Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’opera del medico svizzero Paracelso fonde aspirazioni di rinnovamento religioso e sociale con un progetto di riforma della medicina basata sull’indagine diretta della natura e sulla chimica. Critico delle teorie e pratiche mediche tradizionali, Paracelso individua tre sostanze quali costituenti ultimi dei corpi e causa delle malattie: il sale, lo zolfo e il mercurio.
La vita e l’opera di Paracelso si collocano all’interno delle turbolente vicende della Riforma e della guerra dei contadini in Germania. Nato a Einsiedeln, nel cuore della Svizzera centrale, all’età di 11-13 anni studia presso l’abbazia benedettina di St Paul im Lavanttal, probabilmente sotto la guida dell’abate Giovanni Tritemio, umanista e studioso di scienze occulte. Studia in varie università (inclusa Ferrara), ma non sembra che abbia mai conseguito alcun titolo. Intraprende viaggi in molti Paesi, durante i quali acquisisce conoscenze pratiche in fatto di medicina, chimica e farmacologia. Svolge la funzione di chirurgo militare e nel 1524 è a Salisburgo, dove pratica medicina per un anno. Simpatizza con i contadini tedeschi in rivolta contro i principi e aderisce alle idee più radicali della Riforma, in particolare alle concezioni degli anabattisti. Da Salisburgo passa a Strasburgo, dove si lega al riformatore Giovanni Ecolampadio (1482-1531), che lo aiuta si trasferirsi a Basilea. Qui cura con successo l’editore Johann Froben e ha tra i suoi pazienti Erasmo da Rotterdam. Grazie alla fama conseguita, riceve il duplice incarico di medico municipale e docente all’università. Paracelso manifesta pubblicamente la propria avversione per la medicina tradizionale: fa lezione in tedesco, anziché in latino (la lingua usata nelle università), dichiara di insegnare le proprie dottrine e non quelle di Ippocrate e Galeno (su cui si basava il curriculum) e dà alle fiamme uno dei libri di testo più diffusi, il Canone di Avicenna. L’opposizione dei medici e dell’università lo costringono ad abbandonare la città. Ha quindi inizio un nuovo periodo di peregrinazioni. Nel 1529 si stabilisce a Norimberga, città in cui confluiscono mercanti artigiani, con una fiorente industria tipografica, nonché uno dei maggiori centri culturali e scientifici dell’Europa del Rinascimento. Qui, Paracelso pubblica opere di medicina, religione e scritti di carattere profetico. Non perde occasione per scagliarsi contro gli esponenti della medicina ufficiale, accusati di tradire la vera missione del medico al fine di ottenere sempre maggiori guadagni. Tra i suoi principali interessi in questi anni vi è la cura della sifilide, che comincia a essere trattata con la corteccia di guaiaco, un rimedio considerato miracoloso, il cui commercio è monopolizzato dalla potente famiglia tedesca dei Fugger. L’uso del legno santo, come veniva chiamato il guaiaco, è respinto da Paracelso, che riconosce ad esso un solo miracolo, quello dei crescenti profitti che procurava ai Fugger. Costretto ad abbandonare Norimberga, inizia una nuova serie di viaggi, svolge attività medica tra i contadini svizzeri, studia le malattie dei minatori e le acque minerali. Nel 1538 torna in Carinzia, per poi trasferirsi di nuovo a Salisburgo, dove muore nel 1541. Immediatamente dopo la sua morte, la sua figura e le sue teorie (espresse con una terminologia estranea alla medicina ufficiale e spesso oscura) divengono oggetto di controversie: da alcuni accusato di pratiche magiche illecite, da altri un ignorante iconoclasta, da alcuni seguito come maestro e iniziatore di una nuova medicina.
Paracelso
Sull’alchimia
Paragrano
Pensiamo ora al terzo fondamento su cui riposa la medicina: questo è l’alchimia. Se il medico non è particolarmente e sommamente attento e competente su questo punto, tutta la sua arte è inutile. Giacché la natura è così sottile e sagace nelle sue cose che non vuol essere adoperata senza una grande arte; essa infatti non porta nulla alla luce che sia già di per se stesso compiuto, è l’uomo invece che deve portarlo a perfezione. Questo perfezionamento si chiama alchimia. Poiché l’alchimista è in ciò simile al fornaio che cuoce il pane, al vignaiuolo che fa il vino, al tessitore che fa il panno. Colui dunque che realizza in tutto quanto cresce nella natura a beneficio dell’uomo, la destinazione voluta della natura, è un alchimista. Sappi che in questa arte è implicita la stessa differenza che c’è nel caso che uno si prenda una pelle di pecora e se la metta addosso, a guisa di pelliccia o di vestito, allo stato grezzo: quanto rudimentale e maldestro è tutto ciò in confronto con la qualità del pellicciaio e del tessitore, così rudimentale e maldestro è che uno abbia qualcosa dalla natura senza avere dato a questa cosa nessuna preparazione, ciò è ancora più rudimentale e maldestro; poiché è in questione la salute, il corpo e la vita. Perciò tanta maggior diligenza dovrà essere applicata ed usata. Le arti tutte hanno esplorato la natura e rilevato la sua peculiarità allo scopo di saper seguire la natura in tutte le cose e di estrarre quel che in essa v’è di sommo. Soltanto nella medicina invece, dove ciò sarebbe quanto mai necessario, questo non è avvenuto; sotto questo aspetto essa è la più rozza e inabile di tutte le arti.
