oggi in corso di stampa il volume XI delle Pubblicazioni della Società italiana, tutto letterario: fu già data notizia dei frammenti di Gaio, Eschilo, Sofrone, Eupoli, Cratino, ecc., e sono in gran parte composti i documenti destinati al vol. XII. Il più esteso testo letterario nuovo dell'ultimo quarto di secolo, il Περὶ ϕυγῆς di Favorino, acquistato poi da papa Pio XI, fu edito nel 1931 a cura di M. Norsa e G. Vitelli. Un altro nucleo di studiosi di papirologia si raccoglie a Milano intorno ad A. Calderini, editore di Aegyptus, rivista italiana di papirologia, di un primo fascicolo di Papiri Milanesi e degli Studi della Scuola papirologica di Milano.
Risultati dell'indagine papirologica. - Fu idea eccellente del Wilcken di proporre che i papirologi, convenuti a Monaco nell'autunno 1933, presentassero, ciascuno per gli studî di cui meglio s'intendeva, comunicazioni sul contributo apportato dai papiri e dall'indagine papirologica alla conoscenza dell'antichità. Gli atti di quel congresso, pubblicati nel vol. XIX dei Münchener Beiträge giovano molto a dare un'idea dei risultati raggiunti. Naturalmente non è possibile, né utile, separare nettamente i papiri dalle altre fonti; e queste sempre avranno notevole prevalenza su quelli. Prendiamo, ad es., i testi di prosa letteraria e di poesia. Importerà molto conoscere quello che di buono ci hanno dato i papiri, o per la costituzione del testo, o per la storia della tradizione di Tucidide, poniamo, o di Platone: ma qual paragone è possibile con quello che i codici medievali ci hanno conservato, sia in fatto di testi, sia in fatto di esegesi? I papiri ci hanno donato interi poemi di Pindaro e di Bacchilide, intere orazioni di Iperide, poeti quasi interamente nuovi, come Timoteo ed Eronda; all'unico dramma satiresco che si possedesse (il Ciclope di Euripide) ne hanno aggiunto un altro, gli Ichneutai di Sofocle, ci hanno illuminati sopra infiniti particolari di storia letteraria, di metrica, di grammatica, di lingua in genere, ecc.; ma questo certamente ricchissimo contributo alla storia della letteratura e della poesia greca non sarebbe molto se non avessimo anche i codici medievali di Erodoto e di Tucidide, di Omero, dei tragici, di Pindaro, ecc., e possiamo anche aggiungere: se non avessimo la grossa e spesso indigesta congerie di scolî, di διηγήσεις, di ὑποϑέσεις che il Medioevo e anche la più tarda età bizantina ci hanno, più o meno fedelmente, trasmessa. È ben lontano dal nostro intendimento esagerare il valore delle recenti scoperte di papiri, a detrimento di quello che i più antichi umanisti ebbero a disposizione in grazia della non interrotta tradizione di cultura e dei modesti e benemeriti grammatici ed eruditi.
Ciò premesso, possiamo accennare brevemente a quello che i papiri ci hanno dato, senza bisogno di aggiungere a ogni affermazione prudenti riserve e attenuazioni. Non è qui il caso di elencare quanto i papiri, tra frammenti e scolî, ci abbiano restituito di Callimaco (le διηγήσεις di poemi di Callimaco recentemente edite rendono necessario un nuovo ordinamento dei frammenti e una nuova edizione), né i frammenti degli altri poeti alessandrini (Euforione, Fileta, Cercida), dei lirici antichi, dei tragici, ecc., perché ottimi elenchi di tutti i frammenti letterarî editi nelle varie collezioni diedero già Ch. H. Oldfather e W. Schubart e molto materiale è raccolto da J. U. Powel e E. A. Barber, New Chapters in Greek Literature (Oxford 1921-1932).
Lingua greca. - È specialmente opportuno dire qualcosa della storia della lingua greca, per la quale, pure essendoci lavori addirittura monumentali quale la grammatica dei papiri greci tolemaici del Mayser, mancano esposizioni che comprendano tutto o quasi tutto il materiale offertoci dai papiri per la conoscenza dello svolgimento e l'uso della lingua nel lungo spazio di tempo di più di mille anni dalla fine del sec. IV a. C. al principio del sec. VIII.
Fino a oltre la metà del sec. XIX gli studiosi di lessicografia e grammatica greca consideravano ogni fenomeno linguistico posteriore al sec. IV come fenomeno di pura decadenza, non degno di attenzione, se non da un punto di vista di pura erudizione antiquaria. Basti dire che, senza ricorrere alla speciale erudizione dei teologi, non era possibile comprendere nell'ambito degli studî di filologia classica l'elocuzione, lo stile, la lingua così dell'Antico come del Nuovo Testamento. Si era venuti così a costruire una lingua dei libri sacri e delle opere che da essi movevano, come qualcosa di separato, d'indipendente dallo svolgimento naturale della lingua greca. E il più di quello che dall'eloquio di Demostene e di Platone differiva, spesso si attribuiva a influenze semitiche. A rendere evidente l'importanza della papirologia basterebbe questo solo merito di aver fatto rientrare quella cosiddetta "lingua sacra" nell'ambito della loquela comune dei popoli ellenici ed ellenizzati dal tempo di Alessandro Magno in poi. A questo risultato non si sarebbe giunti senza le centinaia e migliaia di documenti papiracei così dell'età tolemaica come di quella romana e bizantina. I volgarismi di tante e tante forme, che compaiono nel Nuovo Testamento, non sono per nulla diversi dai volgarismi della gente più o meno indotta che a quel tempo scriveva di faccende familiari, di amministrazione pubblica, di commerci, di industrie, di qualsivoglia argomento insomma.
