PROGRESSIVA, PARALISI o demenza paralitica (fr. paralysie générale; sp. paralisis general; ted. progressive Paralyse; ingl. general paralysis of insane)
Malattia a manifestazione neuro-psichica, di origine sifilitica, caratterizzata da progressivo indebolimento psichico globale e da un particolare gruppo di sintomi neurologici. Dopo che la sua fisionomia era stata intravista da psichiatri del sec. XVIII e del principio del XIX (V. Chiarugi, J. Esquirol), essa fu isolata in entità nosologica nel 1822 dal medico francese A.-L.-J. Bayle. Quanto all'etiologia, questa fu identificata per lungo tempo nei più svariati agenti patogeni; il nesso con la lue fu sostenuto in forma convincente da A. Fournier; e, malgrado alcune obiezioni anche relativamente recenti, oggi si può nettamente affermare che la sifilide è il fattore necessario perché si abbia la paralisi progressiva. Da Fournier in poi, per parecchio tempo, la malattia venne considerata metasifilitica o parasifilitica, cioè una conseguenza indiretta dell'infezione luetica: ma dal 1913 in poi, da quando cioè H. Noguchi scoprì la spirocheta nella corteccia cerebrale di dementi paralitici, la paralisi progressiva è considerata una forma morbosa direttamente sifilitica. Rimane da dimostrare perché solo un piccolo contingente (circa il 5%) dei luetici diventi demente paralitico e perché la malattia si sviluppi anche in luetici ben curati. P. Marie e C. Levaditi supposero l'esistenza di un virus speciale (sifilide a virus nervoso): ma queste vedute non hanno trovato molti consensi. La questione è tuttora insoluta; bisogna tener conto probabilmente di cause facilitanti (predisposizione morbosa, traumi, alcoolismo, strapazzi, ecc.). La causa efficiente e insostituibile è però l'infezione luetica.
La paralisi progressiva compare generalmente fra i 25 e i 45 anni. L'inizio è spesse volte subdolo, con disturbi neurasteniformi: astenia, poca resistenza al lavoro, qualche infedeltà nella memoria, facile irritabilità, depressione dell'umore, difficoltà passeggere del linguaggio. Talvolta il quadro clinico si apre invece improvvisamente con un ictus epilettiforme o apoplettiforme, con paresi fugaci degli arti. Nel periodo di stato la paralisi progressiva presenta sintomi essenziali e inessenziali o marginali.
I sintomi essenziali sono neurologici e psichici. Sintomi neurologici: I disturbi a carico dei riflessi iridei: le pupille sono spesso disuguali e a contorni irregolari; non reagiscono né alla luce né all'accomodazione (rigidità pupillare totale) oppure reagiscono all'accomodazione ma non alla luce (segno di Argyll-Robertson). La disartria, rilevabile sia nel linguaggio spontaneo sia nella ripetizione di parole di prova difficili e lunghe: le componenti vengono raddolcite e articolate debolmente, le lettere e legillabe sono scambiate, eliminate, trasposte, fino ad aversi, nei casi gravi, un vero abburattamento del linguaggio. La voce è monotona, nasale, le vocali vengono prolungate; la lingua, le labbra, le guance, le corde vocali sono animate da tremori che, presenti allo stato di riposo, si esagerano in modo rilevante durante il discorso; il malato è incosciente del disturbo ed è incapace di correggersi; il sintomo peggiora rapidamente con la stanchezza. L'astenia neuromuscolare e l'incoordinazione motoria: il paziente si stanca ben presto nell'eseguire qualunque movimento ed è incapace di compiere atti delicati e coordinati. La sindrome umorale: nel liquido cerebro-spinale si nota aumento dell'albumina, positività delle reazioni per le globuline, aumento del contenuto dei linfociti, positività, con curve caratteristiche, delle reazioni colloidali, positività delle reazioni per la sifilide. I sintomi psichici costituiscono il deficit paralitico, consistente in un indebolimento mentale globale, con riduzione in toto della personalità psichica del paziente. Questa riduzione si manifesta con debolezza dei poteri attentivi, infedeltà della memoria, incapacità di riferire completamente, e secondo l'esatto ordine cronologico, i proprî antecedenti, insufficienza dei poteri critici, difetti del comportamento, mancanza del senso di malattia, euforia o apatia. I sintomi inessenziali (nessuna combinazione di questi è sufficiente per la diagnosi di demenza paralitica tipica) sono i seguenti: sintomi somatici: crisi epilettiformi, apoplettiformi, vertiginose, paresi permanenti degli arti (non si osservano che negli ultimi periodi della malattia), fenomeni atassici, disfunzioni del sistema nervoso vegetativo, dell'apparato renale e degli organi ematopoietici, disturbi trofici, movimenti involontarî e automatici (masticazione, schioccar della lingua, ecc.). - Sintomi psichici: delirî di grandezza non sistematici, assurdi e stravaganti, che si accompagnano spesso a violenti stati di eccitamento psicomotorio: questi delirî, una volta molto frequenti, sono ora divenuti relativamente rari; stati depressivi e ipocondriaci, con idee deliranti simili a quelle che si osservano nella melanconia; esagerazione dell'emotività; allucinazioni, quasi sempre uditive; sindromi a carattere catatonico (negativismo, ecolalia, verbigerazioni, ecc.). La forma ora descritta è quella tipica: la demenza paralitica si può presentare anche sotto numerosi aspetti atipici. I principali sono: la forma di Lissauer con presenza di fenomeni clinici a focolaio, denotanti una particolare localizzazione del processo anatomo-patologico; la forma infanto-giovanile, rarissima, osservata nell'adolescenza e nella fanciullezza (alcuni casi all'età di nove anni) generalmente in soggetti eredo-luetici; la forma tardiva o senile; le varietà associate, la più frequente delle quali è la tabe-paralisi in cui si osservano, oltre al quadro clinico sopraddescritto, i sintomi della tabe, malattia anch'essa di origine sifilitica; la forma stazionaria a decorso lentissimo, descritta da A. Alzheimer. Sono finalmente da ricordarsi le sindromi pseudoparalitiche, non luetiche, legate all'alcoolismo cronico, al morfinismo, ecc.
