paratassi
La paratassi è una connessione ordinata di frasi in un’entità superiore, in cui le frasi interessate hanno diverso valore informativo (➔ tematica, struttura) e sono collegate tra loro da nessi semantici. Insieme alla subordinazione (➔ subordinate, frasi) e alla coordinazione (➔ coordinative, congiunzioni; ➔ enumerazione), la paratassi è una delle principali forme di collegamento tra elementi linguistici.
Il termine paratassi (dalla preposizione gr. pará «presso, vicino» e il nome táxis «disposizione, ordine»), formato sul modello di sintassi, fu coniato nel 1826 dal grecista F.W. Thiersch insieme col termine complementare ipotassi (dalla preposizione gr. ypó «sotto»). Il significato originario allude all’‘accostamento’ di unità linguistiche di livello equivalente, come invece è proprio delle relazioni ipotattiche.
Va segnalato che la coppia terminologica paratassi-ipotassi non è entrata nella tradizione grammaticale italiana. Per es., non se ne trova menzione nella Sintassi italiana di Fornaciari (1881: 416-429), che prevedeva solo il coordinamento e il subordinamento come possibili tipi di relazione tra le frasi. La coppia è per lo più impiegata come sinonimo di coordinazione e subordinazione, a base latina (Serianni 1988: 447-50; Devoto & Oli 1971: 1621; Beccaria 20042: 418), e viene usata soprattutto in relazione allo studio delle lingue classiche.
Tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI la paratassi è stata al centro di un esteso dibattito (Avanzi, Beguelin & Corminboeuf 2010), innescato da nuove prospettive teoriche, come gli studi di grammatica testuale, di analisi del discorso e più in generale della linguistica dei corpora (➔ corpora di italiano). Molti fenomeni, anche molto diversi tra di loro, sono stati quindi considerati paratattici; tra questi, la giustapposizione, in particolare le apposizioni (➔ apposizione), i complementi predicativi (➔ predicativo, complemento), gli anacoluti (➔ anacoluto) e perfino le strutture correlative (➔ correlative, strutture).
L’esistenza di relazioni paratattiche è stata discussa in particolare tra le questioni generali concernenti l’origine delle lingue indoeuropee. È stata ipotizzata un’anteriorità diacronica delle costruzioni paratattiche e correlative rispetto a quelle subordinative e ipotattiche, che sarebbero da esse derivate. È stato osservato però che ogni lingua, in particolare se giunta alla modalità scritta, possiede già nei suoi stadi antichi sia costruzioni ipotattiche che paratattiche.
Solitamente identificata con la coordinazione, la paratassi ne va invece accuratamente distinta; un’altra distinzione va fatta rispetto alla subordinazione.
Una struttura coordinata ha essenzialmente i caratteri seguenti:
(a) all’interno di una frase si moltiplicano, nel caso di enumerazioni, o si duplicano costituenti di uguale rango;
(b) si instaurano relazioni copulative (➔ copula), avversative o alternative, mediante ➔ congiunzioni (sindesi) o senza (asindesi); la coordinazione, quindi, può interessare costituenti di qualsiasi livello: parole, sintagmi, frasi. Questi fenomeni si osservano negli esempi seguenti:
(1) la ragazza era bella e stupida → la ragazza era bella, superficiale, (e) stupida
(2) Mario e Carlo studiano medicina → Mario, Carlo, (e) Luigi studiano medicina
(3) Mario ha eseguito il lavoro con competenza e con passione → Mario ha eseguito il lavoro con competenza, con passione, (e) con fatica
(4) Mario frequenta il Conservatorio e si sta specializzando in violino → Mario frequenta il Conservatorio, si sta specializzando in violino, (e) studia composizione
La coordinazione richiede che i costituenti coordinati abbiano la stessa funzione e facciano parte della stessa configurazione sintattica. Da un punto di vista semantico, essi partecipano alla composizione del significato della frase e al conseguimento del suo valore di verità, avendo tutti la stessa ➔ modalità (Bally 1971: 65-78). Inoltre, l’ordine degli elementi di una coordinazione non dovrebbe essere rilevante; esso non è un carattere necessario per il realizzarsi di una relazione semantica (condizionale, concessiva, ecc.), come invece accade in una relazione paratattica.