Paleografia. - Il maestro della paleografia greca B. de Montfaucon poteva disporre solo di scritture medievali; oggi quell'immenso archivio di documenti originali che il suolo d'Egitto ha restituito alla luce, insieme con rotoli, libri e frammenti letterarî, ci offre una ricchissima serie di scritture greche datate o sicuramente databili dal sec. IV a. C. al sec. VIII d. C. La dottrina della scrittura greca (a non tenere conto dell'epigrafia) deve quindi cominciare dal sec. IV a. C. Tuttavia nonostante il ricco materiale raccolto, oggi una storia della scrittura greca dal sec. IV a. C. al sec. VIII d. C. ha ancora il carattere d'un semplice tentativo, di alcunché di preparatorio e provvisorio, e richiede ancora nuove e più profonde indagini e ulteriore elaborazione.
Il più antico documento greco datato è il contratto matrimoniale di Elefantina dell'anno 311 a. C. più volte ristampato e commentato (O. Rubensohn, Elephantine Papyri, I; U. Wilcken e L. Mitteis, Grundzüge u. Chrest. d. Papyruskunde, II, p. 283; P. M. Meyer, Jurist. Pap., p. 18). Quantunque non datati, sono ritenuti più antichi ancora del contratto di Elefantina il volume dei Persiani di Timoteo (ora a Berlino, ed. U. Wilamowitz-Moellendorf, Timotheos, die Perser, Lipsia 1903) e l'Imprecazione di Artemisia (ora a Vienna, edit. princ. G. Petrettini, 1826; cfr. U. Wilcken, Urkunden der Ptolemäerzeit, Berlino 1927).
In questi documenti del sec. IV a. C. come pure in quelli dei secoli successivi la scrittura è continua, senza distinzione di parole: qualche breve spazio bianco serve solo talvolta a distinguere le frasi o i varî incisi, dove noi oggi poniamo il segno d'interpunzione. Segni d'interpunzione, spiriti, accenti, punti diacritici mancano interamente o sono rarissimi nei più antichi manoscritti; divengono comuni nell'età romana. Nei papiri del sec. IV a. C. le lettere, accostate l'una all'altra, conservano in generale la forma epigrafica ad angoli e a tratti rettilinei (Ε, Σ, Ξ, Ι); ben presto però, com'è naturale, trattandosi di scrittura non incisa o scalfita, ma tracciata con strumenti a inchiostro, gli angoli vanno smussandosi e arrotondandosi, i tratti perdono la loro rigidità e talora si protendono a legarsi con la lettera vicina. Da questi tre papiri del sec. IV a. C. risultano minime le differenze tra scrittura letteraria e documentaria; e non sono maggiori nemmeno nei papiri finora noti del sec. III a. C., mentre poi la scrittura documentaria va sempre più scostandosi e differenziandosi dalla letteraria via via che si procede nei secoli: nella letteraria, più calligrafica e stilizzata, permane l'uso delle forme di tipo epigrafico con lettere accostate senza legature, nella documentaria invece, perché più corrente e personale, la forma fondamentale delle lettere subisce inavvertitamente delle modificazioni per la necessità di fondere in un solo tratto, senza staccare la penna dal foglio, quelli che in origine erano due tratti staccati della stessa lettera: e a unire, fondendo con legatura, i tratti di due lettere successive.
Va notato però che, in tutti i tempi, anche nei secoli più tardi, occorrono, sia pure non frequentemente, documenti in scrittura letteraria, e testi letterarî in scrittura documentaria, senza dire poi che, in qualsiasi tempo e in scritti di qualsivoglia genere si trovano frammisti in varia proporzione elementi di scrittura letteraria nei documenti, ed elementi corsivi o di scrittura documentaria in testi letterarî.
I papiri finora noti del secolo IV a. C. sono pochi; per il sec. III a. C. abbiamo invece una ricca serie di documenti provenienti da varie regioni dell'Egitto, tra i quali emergono le molte centinaia dei papiri dell'archivio di Zenon (i primi 300 furono editi da G. Vitelli nelle Pubblicazioni della Società Italiana, le altre centinaia del museo del Cairo e di Michigan da C. C. Edgar, e recentemente i papiri zenoniani della Columbia University da L. Westermann). Le scritture del sec. III a. C. mostrano già un'arte grafica molto progredita e sicura e uno stile assolutamente distinto. Ci sono, è vero, anche nel secolo III a. C., scritture di tipo epigrafico (W. Schubart Griech. Paläogr., fig. 2 segg.), tipo che perdura sporadicamente, sia pure con qualche diversità e irregolarità, anche nei secoli più tardi, e specialmente poi è quasi costante nei βραδέως γράϕοντες, non del tutto illetterati ma non pratici di scrittura, che, come anche ora i quasi analfabeti, usano il maiuscoletto. Ma le scritture correnti mostrano un tipo ben definito con la spiccata caratteristica di far prevalere in alto del rigo, con speciale rilievo, una linea di continuità formata da tratti spostati delle singole lettere, sicché esse sembrano quasi sospese a un filo: su questa linea di continuità vengono a collocarsi il secondo tratto obliquo dell'α e del λ, il tratto obliquo del ν, che si slancia quindi con l'ultimo tratto sopra il rigo, i due tratti mediani del μ fusi insieme e appena leggermente incurvati: a raggiungere questa linea si spostano verso l'alto le traversali dell'η, ϑ, ε come pure l'o di solito piccolissimo, e l'ω.