Paracelso, Paragrano, a cura di F. Masini, Roma-Bari, Laterza, 1973
Charles Webster
Magia e scienza da Paracelso a Newton
Solo poche volte nei suoi scritti, Paracelso si dimenticò di riferire le questioni di cui trattava al tema dell’origine e fine di tutte le cose. Le sue idee sulla vita e sulla materia si basavano sull’interpretazione che egli dava dei primi versi del libro della Genesi. Paracelso si espresse più volte, e in modi diversi, sul tema dell’escatologia… Egli insistette talvolta sulla possibilità di un ritorno imminente di Cristo. In particolare, la frequente apparizione di comete e la crescente instabilità dei tempi sembravano puntare in tale direzione. Il mondo sembrava decadere rapidamente, sembrava aver raggiunto l’ultima fase della sua vita. La conclusione logica doveva essere perciò una catastrofe universale, l’inizio di un nuovo mondo dello spirito, dopo la distruzione del vecchio mondo materiale… Tuttavia Paracelso predicava contro quei disperati che predicevano la fine del mondo, ed ammoniva che non si poteva sapere quante generazioni sarebbero passate prima della fine… Quale erede legittimo di Dio, e nonostante la sua caduta, l’uomo era destinato a ricevere in dono il regno della terra. L’uomo sarebbe riuscito a raggiungere il suo fine e sarebbe divenuto perfetto, ripristinando così il paradiso in terra sconfiggendo per sempre il demonio.
C. Webster, Magia e scienza da Paracelso a Newton, Bologna, Il Mulino, 1984
Al sapere medico di carattere libresco, basato sulla lettura e sul commento dei classici della medicina greca e latina, Paracelso oppone una nuova concezione della medicina, fondata sull’osservazione della natura e del corpo umano, su competenze pratiche tramandate oralmente, sulla chimica. Il vero medico è colui che, abbandonando le dottrine degli antichi, percorre il mondo, perché – secondo Paracelso – ogni Paese e ogni popolo possiedono le proprie malattie specifiche e i propri rimedi specifici. Feroce critico dei privilegi dei medici, propugna una pratica medica ispirata ai principi del Vangelo: quella del medico – afferma Paracelso – è una missione che deve essere svolta al servizio dei deboli e bisognosi.
A fondamento del pensiero medico di Paracelso vi è l’idea che l’uomo sia un microcosmo, ovvero che vi sia una corrispondenza tra i fenomeni del mondo naturale e quelli che si verificano nel corpo umano. L’analogia tra il cosmo e il corpo umano ha una duplice valenza: se la fisiologia e gli stati patologici dell’uomo sono assimilati ai fenomeni naturali, allo stesso modo, l’intero universo è descritto come un essere vivente, nel quale si verificano digestioni, secrezioni, crescite, e le cui parti sono dotate di sensibilità, poteri attrattivi e repulsivi. L’universo paracelsiano è un tutto vivente nel quale sono presenti rapporti di corrispondenza tra le parti. Agli umori e alle facoltà della medicina galenica Paracelso contrappone una nuova concezione del corpo umano, attribuendo ad agenti incorporei (gli spiriti) le principali funzioni vitali. Gli spiriti sono presenti in tuti i corpi naturali e sono assorbiti dal corpo umano attraverso un processo analogo alla distillazione. La digestione e la respirazione sono reinterpretati come distillazione, fermentazione e sublimazione. La chimica, che tradizionalmente era considerata una disciplina eminentemente pratica e quindi di rango inferiore, per Paracelso e per i suoi seguaci, diviene il fondamento della medicina. I processi che il chimico o l’alchimista (per Paracelso i due termini si equivalgono) producono in laboratorio sono analoghi a quelli che avvengono in natura e nel corpo umano. Di conseguenza, la preparazione dei farmaci deve essere effettuata con procedimenti chimici, utilizzando minerali e metalli, sostanze estranee alla farmacologia galenica. Paracelso stabilisce un nuovo concetto di malattia: confuta la concezione tradizionale della malattia come squilibrio nel rapporto tra gli umori e sostiene che ogni malattia è prodotta da un agente patogeno specifico, da semi che dall’esterno penetrano nell’organismo e alterano i principi vitali, da lui chiamati archei. La malattia ha dunque una sede specifica e un’origine specifica. Se la malattia è causata da un indebolimento o alterazione del principio vitale in una certa parte del corpo, allora la terapia dovrà mirare a ripristinarne il funzionamento.