Dal canto suo, una relazione paratattica non contiene costituenti di qualsiasi livello, ma solo frasi, o comunque (come si vedrà sotto a proposito del parlato) entità predicative (Le Goffic 1993: 501-502; López García 1999: 3513; Quirk et al. 199915: 918-919). Le frasi in relazione paratattica non sono la duplicazione di un costituente in una stessa configurazione sintattica, ma ciascuna è una configurazione sintattica autonoma.
Da un punto di vista semantico, inoltre, ciascuna frase in relazione paratattica ha una propria modalità. Questo fatto può essere illustrato da un insieme di caratteri, che si presentano in mescolanze varie. Tra i principali, le frasi in relazione di paratassi possono:
(a) avere diverso soggetto;
(b) appartenere a tipi diversi (frase dichiarativa, interrogativa, imperativa, ottativa, esclamativa);
(c) avere predicati dalla semantica diversa (verbo di stato, di azione, di percezione, di parola, di giudizio);
(d) avere diversa qualità (frase nominale, verbale, positiva, negativa, di citazione, di ➔ discorso riportato);
(e) variare per caratteristiche di ➔ diatesi e ➔ aspetto;
(f) avere diverse coordinate deittiche.
L’ordine degli elementi, poi, è una condizione necessaria al compimento dell’effetto semantico complessivo. Inoltre, nel parlato le entità linguistiche paratattiche devono essere scandite da unità prosodiche diverse (➔ prosodia).
In conclusione: mentre le unità coordinate, o in enumerazione, possono essere di qualsiasi livello linguistico, ma devono essere omogenee per funzione sintattica e caratteristiche modali e il loro ordine non è un tratto necessario, le unità in paratassi possono essere solo frasi, devono essere distinte per modalità e devono essere ‘accostate’ secondo un ordine perché possa aversi un certo effetto semantico. Quindi il loro accostamento non produce tanto un’aggiunta d’informazione quanto una connessione semantica di livello testuale.
Per taluni aspetti la connessione coordinativa e paratattica ha delle affinità con la subordinazione, e la scelta dell’una o dell’altra risalirebbe all’intenzione del parlante di potenziare o indebolire la tensione emotiva, riducendosi ad una dimensione stilistica. Infatti, la maggior parte delle relazioni di subordinazione può essere tradotta in coordinazione, e viceversa, facendo sì che esse siano interscambiabili e quindi differenziate in modo instabile (➔ subordinate, frasi; Simone 2010). Già Fornaciari (1881: 426), uno dei primi espliciti sostenitori dell’ipotesi dell’equivalenza, opera un confronto tra periodi con relazioni di subordinazione e i loro equivalenti ‘trasformati’ con relazioni di coordinazione:
(5) poiché hai disprezzato i miei consigli, io ti abbandono → hai disprezzato i miei consigli e io ti abbandono
(6) la virtù è così bella, che l’amano perfino i malvagi ~ anche i malvagi amano la virtù: tanto essa è bella
Si noti come in (5) la seconda frase ‘trasformata’ sia connessa alla prima da e, una congiunzione coordinante ma anche rafforzativa. In (6), poi, l’autore ha sentito la necessità di invertire l’ordine delle frasi e di connetterle con un segno interpuntivo peculiare (i due punti), al fine di realizzare un effetto esplicativo. In realtà proprio le seconde frasi delle coppie (5) e (6), presentate da Fornaciari come casi di coordinazione, potrebbero essere considerate casi di paratassi, i quali in effetti meglio convogliano l’impatto emotivo delle versioni con la struttura di subordinazione.