Nonostante queste deformazioni delle lettere, questo tipo di scrittura è bello ed elegante (M. Norsa, Pap. Gr. Ital., tavole I-V). Nel secolo II a. C. a questo tipo inconfondibile di scrittura, subentra un altro: le lettere riprendono una forma che più si accosta alla forma normale epigrafica e la linea di continuità non è più ottenuta con i tratti spostati delle lettere che si susseguono, ma, un po' meno marcata è accennata invece da tratti congiuntivi estranei in realtà alla forma originale della lettera, ma con essa fusi e protesi verso la lettera seguente (Schubart, figg. 11-14; Norsa, tavole VI, VII). Nel sec. I a. C. e in parte del sec. I d. C. anche questa continuità, ottenuta per mezzo di tratti congiuntivi si spezza e rimangono degli apici, spesso uncinati, quasi riccioli ornamentali in cima alle aste verticali: le aste stesse s'incurvano verso il centro della lettera spingendosi con le punte quasi a toccare la lettera vicina (Norsa, tavole IX-X). Queste distinzioni vanno certo intese solo approssimativamente: non è possibile dividere con un taglio netto un tipo di scrittura dall'altro sia in ordine cronologico, sia per differenze regionali (che sono anche meno evidenti), perché le zone di trapasso sono ampie e lo svolgimento è graduale e lento. Si nota il prevalere d'uno stile, d'un determinato tipo, quando esso diviene d'uso generale, ma di quello stesso tipo, di quello stesso stile, gl'inizî risalgono molto più addietro, e gl'indizî sparsi si possono riscontrare così alcuni decennî prima che esso acquisti la prevalenza come pure perdurano, accanto a nuove forme di nuovo tipo, anche alcuni decennî dopo, quando già sta sorgendo uno stile nuovo.
Con la conquista romana (30 a. C.) i mutamenti profondi che investono la vita politica, economica e culturale hanno i loro riflessi anche nella scrittura che assume tipo diverso da quella tolemaica, sebbene con la scrittura tolemaica degli ultimi decennî abbia tanti tratti comuni da non poterne essere nettamente separata. Sin dai primi decennî dell'età romana si vanno delineando due tipi di scrittura: una di solito piccola, talvolta anzi minutissima, molto corsiva, con molte legature, difficile a decifrarsi nella serie di curve che fondono insieme tratti di lettere e legature, e si susseguono a tratti quasi identici. A questa scrittura si collegano gli esempi di scrittura minuta di papiri alessandrini descritti dallo Schubart (figg. 24, 25, 26, 29, 31).
L'altro tipo invece è a lettere più grandi e chiare che poco si allontanano dalla forma fondamentale; si direbbe una onciale irregolare con molti elementi corsiveggianti (Schubart, figg. 28, 30, 34; Norsa, tavole XII, XIV, n. 459). È da notare però che questi due tipi di scrittura hanno base comune e tra l'uno e l'altro sono infinite le gradazioni e le varietà, a seconda della tendenza personale dello scriba. Dalla scrittura corsiva minuta va talvolta differenziandosi un tipo di scrittura angolosa, a lettere lunghe e strette; altre volte, raramente però, occorre un tipo di scrittura artificiosa per il contrasto tra la grandezza esagerata di singole lettere e le proporzioni eccessivamente ridotte di certe altre, segnatamente dell'o, piccolissimo, anzi ridotto talvolta a un semplice punto, mentre assumono rilievo, con slancio straordinario, alcune legature o tratti di alcune lettere, lanciati bizzarramente in alto o in basso. Questa scrittura è detta di tipo demotizzante, appunto per gli svolazzi bizzarri che, visti all'ngrosso, assumono una lontana rassomiglianza con certi tratti e svolazzi della scrittura demotica; cfr. M. Norsa, Pap. Gr. Ital., tav. XIV (P. S. I., 37 e 1135, dell'età di Domiziano e Nerva), ed è dello stesso tipo, sebbene scrittura più tarda, anche Schubart, fig. 39. Diverso ancora è il tipo di scrittura in P. Flor., 92 (= Schubart, fig. 32) e non deve fare meraviglia: diverso dovrà apparire lo scritto, sia pure d'un modestissimo documento o di una lettera familiare, se esso sia steso da uno scriba pratico di forme letterarie o da uno scriba ufficiale della cancelleria alessandrina, da un impiegato di qualche ufficio statale della χώρα o d'una banca, da uno scrivanello di piazza che teneva il suo banco nei crocicchi e nelle vie, pronto a scrivere per gl'illetterati, o da qualche proprietario campagnolo, non dottissimo, ma tanto colto da poter scrivere da sé.
E in generale si nota che le scritture individuali sono peggiorate - poco chiare e confuse - soprattutto nell'età da Nerone a Domiziano, mentre c'è un notevole miglioramento nel sec. II nell'età di Adriano e degli Antonini.
