Paranoia
La paranoia (dal greco παράνοια, "follia", composto di παρά, "oltre", e un tema affine a νοῦς, "mente") indica, secondo la sempre valida definizione che ne diede E. Kraepelin, una psicosi caratterizzata dallo sviluppo insidioso di un delirio cronico, sistematizzato, coerente, incrollabile, a lenta evoluzione, con integrità delle restanti funzioni psichiche.
Dopo decenni di discussioni e di studi, riguardanti essenzialmente la possibilità di inquadrare la paranoia come sottotipo della schizofrenia, o di ritenerla una malattia a sé, oppure di considerarla come tratto o stile che compare su uno spettro che va dal normale al patologico, la definizione attuale, cioè quella data nel DSM-IV (Diagnostic and statistical manual of mental disorders) dell'American psychiatric association (1994), torna a essere molto simile a quella formulata da E. Kraepelin (1915): "la caratteristica essenziale della paranoia è data dallo sviluppo insidioso di un sistema delirante, permanente e incrollabile, accompagnato dalla preservazione di un pensiero chiaro (cioè non confuso) e ordinato (cioè non dissociato). Le emozioni e il comportamento sono adeguati al sistema delirante. Spesso il soggetto si considera dotato di capacità uniche e superiori. Frequente è il delirio cronico di gelosia".
Il concetto di paranoia, la sua storia ed evoluzione hanno radici lontane. Descrizioni molto esatte si ritrovano in autori greci e romani, da Asclepiade di Prusa a Galeno, e, soprattutto, da Celio Aureliano ad Aulo Cornelio Celso, con spiegazioni eziologiche collegate, di volta in volta, ai concetti della medicina umorale, solidistica, atomistica, vitalistica. Nel 19° secolo, J.-E.-D. Esquirol fu tra i primi a studiare queste forme di alienazione, indicandole come 'monomania', finché il termine paranoia prese il significato psichiatrico attuale in Germania, dapprima con J.C. Heinroth e poi con K.L. Kahlbaum.
A J. Seglas (1909) si deve una definizione molto particolareggiata del termine e che appare sempre valida: "si designa con il nome di paranoia o follia sistematica uno stato psicopatico funzionale, caratterizzato da una deviazione particolare delle funzioni intellettive più elevate, non implicante né un decadimento profondo né un disordine generale, accompagnata quasi sempre da idee deliranti sistematizzate e permanenti. Questo delirio si presenta [...] come un'interpretazione particolare del mondo esterno nelle sue relazioni con la personalità del malato, il quale riferisce tutto a sé stesso". Nello stesso anno P. Sérieux e J. Capgras legano il loro nome alla forma più tipica del delirio, il delirio di interpretazione o folie raisonnante, che altro non è che la Verrücktheit di Kraepelin, vale a dire la paranoia. Il restringimento kraepeliniano del quadro della paranoia ha permesso di estendere quello della demenza precoce, che, divenuta con E. Bleuler la 'schizofrenia', viene a comprendere quasi tutte le psicosi croniche. La scuola francese si oppone a questa evoluzione nosografica e, sotto l'influenza di H. Claude e di H. Ey, i deliri cronici restano separati dalla demenza precoce e distinti in tre grandi sottogruppi: paranoidi, parafrenici, paranoici. La terza e la quarta edizione del Diagnostic and statistical manual of mental disorders (American psychiatric association 1980, 1994), introducendo la distinzione fra sindromi paranoidi e schizofrenia, come pure con il concetto di 'personalità paranoide', sembrano muoversi su questa stessa linea.
Per la descrizione dei deliri cronici sistematizzati, cioè delle psicosi paranoiche propriamente dette, è importante sottolineare che i sintomi del delirio (interpretazioni, illusioni, percezioni deliranti, attività allucinatorie, fabulazioni, intuizioni) sono tutti riconducibili a una patologia della 'convinzione', la quale realizza una polarizzazione di tutte le forze affettive nel senso di una costruzione delirante che subordina l'intera attività psichica ai propri fini. Sono deliri relativamente coerenti e plausibili, logici nella loro illogicità. Di qui la loro forza di convinzione e anche di contaminazione e di induzione, nei casi del cosiddetto delirio a due. Ogni ombra che pretenda di scalfire questi assoluti, utopici o immaginifici, è patita come persecutoria e negativa, alimentando così una spirale inarrestabile.
