par condicio
<-dìčo> locuz. sost. f. lat. – Termine che letteralmente significa «pari condizione» e che indica, nella prospettazione giuridica, l’obbligo dell’amministrazione di non consentire trattamenti differenziati di posizioni identiche degli amministrati. In realtà il termine è stato utilizzato più volte anche dal legislatore ma per consacrare lo stesso principio. L’argomento ha poi interessato gli studiosi di giustizia amministrativa per individuare la figura sintomatica dell’eccesso di potere e si è avuto cura di specificare che disparità di trattamento idonea a inficiare un provvedimento amministrativo non è tanto quella con la quale non si attribuiscono gli stessi vantaggi, bensì quella in cui uno svantaggio viene a gravare solo su un soggetto e non viene equamente distribuito tra amministrati nella stessa identica situazione. L’obbligo di parità di trattamento, o meglio di divieto di disparità di trattamento, costituisce poi un connotato essenziale nei confronti concorrenziali allorquando la pubblica amministrazione deve individuare l’offerta migliore in sede di aggiudicazione di una gara per la realizzazione di un’opera, ovvero per l’assegnazione di un servizio, ovvero infine per la fornitura di un bene. In questa prospettiva la p. c. ha avuto opportune puntualizzazioni in tutte le fasi procedimentali, in primo luogo nell’individuazione dei requisiti di partecipazione, sottolineando che non è possibile che si richiedano requisiti che consapevolmente possono avere solo alcuni soggetti a danno di coloro che quei requisiti non posseggono. Inoltre, il principio della p. c. è di particolare rilevanza nella valutazione delle offerte, ove è ovviamente obbligatorio utilizzare lo stesso metro di giudizio per tutti i partecipanti.