Il tipo di scrittura dell'età romana si fissa più stabilmente nel secondo secolo. Perdurano, s'intende, le peculiarità individuali, ma in genere le forme hanno carattere costante. La forma del N col tratto medio quasi orizzontale, la legatura del ρ che incurva l'asta che scende sotto il rigo risalendo a raggiungere nuovamente il rigo per legarsi alla lettera seguente, il ϕ corsivo senza occhiello, fatto d'un solo tratto di penna ???, e ridotto talvolta a una semplice asta verticale, il sigma finale che si protrae a formare una curva in senso inverso a quella originaria ???, l'υ talvolta a due tratti profondi ???, spesso a forma di ??? confondibile con l'η. Divengono comuni nel sec. II i punti diacritici sull'ι e sull'υ iniziali. Buoni facsimili di questo periodo ci sono in tutte le collezioni (cfr. M. Norsa, tavole XVI-XVII). Anche in questa età non mancano le scritture in cui le varie lettere sono ridotte ad aste e curve quasi identiche, segnatamente nelle ricevute e nelle datazioni, dove nomi e titoli imperiali hanno chiara e leggibile solo la lettera iniziale; in tutto il resto di ciascuna parola mal si distingue una lettera dall'altra (Schubart, fig. 37; Norsa, tav. XV, n. 1110). Le scritture del secondo secolo sono quelle finora più largamente rappresentate, perché la grande massa dei papiri dell'età romana è appunto del periodo degli Antonini, e ci sono papiri, non solo delle varie regioni d'Egitto, compreso il Delta, che ha dato i papiri carbonizzati di Mendes (Norsa, tavole XVI, n. 101; XVII, n. 104), ma non mancano documenti scritti fuori d'Egitto, come i registri fondiarî della Marmarica (P. Vat., 11); e si potrà presto fare il confronto con le scritture della Mesopotamia, quando saranno pubblicati tutti i documenti su papiro e pergamena dell'archivio di Dura-Europo recentemente scoperto. Dalla scrittura documentaria bisogna distinguere la cancelleresca di cui abbiamo troppo pochi esemplari per poter tentare un quadro sintetico dello svolgimento. E anche una qualsiasi valutazione, che oggi volesse precisare troppi particolari, correrebbe rischio d'essere smentita da ritrovamenti di domani. È ovvio che gli scribi ufficiali della cancelleria alessandrina avessero un tipo di scrittura distinto, uno stile particolare. Alcune lettere dell'archivio di Zenon dettate da Apollonios διοικητής a scribi ufficiali come ad esempio P. S. I. 514 ci offrono esemplari di scrittura cancelleresca, sebbene non siano solenni documenti ufficiali. Proviene senza dubbio dalla cancelleria alessandrina l'ordine di Subaziano Aquila del 209 (Schubart, Pap. Gr. Berol., 35) e forse anche la lettera ufficiale dell'ἀρχιδικαστής Claudius Philoxenos (B. G. U., 72; Schubart, fig. 35). Ed è naturale che abbiano cercato di modellarsi sullo stile alessandrino anche gli scribi ufficiali delle cancellerie degli strateghi dei varî nomi, dell'epistratego, almeno per le copie di decreti e ordinanze imperiali o prefettizie, di cui era imposta l'affissione. Così è un bell'esempio di scrittura cancelleresca il decreto di Petronio Mamertino P. S. I., 446 anche se si vuole ammettere che la copia a noi pervenuta non sia stata scritta in Alessandria, ma nella cancelleria dello stratego del nomo; come pure l'ordinanza di Subaziano Aquila agli strateghi (P. S. I., 1148), dell'anno 210 che proviene dalla cancelleria di uno degli strateghi dell'Arsinoite. Si nota in queste scritture cancelleresche del sec. II che il tratto mediano dell'ε, η, ϑ è spostato verso l'alto in modo da legarsi in linea di continuità con i tratti orizzontali del γ, π, τ, e persino del σ, che piega ad angolo la parte superiore della curva estendendola in direzione orizzontale per legarsi alla lettera seguente.
Nel sec. III la scrittura della Costituzione di Caracalla, P. Giss., 40, (Schubart, fig. 47) ritiene molto dello stile cancelleresco. Caratteristica la forma del δ, dell'ε, del κ e del β, l'altezza della trasversale dell'η, ecc. E del resto nel sec. III non poche scritture documentarie assumono atteggiamenti simili a quelli di queste scritture cancelleresche: non sono poche le lettere del carteggio di Eronimo che presentano appunto questo stile, indizio che quel dato tipo di scrittura cancelleresca era ormai diffuso anche fuori degli ambienti ufficiali, mentre nella grande massa di documenti e lettere di quest'età perdura il tipo di scrittura documentaria più corsiva, non molto diversa da quella del sec. II, ma frammista a qualche elemento di tipo cancelleresco. Molto corsivo è il tipo di scrittura dei libelli della persecuzione cristiana di Decio (Schubart, Pap. Gr. Berol., 37; M. Norsa, Pap. Gr. Ital., tav. XIX; P. S. I., 453) di cui sono noti ormai oltre 40.
Le scritture dell'età di Diocleziano ritengono anch'esse molto dell'influenza della scrittura cancelleresca, quantunque irregolari e talvolta sforzate. Nel sec. IV i profondi rivolgimenti per cui ogni forma del vivere civile si trova mutata, hanno i loro riflessi anche nella lingua e nella scrittura: all'ampollosità delle formule, povere di contenuto, risponde in genere anche il carattere della scrittura, a lettere grandi con svolazzi e legature pompose. Nella scrittura bizantina si riconoscono certe caratteristiche che rivelano la derivazione dalla cancelleresca: il P. Fior., 75 dell'anno 380 d. C. come pure Schubart, figg. 56 e 57, ne sono esempî evidenti. Ma oltre a questa caratteristica, specialmente nelle scritture bizantine più evolute, si nota una certa adattabilità delle varie lettere a mutare la propria forma, trascinate dallo slancio delle legature, che le portano a piegarsi verso l'alto o verso il basso, secondo il punto della lettera seguente a cui si attaccano: il ductus insomma muta spesso secondo la legatura. Del sec. V fino a pochi anni fa s'erano trovati solo pochissimi papiri; oggi abbiamo buoni esemplari anche di quell'età, ma sono ancora rare le riproduzioni fototipiche. Nel sec. VI è comune in Egitto quel tipo di scrittura a lettere molto allungate che offre anche il papiro di Costantinopoli; P. Cair. II, 67126 (= Schubart, fig. 59, cfr. 62).