G. de Clérambault (1942) ha descritto i deliri passionali e di rivendicazione, caratterizzati dall'esaltazione, dall'idea prevalente centrata sulla convinzione irremovibile e da uno sviluppo per settore. I più noti fra questi deliri sono quelli costruiti su processi rivendicativi di proprietà e di diritti (querulomani), quelli costruiti su rivendicazioni di un merito (paranoie inventorie) - per es. sull'esclusiva proprietà e sulla priorità indiscutibile di un'invenzione - e quelli costruiti su una rivendicazione ideologica (politica, religiosa, di riforma e di giustizia). Comune a tutte queste forme è la costituzione di base paranoica (orgoglio, diffidenza, rigidità di giudizio, inflessibilità) sulla quale si sviluppa il delirio, o insidiosamente o in base a un vissuto scatenante (per es. un torto subito). Lo stesso nucleo di base è presente anche nelle paranoie 'passionali', sia di gelosia (delirio di infedeltà e di rivalità), sia di erotomania (illusione delirante di essere amato), sia di litigiosità, che pongono spesso un difficile problema diagnostico nei confronti delle passioni normali; così pure lo si ritrova nelle cosiddette megalomanie e nelle forme ipocondriache. Il sistema delirante si elaborerebbe sulla base di intuizioni e interpretazioni, senza allucinazioni; ma non sempre è possibile escludere una certa attività allucinatoria. Nella sistematizzazione delirante vi è sempre una rivendicazione pubblica della propria credenza, sovente animosa, ostile, capace di far scattare emergenze di esclusione. Il mondo esterno, rivissuto e ridefinito a misura personale, rappresenta una semplice amplificazione e risonanza del mondo interiore. Il soggetto vive le situazioni da protagonista, sia come dominatore sia come vittima.
Il delirio d'interpretazione indica l'ambito più discusso, nosologicamente parlando, della paranoia. Dominano in esso le interpretazioni, le percezioni deliranti, il significato emergente; i temi più frequenti sono quelli persecutori, ma anche megalomani, genealogici, di ruolo. Nelle persone che ne sono colpite si opera una vera e propria trasformazione delirante del mondo; quindi la struttura di questi deliri non è a settore ma a rete: c'è più un mosaico di idee deliranti che un'organizzazione coerente e serrata. Spesso, però, l'evoluzione è sistematica e procede per fasi: lavoro costruttivo del delirio, sua progressiva sistematizzazione e cristallizzazione. È qui che a volte si osservano quegli episodi a fiammata, che oggi si indicano come reazioni paranoidi.
Per la psicopatologia e la sistemazione nosologica della paranoia, importanza fondamentale va riconosciuta all'opera di K. Jaspers (1913), che con il suo studio sulla gelosia distinse: le idee deliranti psicologicamente comprensibili e derivabili (sviluppo psichico), che sono connesse ai fatti vissuti e al destino del soggetto, benché per la loro insorgenza sia necessaria una predisposizione costituzionale individuale; le idee incomprensibili e inderivabili (processo psichico), che sono un prodotto diretto del processo, emergono primariamente da esso, difettano di elaborazione intrapsichica. La concezione di Jaspers delle idee deliranti, anche se metodologicamente discutibile, per la vaghezza del concetto di comprensibilità, ha marcato profondamente lo studio del problema del delirio: non si tratta qui di intendere un sintomo organico, ma di indagare ciò che può nascondersi dietro il delirio, di stabilire i rapporti fra i moventi, di investigare la struttura del delirio stesso e le connessioni di tutte le forze che partecipano alla sua insorgenza.
La comparsa dei deliri paranoici in soggetti spesso predisposti li ha fatti considerare sia come segni di psicosi puramente endogene, sia come sviluppo della personalità preesistente, senza che si possa dire esservi una vera soluzione di continuo fra il carattere paranoico e il delirio. Certe esperienze deliranti primarie, certe crisi o 'momenti fecondi', cioè di attiva elaborazione psicotica, nella vita del soggetto possono più o meno bruscamente far cadere nella psicosi quella che fino ad allora non era che una personalità paranoica. Questa, ben descritta da G. Génil-Perrin (1926), si definisce con un certo numero di tendenze o tratti caratterologici: orgoglio, diffidenza, caparbietà, rigidità, inadattabilità, intransigenza. Sono tutti tratti provenienti da un'esaltata autostima e, secondo le concezioni psicoanalitiche, dalla fissazione della sessualità a uno stadio pregenitale.