Per Paracelso tutti i corpi naturali sono formati da tre principi chimici – i principi spagirici – sale, zolfo e mercurio, sostanze che si ottengono dall’analisi chimica di tutti i corpi. I tre principi hanno in Paracelso uno status alquanto ambiguo: con essi infatti non sono designati il sale, lo zolfo e il mercurio comuni, ma le loro essenze, ovvero sostanze purissime, da cui dipendono tutte le proprietà sensibili dei corpi. I quattro elementi aristotelici (terra, acqua, aria, fuoco) non scompaiono del tutto nella chimica paracelsiana, ma a essi è attribuito un ruolo secondario: sono definiti le “matrici” nelle quali operano i principi per formare i corpi composti. La chimica per Paracelso è strettamente legata alle sue applicazioni medico-farmacologiche, mentre nessun interesse è rivolto alla trasmutazione dei metalli, che costituiva uno dei temi centrali dell’alchimia medievale.
Paracelso adotta e rielabora una ricca messe di concezioni magiche, per lo più di origine neoplatonica ed ermetica. Egli afferma che l’immaginazione è una virtù che consente di produrre effetti straordinari non solo nel proprio corpo, ma anche in altri individui e sui corpi naturali.
Uno dei temi centrali del pensiero di Paracelso, che sarà sviluppato dai suoi seguaci, è la dottrina delle segnature, per la quale ogni ente naturale è stato dotato dal creatore di una specifica forma visibile che non è mai casuale, ma è indizio degli usi cui è stato destinato. Secondo tale dottrina, che diviene parte integrante della farmacologia rinascimentale, la figura di una pianta rimanda al suo uso terapeutico, indicato dalla somiglianza che sussiste tra la pianta e le parti del corpo che essa ha il potere di curare.
In Paracelso si trovano numerose credenze proprie della cultura popolare, come per esempio quella relativa all’esistenza di esseri fantastici che abitano l’acqua (le ninfe), il fuoco (le salamandre), la terra (gli gnomi). Proprio gli gnomi, che vivono in cunicoli scavati nelle rocce, avrebbero il compito di custodire i metalli preziosi contenuti nelle viscere della terra, facendo sì che l’avidità degli uomini non comporti un loro rapido esaurimento. Pur rifiutando l’astrologia giudiziaria, Paracelso non nega l’esistenza di influssi astrali, o la possibilità di operare divinazioni, ma sottolinea il rischio che queste ultime possano essere condizionate dall’intervento di spiriti maligni. Paracelso crede nell’esistenza di streghe, di donne dotate di poteri straordinari, come quello di produrre tempeste e di provocare malattie. Tuttavia ritiene che le streghe debbano essere trattate con clemenza, come donne malate da curare, non da mandare al rogo.
Nell’opera di Paracelso tematiche di carattere medico sono strettamente legate a idee di carattere religioso. Sostenitore di una radicale riforma religiosa e sociale, egli accusa le correnti della Riforma di corruzione e di intolleranza. La condanna degli abusi del clero, delle gerarchie ecclesiastiche, dei culti esteriori, la riaffermazione dell’originaria purezza del cristianesimo primitivo, l’identificazione della vera Chiesa con la comunità spirituale dei credenti, accomunano Paracelso agli esponenti della cosiddetta Riforma radicale, quali Andreas Bodenstein von Karlstadt, Conrad Grebel (1498-1526 ca.) e gli anabattisti della Svizzera e della Germania meridionale.
Al principio di autorità, alla tradizione e alle speculazioni astratte dei teologi e dei filosofi, Paracelso contrappone l’esperienza personale, l’indagine diretta della natura e della propria coscienza. Ll’importanza accordata agli agenti spirituali incorporei in natura è strettamente connessa all’affermazione di una religiosità spirituale, interiore, contrapposta al carattere materiale ed esteriore dei riti e delle cerimonie ecclesiastiche. La vera religione è quella dello spirito; la venuta di Cristo ha posto la salvezza non nell’obbedienza alla legge (anche i comandamenti sono lettera morta), ma nell’interiorità della persona.
Per Paracelso la profezia, che costituisce la forma più alta di magia, si fonda sull’osservazione degli astri, sulle immagini magiche, sulle Scritture. Il piano della storia è inscritto nei cieli a beneficio dell’uomo e se si vogliono conoscere le prospettive dell’Europa cristiana, sconvolta da guerre e scismi, occorre far ricorso alla profezia. Nell’atmosfera apocalittica della Riforma l’astrologia riveste per Paracelso e i suoi seguaci un mezzo per interpretare e condizionare eventi politici e religiosi.
In campo politico e sociale Paracelso si fa propugnatore di ideali evangelici di povertà, fratellanza e carità, che lo portano a esprimere una ferma condanna dell’usura, ma anche della rendita e, più in generale, dell’accumulazione di denaro. Paracelso, infatti, si rivolge anche contro i grandi proprietari di terre, asserendo che le terre non devono essere proprietà privata, ma appartenere all’imperatore.