Quanto alla scrittura letteraria, essa conserva, in genere, le forme epigrafiche senza legature, spesso anche senza spiriti e senza accenti. Non sono rari però i papiri, specialmente omerici, in cui spiriti e accenti abbondano. L'evoluzione è lenta e quasi impercettibile, la scrittura è stilizzata, conservatrice, stazionaria. Sono assai meno evidenti che nella documentaria le peculiarità individuali degli scribi. È naturale poi che sia più facilmente databile la scrittura documentaria che non la letteraria, perché le nostre cognizioni sono molto più sicure, potendo noi disporre di decine di migliaia di documenti datati con sicurezza e precisione assoluta, ma solo di rarissimi testi letterarî databili appena con sufficiente approssimazione. Generalmente sono assegnati a un'età piuttosto che a un'altra, secondo l'impressione dell'editore. Non è quindi da fare le meraviglie che papiri letterarî, anche molto estesi, siano stati attribuiti a età distanti di più secoli. Quali termini di confronto, possono valere quei pochi papiri letterarî che offrono per puro caso qualche data, come la data del 215 segnata nel rotolo di Favorino, la data del VI anno di Nerone nel frammento comico menandreo (P.S.I., 1176), ovvero l'anno 160 a. C. che si ricava dal verso del Crisippo di Parigi, e altri casi simili per cui le scritture hanno in sé almeno un termine sicuro o ante o post quem.
Storia. - Tra i papiri letterarî storici, oltre a un ritrovamento di primissimo ordine, quale l''Αϑηναίων πολιτεία di Aristotele, l'Egitto ci ha restituito altri testi d'alto valore: il lungo frammento dello storico continuatore di Tucidide (Hellenika Oxyrhynchia), le perioche di Tito Livio (P. Oxy., 668) e molti testi purtroppo brevi e spesso mal ridotti, ma di non lieve importanza, quale il frammento di Sosylos edito dal Wilcken, il frammento del Περὶ Σικελίας di Filisto, edito da G. Coppola, e i molti altri che P. Jouguet mette giustamente in evidenza nei Münchener Beiträge, XIX, pp. 62-101. E grande contributo storico ci viene dai documenti, che ci mettono in contatto diretto con le età trascorse, e appunto perché testimonianze inconsce, non elaborate e foggiate secondo la mente d'uno scrittore, ci servono di controllo alle fonti letterarie: contributo preziosissimo, ma saltuario, staccato, frammentario, perché ogni singolo documento riguarda solo fatti e circostanze particolari. Ma questi dati sparsi e senza nesso, integrati da quanto si ricava dalle fonti letterarie, sono base solida di ogni ricostruzione. La fortuna veramente non è stata molto generosa di documenti storici riferiti alle relazioni dell'Egitto con altri paesi; si discute sul papiro di Gurob (P. Petrie, 44, 145) della guerra di Siria, ma molti altri testi estesi ci illuminano sulla storia interna del paese, e gli ordinamenti statali, economici, amministrativi: ordinanze di Tolomeo Filadelfo, d'Evergete I, di Evergete II, il Gnomon dell'Idios logos, il papiro della bulè degli Alessandrini del tempo di Ottaviano Cesare, la lettera dell'imperatore Claudio agli Alessandrini, il papiro della Costituzione di Caracalla, i papiri di Aphroditō dell'età bizantina, e, sotto un certo aspetto, anche i frammenti dei cosiddetti atti dei martiri alessandrini. Altre volte da un tritume di dati sparsi nei più disparati documenti, e non facili a lasciarsi ordinare, c'è da trarre correzioni o conferme o vere ricostruzioni cronologiche, come per l'equazione tra il calendario macedone e l'egiziano, e per tutta la cronologia dei Tolomei, per le varie ere ormai note, i viaggi in Egitto di imperatori o di prefetti, a cui nei documenti per caso si allude. E per pochi paesi come per l'Egitto greco-romano si può seguire la serie quasi ininterrotta dei funzionarî che per varî secoli si sono succeduti nella stessa carica: i prefetti d'Egitto, gli strateghi, gli epistrateghi, le unità dell'esercito romano in Egitto, ecc.
Tutte queste notizie interessano a un tempo anche la storia amministrativa, economica, giuridica; e non è sempre facile dire dove stia il limite tra l'una e l'altra. Quanto alla storia del diritto, v. egitto, XIII, p. 584 segg., e P. Collinet, La papyrologie et l'histoire du droit, in Münchener Beiträge, XIX, pp. 186-282. Il massimo contributo dei documenti è venuto alla storia amministrativa; e U. Wilcken, sino dagl'inizî del nuovo periodo di studî papirologici, ha saputo dare con i suoi due volumi di Griechische Ostraka (1899) un mirabile modello di ricostruzione storica del formidabile sistema fiscale dell'Egitto greco-romano.
