pareglio
Dal provenzale parelh e dal francese pareil (Parodi, Lingua 273), nel senso di " pari ", " uguale ", " somigliante " (v. PARECCHIO); in Pd XXVI 107-108 perch'io la veggio nel verace speglio / che fa di sé pareglio a l'altre cose, / e nulla face lui di sé pareglio, l'aggettivo è sostantivato nel senso di " cosa pari ", e l'espressione ‛ fare di sé p. a qualche cosa ' vuol dire " accoglierne in sé l'immagine perfetta ".
Tutta l'espressione è da intendere infatti che lo specchio della mente di Dio accoglie in sé tutte le cose, ma nessuna, perché limitata, può riflettere della mente divina se non un'immagine limitata e imperfetta (" omnia comprehendit et continet in se, et non e converso ", Benvenuto; " di sé medesimo fa ricetta-culo ", Buti).
Il Parodi (" Bull. " XXIV [1917] 57 n.), riprendendo la spiegazione del Cesari (Bellezze della D.C., Napoli 1866, 537), chiosa: " ‛ nel verace speglio, che fa di sé (per così dire) doppione all'altre cose ' (pareils, provenzale, ecc. coppia, paio) come fa l'immagine riflessa nello specchio che è il doppione perfetto dell'immagine reale; dunque, più liberamente, ‛ che è fedele riflesso rispetto all'altre cose ' ".
I versi hanno dato luogo a diverse interpretazioni e letture (cfr. Petrocchi, ad l.). Interessante sembra l'ipotesi del Pézard (p. 1711 ss.) che riconosce in p. il sostantivo greco, latineggiato, parhelion, presente anche in Seneca (Nat. quae. I XI 3 " parhelia ... sunt imagines solis, in nube spissa et vicina in modum speculi "), in Alberto Magno (Meteor. III IV 29, in Opera omnia, ediz. A. Borgnet, IV, Parigi 1890, 700a) e in Vincenzo di Beauvais (Speculum naturale IV 83, Douai 1624, 284).