È quindi giustificato chiedersi se le relazioni paratattiche siano davvero diverse da quelle di coordinazione e subordinazione e quali caratteristiche abbiano. Può aiutare nel compito l’esame di alcuni esempi del latino, in cui la paratassi si manifesta in varie forme (esempi tratti da Orlandini & Poccetti 2010):
(7) filiam quis habet, pecunia est opus (Cicerone, Rhet. 44)
«figlia chi ha, soldi c’è bisogno» [= «qualcuno (chi) ha una figlia, (per lui) i soldi sono necessari»]
(8) ostende bellum, pacem habebis «mostra la guerra, la pace avrai» [= «fa’ mostra di guerra, avrai la pace»]
(9) vix ea fatus eram, tremere omnia visa repente (Virgilio, En. III, 90)
«appena quelle cose detto avevo, tremare tutto fu visto d’un tratto» [= «avevo appena detto ciò, (che) all’improvviso tutto sembra tremare»]
(10) video meliora proboque, deteriora sequor (Ovidio, Met. VII, 20)
«vedo il meglio e approvo, il peggio seguo» [= «vedo le cose migliori e le approvo, seguo le peggiori»]
(11) fremant omnes licet, dicam quod sentio (Cicerone, De Orat. I,195)
«fremano tutti è lecito, dirò quel che penso» [= «che tutti protestino è lecito, (comunque è lecito anche) che io dica ciò che penso»]
(12) ne sit sane summum malum dolor, malum certe est (Cicerone, Tusc. II, 14)
«non sia certo sommo male il dolore, male certo è» [= «che non sia sicuramente il dolore il male sommo, (ma) certamente è male»]
In tutti questi esempi si ha la sequenza di due frasi, che si trovano sullo stesso piano sintattico e sono accostate in uno stesso periodo senza congiunzioni (diversamente dai casi di coordinazione sindetica e di subordinazione esplicita). È dal punto di vista dell’organizzazione dell’informazione (➔ tematica, struttura; ➔ dato / nuovo, struttura) che le due unità non hanno ugual valore; benché ciascuna abbia senso a sé, solo la presenza della seconda frase produce l’effetto complessivo dell’intero periodo. L’accostamento delle due frasi infatti può dare espressione a significati diversi: in (7) e (8) la relazione è condizionale ipotetica (➔ periodo ipotetico), (9) mostra una relazione di contemporaneità (➔ temporalità, espressione della), in (10) è sviluppato un valore contrastivo, in (11) e (12) tramite l’espressione è lecito e l’avverbio certamente viene evocata una relazione concessiva (➔ concessione, espressione della). Il valore semantico della sequenza paratattica si definisce nel contesto e non è predeterminato linguisticamente.
In connessione a ciò si può notare che la sequenza delle frasi ha però ordine fisso: esse non possono essere invertite, pena il mancato effetto semantico. Da un punto di vista informativo, quindi, la prima frase ha funzione di tema (o di sfondo; ➔ tematica, struttura), la seconda costituisce il centro dell’informazione dato che indica i possibili nessi semantici: condizionali, temporali, contrastivi, concessivi. Va notato che se gli esempi fossero di lingua parlata, ciascuna frase dovrebbe avere un’apposita unità prosodica, la prima separata dalla seconda da ciò che tradizionalmente si indica come pausa virtuale (➔ fonologia; ➔ intonazione).
Già dalle traduzioni degli esempi latini è facile dedurre che anche in italiano sono possibili, e anche frequenti, costrutti simili, e quindi anche per l’italiano appare congruo ipotizzare che la paratassi vada distinta dalla coordinazione. Gli esempi da (13) a (17) potrebbero valere come modelli paratattici produttivi per l’italiano:
(13) studia, sarai promosso
(14) si lamenta, tutti si mettono a disposizione
(15) parto, (che) ti piaccia o no
(16) ha un bel provarci, non ci riesce
(17) fosse pure la mia ultima occasione, tenterò
Questi esempi condividono tutte le caratteristiche già esposte per il latino, riproducendo relazioni condizionali (13), contrastive (14) e concessive (15-17).
Più in generale, relazioni assimilabili a quelle degli esempi latini e italiani costituiscono modelli retorici ‘naturali’ nell’uso parlato. Riportiamo alcuni esempi tratti dalla sezione italiana di un corpus di parlato delle principali lingue romanze (C-ORAL-ROM 2005).
Sono però necessarie alcune premesse. Nella trascrizione ortografica il parlante è indicato da una sigla di tre lettere maiuscole precedute da asterisco, e tra parentesi quadra è indicato il nome del file seguito dal numero ordinale dell’esempio. La punteggiatura è sostituita da sbarre (semplici o doppie) per segnalare la scansione prosodica, rispettivamente intermedia o finale. La sigla COM in apice sta per comment («commento»), a indicare che lì termina un’unità di valore azionale e predicativo (ovvero di un enunciato, secondo la definizione di Austin 1962).