Storia del cristianesimo. - La storia del cristianesimo ha avuto dai papiri notevolissimo contributo. Anzitutto la conoscenza della lingua greca, che balza viva da decine di migliaia di documenti, ha reso possibile un miglior intendimento dei testi sacri, che quella stessa lingua riflettono: grammatica e vocabolario del greco biblico sono grandemente arricchiti e hanno acquistato chiarezza e precisione dove un tempo era confusione e dubbio. Quanto ai ritrovamenti di letteratura cristiana, i papiri hanno offerto parecchi frammenti dell'Antico e del Nuovo Testamento più antichi dei più antichi codici finora noti, e frammenti nuovi di una ricca letteratura di testi apocrifi, gnostici, liturgici, patristici. Basti ricordare i Logia Iesu (P. Oxy., 1 e 654) il frammento di un Inno liturgico del sec. III con note musicali (P. Oxy., 1786), il Calendario ecclesiastico dal 21 ottobre 535 al 22 marzo 536 (P. Oxy., 1357); frammenti del Pastore di Erma. Non hanno invece valore storico i pochi frammenti degli Atti dei Martiri, perché troppo letterarî e foggiati tutti sullo stesso stampo; ma importanti sono i Libelli della persecuzione di Decio, che hanno portato luce su certe affermazioni del De lapsis di Cipriano; e le molte lettere cristiane da cui emergono talvolta particolari di molto interesse, come ad es. P. S. I., 1041. Da documenti di vario genere risultano poi notizie che ci illuminano sulla diffusione del cristianesimo in Egitto, sul monachismo egiziano e sullo scisma meleziano.
Magia. - È naturale che non solo per la storia del cristianesimo, ma in genere per la storia delle religioni sieno venute dall'Egitto nuove affermazioni. Basti ricordare l'Inno a Iside (P. Oxy., 1380), il papiro criptografico edito dal Hunt (A greek cryptogram, Oxford 1929), le notizie dei papiri del Serapeo, e il grande contributo portato alla storia del sincretismo religioso dai testi magici. Sono testi per la massima parte dei secoli III-V, età in cui la magia aveva avuto grandissima diffusione. Le operazioni e le formule magiche non erano più monopolio di una cerchia ristretta d'iniziati, che trasmettevano di padre in figlio il segreto della loro arte, erano diventate patrimonio comune; chiunque poteva comprare libri di istruzioni e formule e praticare per conto proprio la magia, senza rivolgersi a un mago di professione. La magia diventa popolare appunto perché i testi segreti, tradotti in greco - la lingua di cultura più diffusa - erano a tutti accessibili. Si rinvennero infatti veri e proprî trattati enciclopedici di magia, raccolte di formule, oracoli, amuleti, defixiones, frammenti di ogni genere di mantica, palmomanzia, oniromanzia, e persino idromanzia. Cfr. S. Eitrem, Die Maaschen Papyri, in Münchener Beiträge, pp. 243-63.
Ediz. delle principali collezioni di papiri, con le sigle comunemente usate:
B. G. U. = Ägiptische Urkunden aus den Museen zu Berlin, I-VIII, Berlino 1893-1933.
B. K. T. = Berliner Klassikertexte, I-VI, 1904-1910.
C. P. R. = C. Wessely, Corpus Papyrorum Raineri, Vienna 1895.
P. Eleph. = O. Rubensohn, Elephantine Papyri, Berlino 1907.
P. Fay. = B. P. Grenfell, A. S. Hunt, D. G. Hogarth, Fayûm Towns and their papyri, Londra 1900.
P. Flor. = Papiri Fiorentini, I, Milano 1906 (G. Vitelli), II, ivi 1910 (D. Comparetti), III, ivi 1915 (G. Vitelli).
P. Gen. = J. Nicole, Les papyrus de Genève, Ginevra 1896-1906.
P. Hamb. = P. M. Meyer, Griechische Papyrusurkunden der Hamburger Stadtbibliothek, Lipsia 1911-13.
P. Hib. = B. P. Grenfell e A. S. Hunt, The Hibeh Papyri, Londra 1906.
P. Iand. = K. Kalbfleisch, Papyri Iandanae, I-VII, Lipsia 1913-1934.
P. Lille = P. Jouguet, Papyrus Grecs (Univ. di Lilla), Parigi 1907-1908.
P. Lips. = L. Mitteis, Griechische Urkunden der Papyrussammlung zu Leipzig, Lipsia 1906.
P. Lond. = Greek Papyri in the British Museum, I-V, 1893-1917, I-III, ed. F. G. Kenyon, III-V, ed. H. J. Bell.
P. Masp. = J. Maspero, Papyrus Grecs d'époque byzantine (Catalogue général des antiquités égyptiennes du Musée du Caire), I-III, Cairo 1911-1916.
P. Mey. = P. M. Meyer, Griechische Texte aus Ägypten, Berlino 1916.
P. Mil. = A. Calderini, Papiri Milanesi, Milano 1928.
Mitt. P. R. = Mitteilungen aus der Sammlung der Papyrus Erzh. Rainer, Vienna 1887-1897.
P. Mon. = A. Heisemberg, L. Wenger, Byzantinische Papyri in der Hof- und Staatsbibliothek zu München, Lipsia e Berlino 1914.
P. Oxy. = B. P. Grenfell, A. S. Hunt, The Oxyrhynchos Papyri, I-XVII, Oxford 1898-1927.
P. Petr. = Mahaffy, The Flinders-Petrie Papyri, I-III, 1891-1905.
P. Ryl. = J. de M. Johnston, V. Martin e A.S. Hunt, Catalogue of the Greek Papyri, in the John Rylands Library, I-II, Manchester 1911-1915.
P. Ross.-Georg. = Papyri Russischer und Georgischer Sammlungen, ed. G. Zereteli, Tiflis 1925 segg.
Sammelb. = F. Preisigke, Sammelbuch Griechischer Urkunden aus Ägypten, I-II, 1915-1922.
P. S. I. = Pubblicazioni della Società Italiana. Papiri Greci e Latini, I-X, Firenze 1911-32, editi sotto la direzione di G. Vitelli.