L'indirizzo caratterologico non ammette tanto l'esistenza di una paranoia come entità nosologica quanto l'esistenza di psicopatici paranoici. Si tende a concludere negativamente sull'autonomia nosologica della paranoia kraepeliniana, dubitando altresì della possibilità di trovare la chiave del problema mediante l'interpretazione comprensiva del delirio. Nel 1950, al 1° Congresso mondiale di psichiatria, W. Mayer-Gross, nella sua relazione sul delirio, respinse la teoria caratterologica, pur ammettendo una predisposizione alle reazioni paranoidi in alcuni (per es., persone sorde, in età senile, solitarie); riteneva invece che il delirio sistematizzato cronico, cioè la paranoia, rientrasse nel quadro della schizofrenia, senza deterioramento della personalità o con deterioramento molto tardivo. La paranoia di Kraepelin, forma rara, costituirebbe un quadro ideale, teoreticamente utile, pur mancando quasi di realtà clinica. Nel corso dello stesso congresso, H.C. Rümke fu tra i primi a sostenere l'importanza dell'impostazione fenomenologica ed esistenziale per intendere la paranoia come modalità di reagire insita nell'umano. Secondo l'evidenza clinica, nella stragrande maggioranza i deliri cronici vanno situati nell'ambito delle psicosi paranoidi (schizofreniche e non, parafreniche, caratterogene); soltanto in qualche raro caso è possibile osservare la realtà clinica della paranoia kraepeliniana come malattia separata.
I primi cenni del pensiero freudiano sulla paranoia si ritrovano nelle lettere a W. Fliess del 1895 (pubblicate postume nel 1950): l'isteria e gli stati ossessivi sono paragonati alla paranoia ('psicosi intellettuale') come modi patologici di difesa. Nella paranoia domina incontrastato il meccanismo psichico della proiezione (ascrivere modificazioni interne a cause esterne), con il quale ci si rifiuta di prestare fede alle autoaccuse. Nelle Nuove osservazioni sulle neuropsicosi di difesa, Freud (1896) formula la teoria che il ritorno del rimosso in forma di idee deliranti esige l'accettazione dell'Io. Studiando poi le memorie di un famoso paranoico, il presidente Schreber, Freud (1911) aggiunge importanti elementi alla sua teoria, primo fra tutti quello della connessione con impulsi omosessuali latenti. Il modello della formazione del sintomo è quello della fissazione, rimozione e ritorno del rimosso nel sintomo. La fissazione paranoica avrebbe luogo a un livello narcisistico precoce, intermedio tra l'autoerotismo primitivo e l'amore oggettuale. Il ritorno del rimosso avviene sotto forma di delirio di persecuzione. È del 1922 l'importante contributo freudiano al problema della gelosia nei suoi rapporti con la paranoia e l'omosessualità, cui segue la formulazione della percezione dell'ostilità inconscia.
Certamente quella freudiana resta la più importante teoria psicopatogenetica della paranoia. Va però detto che, sebbene un certo numero di studi obiettivi abbia confermato un qualche rapporto tra pensiero paranoide e omosessualità, la teoria di Freud resta altamente controversa e, per usare le parole di N. Cameron (1963), "l'evidenza clinica degli ultimi quarant'anni non ha confermato in modo consistente la tesi di Freud" (p. 31).
Il tentativo più impegnato e ambizioso di tracciare lo sviluppo del pensiero paranoico durante il primo anno di vita, da un punto di vista psicoanalitico, si deve a M. Klein, che ha ipotizzato l'esistenza di una 'posizione paranoide' nel bambino di 3 mesi, causata dall'uso esteso della proiezione come difesa contro 'persecutori' interni ed esterni. La maggior parte degli studiosi ritiene, però, che l'elaborata vita della fantasia attribuita dalla Klein all'infante non sia compatibile con i suoi poteri di concettualizzazione.
Gli analisti neofreudiani sottolineano i fattori interpersonali piuttosto che quelli intrapsichici nella genesi del pensiero paranoico, prestando molta attenzione alle vicissitudini dei rapporti precoci madre-figlio, specialmente per quanto concerne l'incapacità di sviluppare una fiducia di base e di strutturare una comunicazione non ambigua. Anche i fattori sociali sono stati particolarmente evidenziati a proposito dello sviluppo della personalità paranoide.
La paranoia non rappresenta soltanto un disturbo dell'intelletto, un errore del giudizio. Al contrario, essa affonda le sue radici in una perturbazione ben più profonda, di natura affettiva ed è quindi a questo livello che la paranoia può venire trattata, anche se non completamente guarita. In questo ambito, bisogna riconoscere che sono difficilmente precisabili i limiti del patologico che implica un intervento di tipo psichiatrico. Tra la conoscenza paranoica dell'artista e quella del poeta e il vero delirio intercorre tutta una serie di gradi che è necessario saper valutare. Gli oppositori di un regime politico, di una cultura, di una società, possono essere facilmente classificati come paranoici (e alcuni grandi rivoluzionari lo sono effettivamente stati) dai difensori di quel regime o di quella società. Tuttavia, se è vero che una diagnosi errata di paranoia è in grado di rovinare la vita e la carriera di un uomo, è vero anche che si può rilevare pericoloso misconoscere un autentico delirio paranoico, in quanto ciò può avere conseguenze medico-legali che rischiano di essere pesanti sia per l'ambiente sia per il paziente.
American psychiatric association, Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-III), Washington, APA Press, 1980 (trad. it. Milano, Masson, 1993).
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