Anche negli esempi da (18) a (26) gli enunciati scanditi dalla prosodia sono accostati gli uni agli altri all’interno di unità discorsive maggiori (marcate dalla doppia sbarra). Benché ciascuno di essi abbia una propria caratterizzazione azionale e modale, e quindi sia di per sé interpretabile, la loro connessione sviluppa particolari nessi semantici. Per es., in (18) e (19) vengono instaurate relazioni di tipo condizionale:
(18) *TAM: allora / si mangia la cipolla /COM le zanzare s’allontanano //COM [ifamdl14, 69]
(19) *CLA: diventamo tutti quanti / he / industriali /COM e poi voglio vede’ chi lavora più // COM [ifammn02,79]
In (20) viene sviluppata una relazione di contemporaneità; in (21) di premessa temporale-causale:
(20) *MAR: chiamo /COM il telefono staccato //COM [ifamdl20, 1]
(21) *NIC: era quaranta secondi /COM bisogna fare un po’ meno ‹secondi› //COM [ifamdl17, 245]
Assolutamente comuni appaiono poi forme di relazione contrastiva tra enunciati come in (22), (23) e (24):
(22) *VAL: è inutile che stia a mangia’ lì tutto attento /COM e poi beve la Coca Cola //COM [ifamdl11, 168]
(23) *CLA: noi la nostra /COM e loro la loro //COM [ifammn02, 113]
(24) *NIC: uno giusto /COM nel posto sbagliato //COM [ifamcv09, 79]
Gli esempi (25) e (26) illustrano una relazione paratattica di valore concessivo, anch’essa frequente:
(25) *CLA: da un quartiere all’altro / non si conoscevano /COM ma all’interno de quel quartiere / c’era una certa fratellanza //COM [Ifammn02,69]
(26) *OTT: son diverse /COM non separabili // COM [ipubcv01,263]
Si può notare che in (19), (22), (23) e (25) l’ultimo enunciato della sequenza è collegato al precedente da congiunzioni coordinanti (e, ma). Queste sono però congiunzioni solo in apparenza; è noto (Moeschler 1986; Verstraete 2007) che espressioni classificate dalla grammatica come congiunzioni subordinanti, per es. perché, e in specie le congiunzioni coordinanti, possono non svolgere funzioni strettamente sintattiche, ma funzioni più ampie, di portata anche pragmatica. Nei casi precedenti i connettivi hanno valore rafforzativo, presentativo o di esplicitazione del nesso semantico dell’insieme; tuttavia, anche se fossero soppressi la relazione paratattica si manterrebbe.
Possiamo concludere che tutti gli esempi presentati come paratattici potrebbero essere connessi al loro interno da un’espressione avverbiale (e, ma, ed ecco, perciò, quindi). Parallelamente, però, qualsiasi connettivo potrebbe anche essere soppresso, senza con ciò causare la perdita della relazione paratattica. Dunque, se i connettivi sono ammissibili e appropriati in una relazione paratattica, essi sono però opzionali, perché servono solo a esplicitare o rafforzare il nesso semantico che in ogni caso la connessione ordinata delle due unità realizzerebbe.
Un’altra caratteristica del parlato italiano è che uno o entrambi gli enunciati della relazione paratattica possono non essere né frasi né sintagmi verbali, ma sintagmi nominali o aggettivali, come in (20), (23), (24), (26). Ciò nonostante essi hanno piena funzione predicativa e svolgono in maniera appropriata il ruolo di una delle entità in relazione paratattica. Questa possibilità è tipica del parlato, nel quale una qualsiasi espressione, purché dotata di intonazione appropriata, può svolgere un atto linguistico (➔ illocutivi, tipi) e quindi essere pienamente predicativa.
Il ricorso a frasi nominali (➔ nominali, enunciati), del resto, è comune in massime (➔ sentenza) e ➔ proverbi, condivisi da tutte le lingue romanze e germaniche. Spesso essi sono fondati proprio sulla connessione ordinata, ovvero sulla paratassi, di due frasi nominali, di cui la prima serve da premessa o sfondo a una seconda conclusiva, come si vede dai seguenti esempi inglesi:
(27) no work, no money «niente lavoro, niente soldi»
(28) out of sight, out of mind «lontano dagli occhi, lontano dal cuore»
Le due frasi nominali, in relazione paratattica, possono naturalmente essere legate da un connettivo come quindi o perciò. Questa caratteristica consente di fare un confronto con le frasi nominali semplici, spesso annoverate tra i casi di paratassi. Vediamo un proverbio (29) e una frase nominale di uso quotidiano (30):
(29) dalla padella nella brace
(30) giovedì gnocchi
Si deve notare che nessun connettivo (e, ma, perciò, quindi) potrebbe essere inserito in (29) e (30). Ciascuna delle due parti della frase nominale non è a sua volta una frase nominale e non è di per sé interpretabile, sicché tra le due parti non si può sviluppare nessuno degli effetti semantici propri della paratassi. La loro combinazione realizza semplicemente una predicazione nominale.