P. Strassb. = F. Preisigke, Griechische Papyri zu Strassburg, I-II, 1906-1920.
P. Tebt. = The Tebtunis Papyri, I-III, Oxford 1902-1933 (B. P. Grenfell, A. S. Hunt, Smyly, E. J. Goodspeed).
P. Tebt.-Michigan = Michigan Papyri: II, Papyri from Tebtunis, I, A. E. R. Boak, Ann Arbor (Mich.) 1933.
P. Zen. = C. C. Edgar, Zenon Papyri, I-II (Catalogue général des Antiq.), Cairo 1925-31.
U. P. Z. = Urkunden der Ptolemäerzeit, ed. U. Wilcken, Berlino e Lipsia 1927 segg.
Bibl.: Manuale di papirologia ancor oggi opera fondamentale (documenti pubblici e privati): U. Wilcken e L. Mitteis, Grundzüge und Chrestomathie der Papyruskunde, I-II, Lipsia 1912. Ottimo avviamento anche per i papiri letterarî: W. Schubart, Einführung in die Papyruskunde, Berlino 1918. - Repertorio di notizie e dati bibliografici sulle scoperte e gli studî papirologici nei varî paesi: K. Preisendanz, Papyruskunde und Papyrusforschung, Lipsia 1933. Per la lingua: F. Preisigke, Wörterbuch der griechischen Papyrusurkunden, Berlino 1925; E. Mayser, Grammatik der griechischen Papyri aus der Ptolemäerzeit, Berlino e Lipsia 1906-1934; W. Crönert, Memoria Graeca Herculanensis, Lipsia 1903. - Bollettini papirologici generali: P. Viereck, Bericht über die ältere Papyruslitteratur, in Bursians Jahresberichte, 1898, 1899, 1906, e in Byzantinische Zeitschrift, passim; C. Häberlin, Griechische Papyri, e M. Ihm, Lateinische Papyri, in Centralblatt für Bibliothekswesen, 1897, 1899; Seymour de Ricci, Bulletin Papyrologique, in Revue des Études Grecques; U. Wilcken, in Archiv. für Papyrusforschung, 1903 segg.; H. Idris Bell, H. J. M. Milne e altri, in Journal of Egyptian Archaeology; A. Calderini, in Aegyptus e in Studi della scuola papirologica di Milano; M. Hombert, in Byzantion, ecc.
Per la paleografia dei papiri: F. G. Kenyon, The palaeography of Greek papyri, Oxford 1898; E. M. Thompson, An Introduction to Greek and Latin Palaeography, Oxford 1912; W. Schubart, Griech. Paläographie, Monaco 1925; Raccolte di facsimili: U. Wilcken, Tafeln für die ältere griech. Paläographie, Lipsia 1891; C. Wessely, Papyrorum scripturae graecae specimina isagogica, Lipsia 1910; id., Die ältesten griechischen u. lateinischen Papyri Wiens (Studien zur Palaeographie u. Papyruskunde, XV); W. Schubart, Papyri graecae berolinenses, 1911; M. Norsa, Papiri greci delle collezioni italiane, I, Roma 1928; II, 1933.
Opere principali, che esaminano i dati dei papiri riferiti alla storia amministrativa dell'Egitto ellenistico-romano: W. Otto, Priester u. Tempel im hellenistischen Aegypten, Lipsia 1905-1908; P. Jouguet, La vie municipale dans l'Égypte romaine, Parigi 1911; M. Rostowzew, Studien zur Gesch. d. römischen Kolonates, Lipsia 1910; id., A large estate in Egypt in the third century, Madison 1922; Fr. Örtel, Die Liturgie, Lipsia 1917; G. Rouillard, L'administration civile de l'Égypte byzantine, Parigi 1928; J. Lesquier, L'armée romaine d'Égypte, Cairo 1918. Altre opere, edizioni di testi, e contributi importanti su singoli punti sono citati a loro luogo nell'articolo.
Papirologia orientale.
Il numero dei papiri scritti in lingua greca, e soprattutto l'importanza che essi assumono per la conoscenza della civiltà classica, così intimamente connessa alla nostra, assegnano un posto modesto ad altri documenti dell'antichità scritti su papiro, che le condizioni climatiche particolari dell'Egitto hanno salvati dalla distruzione. Pure anch'essi hanno un valore non trascurabile, talvolta anzi grandissimo, e il loro studio offre un interesse e presenta problemi analoghi a quelli della papirologia classica. Si tratta anzitutto dei papiri redatti nella scrittura e nella lingua stessa del paese, l'egiziano, i quali anzi, com'è ovvio, costituiscono la parte più antica e più ampia del materiale papiraceo. Gran parte della letteratura egiziana, in quanto non offriva il destro, per l'indole del suo contenuto, di essere consegnata su monumenti, è giunta a noi soltanto attraverso i papiri, in una forma particolare di scrittura corsiva (la cosiddetta ieratica), più tardi in scrittura demotica, con la quale si scende fino all'età romana. E, accanto a documenti letterarî, i papiri hanno conservato in gran copia documenti di carattere giuridico, quali contratti, testamenti, registri di spese ecc. Su tutto ciò v. egitto, XIII, p. 559 segg.
Trasformatasi, col tramontare della civiltà nazionale e col sorgere del cristianesimo, la scrittura indigena in quella copta, abbondanti sono i papiri che ne fanno uso: poco apprezzati e studiati fino a non molti anni addietro (uno dei primi a occuparsene seriamente fu un Italiano, il Ciasca, v. Bibl.), i papiri copti sono oggi oggetto di attente ricerche, sia che tramandino testi letterarî o liturgici, sia che contengano atti giuridici, di grande interesse per lo studio dei contatti e delle contaminazioni tra diritto egiziano e diritto copto (v. copti). Inoltre un caso fortunato ha recentissimamente restituito, scritta su papiro e precisamente nella forma alquanto rara di codici e non di rotoli, la traduzione copta di scritti manichei, d'incalcolabile importanza per la conoscenza di quell'esteso movimento religioso (v. manicheismo).
