PARCHE (lat. Parcae, da pario, non da pars)
Da principio concepita come singola, al pari della Moira greca (v. moire), la Parca è una divinità che presiede alla nascita (Par[i]ca). Il numero divenne poi ternario con l'aggiunta di Nona e Decima (Varrone, in Gellio, III, 16, 10), le due Parche presiedenti ai due mesi in cui termina la gravidanza. L'assimilazione alle Moire greche fissò stabilmente questo numero e suggerì l'etimologia di pars; e con la sostituzione di Morta a Parca (Caesellius, Vindex, in Gell., III, 16, 11) anche le Parche romane divennero le divinità che presiedono al destino dell'uomo dalla nascita alla morte.
Nella letteratura latina le Parche sono interamente assimilate alle Moire e compiono la medesima funzione. Catullo (LXIV, 306 segg.) le rappresenta come vecchie tremolanti che filano lo stame della vita e predicono con "veridico canto" l'avvenire di Peleo. Anche in Virgilio sono le dispensatrici del fato e fissano per gli uomini il tempo dell'azione e quello della morte; Orazio sa che la Parca non mendace ha fissato alla nascita il suo destino di poeta (Carm., II, 16, 39) e nel Carme secolare invita le veridiche Parche a predire ancora buoni fati per Roma. Servio (Ad Aen., I, 26) interpreta le tre Parche un po' diversamente dal significato greco, e in una maniera più vicina alla credenza romana: esse rispettivamente predicono, scrivono e regolano il corso della vita.
Non v'è in Roma un culto vero e proprio delle Parche, e non esistono neppure iscrizioni relative alle medeśime; giacché quelle rinvenute nei paesi celtici si riferiscono in realtà a divinità locali, che erano chiamate Matres o Matronae (v.). Nei documenti che l'arte ci ha lasciato le Parche vengono raffigurate alla maniera delle Moire (v.).
Bibl.: R. Peter, Parca, Parcae, in Roscher, Lexikon, III, coll. 1569-1570; R. H. Klausen, Die Parcen oder Fata, in Zeitschr. f. d. Altertumwiss., VII (1840), pp. 217-256.