Gli esempi fin qui notati – per il latino, l’italiano parlato e l’inglese – possono essere considerati come un repertorio abbastanza ampio dei modelli paratattici, condiviso dalla gran parte delle lingue romanze e di quelle germaniche (Jespersen 1924; Matthews 1981; Le Goffic 1993; Quirk et al. 199915, López García 1999).
I fenomeni paratattici fin qui presentati ricorrono anche nella ➔ lingua scritta e sono attestati in maniera sistematica nelle recenti opere letterarie italiane, anche se identificarli può esser meno semplice che nel parlato. Riportiamo vari esempi tratti da autori della seconda metà del XX secolo e degli inizi del XXI:
(31) È vero che lavora mio padre; e vorreste non godesse qualche lira delle venti facendo il fiasco all’osteria? (Vasco Pratolini, Il Quartiere, Milano 1968, p. 46)
(32) Entrò come un’ombra, e seppi di averlo davanti al tavolino prima ancora di levare gli occhi (Cesare Pavese, La spiaggia, Torino 1968, p. 138)
(33) Mai le donne l’avrebbero salvata: e le mancava l’uomo (Italo Calvino, L’avventura di un bagnante, Torino 1970, p. 1080)
(34) Tutto il resto […] ora tace, questi in fila e in piedi, […] quelli finalmente sciolti dalle corazze, […] eccoli già lì che russano (Calvino, Il cavaliere inesistente, Torino 1973, p. 14)
(35) Quelli sposati non si occupavano più di nulla: lo vedeva col cognato (Carlo Cassola, Ferrovia locale, Torino 1982, p. 7)
(36) il prete e una coppia di professori a riposo […] sono morti e altre tre persone sono rimaste ferite, e avrebbe potuto essere peggio se non fosse stato sabato pomeriggio con anche il sole (Andrea De Carlo, Uto, Milano 1995, p. 10)
(37) Non so niente, che cosa è la rottura delle acque? (Giuseppe Pontiggia, Nati due volte, Milano 2000, p. 16)
(38) L’unica pietà l’ho ricevuta dagli infedeli, Dio li ricompensi evitando di dannarli come meriterebbero (Umberto Eco, Baudolino, Milano 2000, p. 493)
(39) Chiedeva, infatti, il signor Roccella, del questore: una follia, specialmente a quell’ora e in quella particolare serata (Leonardo Sciascia, Una storia semplice, Milano 2001, p. 12)
(40) Naturalmente non accadde nulla, Dio non si scomoda per un uomo ridicolo (Margaret Mazzantini, Non ti muovere, Milano 2001, p. 217)
(41) Sono stanco ma non ho finito, lasciami riposare un po’ ma non te ne andare, resta, apri bene le orecchie, perché è importante (Antonio Tabucchi, Tristano muore, Milano 2004, p. 90)
La sequenza delle unità predicative, indipendentemente dal fatto che alcune non siano verbali (come in 34 e 39) e dal loro numero (come in 34, 36 e 41), ha ordine fisso, pena il non raggiungimento di un significato o effetto complessivo di varia natura semantica, che può essere apprezzato solo nell’intero periodo. Ed è proprio per via della loro indipendenza e del loro ordine che le frasi paratattiche possono sviluppare forme peculiari di testo (➔ testo, tipi di), a volte non facilmente definibili, sottili e vaghe, ma certo stilisticamente significative.
Possiamo notare che anche negli esempi da (31) a (41) si ha una connessione entro uno stesso periodo, graficamente identificato da segni interpuntivi forti, di due o più unità predicative o frasi chiaramente differenziate per modalità. Le unità si trovano sullo stesso piano sintattico, ciascuna è identificata da segni interpuntivi deboli (virgola, punto e virgola, due punti), accompagnati o no da connettivi (come in 31, 32, 33, 36, 41). La diversificazione modale delle unità frasali è ottenuta sfruttando l’insieme di quei tratti che, come notato, possono concorrere all’assegnazione del valore modale.
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