La penetrazione della civiltà egiziana verso mezzogiorno, e al tempo stesso il formarsi di una civiltà nazionale in Nubia, ha dato inoltre occasione alla composizione di testi nubiani su papiro, i quali, insieme con le iscrizioni redatte nella stessa lingua, costituiscono l'intero patrimonio superstite di una piccola ma interessante letteratura (v. nubia).
La larga parte avuta in Egitto da elementi etnici stranieri ha avuto come conseguenza che alquanti dei papiri colà rinvenuti siano redatti in lingua diversa dall'egiziana. Tra essi il primo posto e tenuto da quelli in aramaico, per la maggior parte, ma non tutti, provenienti dalle colonie giudaiche stanziate in Egitto. Alcuni di questi papiri, i quali sono attestati per un periodo che va dal principio del sec. V al II a. C., hanno un'importanza di prim'ordine, oltre che per la storia linguistica dell'aramaico, anche per quella religiosa del giudaismo (v. elefantina). Accanto a testi storici e storico-religiosi sono presenti anche testi letterarî (romanzo di Ahiqar, v.) e giuridici, fondamentali per l'intelligenza dell'antico diritto ebraico e delle sue relazioni col diritto babilonese da un lato, con quello ebraico seriore (cosiddetto talmudico) dall'altro. Purtroppo il numero dei papiri aramaici è assai poco elevato (non è escluso tuttavia che qualche caso fortunato non ne restituisca altri in maggior copia), per quanto alcuni di essi siano singolarmente pregevoli per lunghezza e stato di conservazione. Scarsi e miseri frammenti (finora poco o punto studiati) si hanno anche di papiri pehlevici.
La fase più recente, e ultima, della scrittura su papiro è data dai documenti arabi. Non mancano naturalmente, subito dopo la conquista dell'Egitto da parte degli Arabi (640 d. C.), i papiri scritti in greco provenienti dal nuovo governo o comunque facenti menzione di esso (v. sopra); ben presto, tuttavia, si hanno papiri bilingui, greco-arabi, specialmente di carattere fiscale e, a partire dal 22 ègira (642-43 d. C.), papiri redatti interamente in arabo (naturalmente la data del più antico documento è puramente casuale, ed eventuali nuovi ritrovamenti potranno farla risalire più indietro). Di tali documenti alcuni hanno carattere pubblico (in genere si tratta di intimazioni dei governatori ai comarchi per il pagamento del testatico, gizya [v.] o istruzioni da loro impartite ai dipendenti), altri sono atti privati, contratti, lettere ecc. Pochissimo rappresentati, ma non del tutto assenti, benché estremamente frȧmmentarî, sono i testi letterarî, p. es. un lungo frammento di un'opera medica (Der Islam, III). L'importanza dei documenti papiracei arabi, oltre che per la conoscenza dell'amministrazione e dell'economia dell'Egitto a partire dal sec. VII, è anche notevolissima per la paleografia araba. Benché accanto al papiro si constati molto per tempo in Egitto (e lo stesso ci è noto dalla tradizione letteraria anche per il resto dell'Oriente islamico, pur mancandone la documentazione diretta) l'uso della carta (fin dalla fine del secolo II ègira, IX d. C.), il papiro continua a essere adoperato per parecchi secoli, fino almeno al VII ègira, XIV d. C. La più ampia collezione di papiri arabi è quella che fu dell'arciduca Ranieri, a Vienna; importantissima, e in continuo aumento, quella della Biblioteca egiziana del Cairo; inoltre quelle di Londra, Manchester, Berlino, Strasburgo, Heidelberg ecc.
Bibl.: Per i papiri egiziani e copti, v. egitto, XIII, p. 584; copti, XI, p. 339.
Per i papiri aramaici: Ch. Clermont-Ganneau, Origine perse des monuments araméens d'Egypte, in Revue Archéol., 1878, p. 93-108, 1879, p. 21-39; A. Cowley, Aramaic Papyri of the fifth Century B. C., Oxford 1923. - Per i papiri arabi: Führer durch die Ausstell. der Papyri des Erzh. Rainer, Vienna 1894 (la parte araba a cura di J. Karabacek); Mitteilungen aus der Sammlung des Erzh. Rainer (contributi di varî anni); C. H. Becker, Papyri Schott-Reinhardt, I, Heidelberg 1906 (Veröffentl. aus der Heidelberg Papyrus-Sammlung, III); id., Neue arabische Papyrus des Aphroditofundes, in Der Islam, II, 1911, p. 245 segg.; A. Grohmann, Corpus Papyrorum Raineri, Serie III Arabica, I e II, Vienna 1923-24; id., Aperåu de papyrologie arabe, Cairo, 1932; id., Probleme der arab. Papyrusforschung, in Archiv Orientální, III, V, VI (1931-33); id., Arabic Papyri in the Egyptian Library, I, Cairo 1934; id., Arabische Papyri aus den Staatlichen Museen zu Berlin, I, in Der Islam, XXII (1934), p. 1 segg.; D. S. Margoliouth, Catalogue of Arabic Papyri in the John Rylands Library at Manchester, Manchester 1933; id. e E. J. Holmyard, Arabic documents from the Monneret Collection, in Islamica, IV (1930), p. 249 segg.