Il substrato anatomo-patologico della paralisi progressiva è dato da una meningoencefalite, diffusa a tutto il cervello, ma prevalentemente grave a carico della corteccia dei lobi frontali. Il tessuto nervoso è leso primitivamente; questa è la differenza fondamentale che distingue la sifilide cerebrale (in cui la lesione primitiva è nei vasi o nelle meningi, e il tessuto nervoso è leso solo secondariamente) dalla paralisi progressiva. In questa le leptomeningi sono opache, ispessite e aderenti alla corteccia cerebrale; questa è notevolmente assottigliata, le cellule e le fibre nervose corticali sono scompigliate o scomparse, la nevroglia è proliferata, i vasi sono sede di processi di atrofia e sono circondati da manicotti di cellule linfocitarie.
Abbandonato a sé stesso, il demente paralitico peggiora fatalmente, sia dal punto di vista somatico sia da quello psichico: dalla fase umorale o preclinica, in cui solo gli esami del liquor dimostrano l'esistenza di un processo patologico, si passa alla fase iniziale, alla predemenziale, alla florida. Con decorso più o meno rapido si arriva alla fase cachettica, durante la quale il malato, ridotto in condizioni fisiche scadentissime, è facilmente vittima di malattie intercorrenti che hanno esito fatale.
Fino a poco fa questa era la prognosi che bisognava pronunziare in ogni caso di demenza paralitica: si è visto infatti che la chemioterapia antiluetica, per quanto energica, si dimostra di nessuna utilità pratica nella malattia in questione. Il merito di aver introdotto una terapia efficace della demenza paralitica spetta J. Wagner-Jauregg, di Vienna, il quale, applicando del resto concetti antichi (fin dai tempi d'Ippocrate si era notato come le affezioni febbrili fossero efficaci contro la pazzia), si domandò, in un lavoro pubblicato nel 1887, se il rapporto fra malattia febbrile e la guarigione o il miglioramento delle psicosi fosse un fatto solo accidentale. Dopo circa quarant'anni di esperimenti con varî agenti piretogeni, nel 1917 fu praticata nella clinica del Wagner a Vienna la prima malarizzazione. Da allora la malarioterapia della paralisi progressiva è stata applicata dovunque.
La tecnica è la seguente: si prelevano a un malarico (terzana primaverile) preferibilmente durante l'accesso febbrile, 4-5 cmc. di sangue e s'iniettano al paziente per via endovenosa. Dopo 8-10 accessi febbrili si tronca la febbre con la terapia chininica. Appena il malato si è rimesso dallo stato di astenia consecutiva alla febbre, si pratica una cura mista d'iniezioni endovenose di preparati arsenobenzolici e di frizioni mercuriali, a cui si fa seguire una terapia iodica.
L'esito di questa cura varia a seconda dello stadio della malattia, della sua forma clinica e di altri fattori, alcuni ancora imponderabili. Le statistiche sull'esito sono ancora molto diverse: si può in genere contare sul 50% di esiti favorevoli comprendendo in questi anche i miglioramenti modesti. È da tener presente che con la malarioterapia si mira non alla guarigione clinica, che non è raggiungibile perché i segni neurologici rimangono pressoché invariati, e anche i sintomi umorali, se migliorano, non scompaiono (il miglioramento si ha soprattutto dal punto di vista psichico), ma alla guarigione sociale, alla possibilità cioè di permettere al malato, che, diversamente sarebbe votato all'internamento e poi alla morte a breve scadenza, di vivere in mezzo ai suoi simili e anche di attendere, con qualche cautela, alla sua professione. Sul meccanismo con cui la terapia malarica influisce sulla demenza paralitica non si sa ancora molto di sicuro. La terapia febbrile praticata con altri mezzi piretogeni dà nel complesso, secondo le statistiche, risultati inferiori alla terapia malarica.
Bibl.: A. L. J. Bayle, Recherches sur l'arachnitis chronique, la gastrite, ... considérées comme causes de l'alién. mentale, Parigi 1882; A. Fournier, Leçons clin. sur la syphilis, ecc., ivi 1873; H. Nogouchi, in C. r. Soc. biol., LXV (1913), p. 349; J. Wagner-Jauregg, Verhütung und Behandlung der progres. Parlayse durch Impfmalaria, in Erg. Bakt. u. experim. Therap., Berlino XII (1931); M. Benvenuti, Sul meccanismo di azione della malarioterapia, Roma 1934.